Pensioni

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Per il segretario confederale Vera Lamonica occorre introdurre meccanismi di flessibilità in un sistema rigido e iniquo in cui l'innalzamento dell'età pensionabile, destinato a crescere progressivamente, ha raggiunto soglie insostenibili 

Kamsin "Nonostante i reiterati annunci, non ci è ancora arrivata la convocazione del ministro Poletti per discutere di previdenza. Ribadiamo la necessità di aprire il prima possibile un tavolo per cambiare in modo radicale la legge Fornero". Con queste parole la segretaria confederale della Cgil Vera Lamonica, intervenendo all'iniziativa dello Spi Cgil 'Pensieri e Pensioni', è tornata a chiedere un incontro al governo, come fatto più volte nelle ultime settimane, anche con Cisl e Uil.

"Non si può più aspettare, occorre introdurre meccanismi di flessibilità in un sistema rigido e iniquo – continua Lamonica – in cui l'innalzamento dell'età pensionabile, destinato a crescere progressivamente con l'aumento delle aspettative di vita, ha portato al raggiungimento di soglie insostenibili. Soglie che vanno abbassate modificando i requisiti di accesso alla pensione".

La dirigente sindacale precisa che "la flessibilità non può però essere barattata con ulteriori penalizzazioni: il sistema contributivo comporta già una riduzione dell'assegno in caso di pensionamento anticipato, e ulteriori tagli non sarebbero ammissibili". "Un intervento è doveroso anche in nome della giustizia sociale", sostiene Lamonica, che spiega come l'innalzamento dell'età pensionabile si abbatta "su tutti i lavoratori e su tutte lavoratrici, indipendentemente dagli impieghi svolti". "È inaccettabile: i lavori non sono tutti uguali e non si può chiedere a chi ha un'occupazione usurante o comunque gravosa, di lavorare fino a 67 anni.Così come non è possibile non tener conto dei lavoratori precoci".

Infine, per la segretaria confederale della Cgil "mettere mano alla legge Fornero è necessario anche per il futuro dei giovani". Infatti "ad essere maggiormente penalizzati dalle norme introdotte dal governo Monti, oltre alle donne, sono coloro che a causa della dilagante precarietà hanno carriere e storie contributive discontinue". "Se oggi vivono una condizione occupazionale di incertezza e di bassi salari - sottolinea - rischiano domani di diventare pensionati poveri, un danno enorme per il futuro del Paese".

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Il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti conferma che gli assegni liquidati ante 2015 restano soggetti a vita al meccanismo della riduzione in assenza di ulteriori coperture.

Kamsin Qualora si vogliano eliminare le penalizzazioni sugli assegni anticipati liquidati prima del 1° gennaio 2015 il Parlamento dovrà individuare ulteriori risorse finanziarie. E' quanto ha indicato il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei deputati in risposta ad un'interrogazione sollevata dai deputati Fedriga e Prataviera (Ln). Niente da fare dunque per i 25mila pensionati che sono usciti tra il maggio 2013 ed il dicembre 2014 con la massima anzianità contributiva: la loro vicenda si potrà risolvere solo con un ulteriore intervento normativo che recuperi nuove risorse

La Vicenda. Com'è noto la Riforma Fornero, nell'ottica di un contenimento della spesa previdenziale, ha introdotto una penalizzazione per quei soggetti che accedono alla pensione anticipata ad un'età inferiore a 62 anni. Tale penalizzazione, in particolare, si sostanzia in una riduzione del trattamento pensionistico percepito, da applicarsi sulla quota relativa all'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 2011.

Successivamente, l'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge n. 216 del 2011 ha stabilito che la predetta penalizzazione non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che maturano il previsto requisito contributivo per il diritto alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, qualora l'anzianità contributiva ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro (piu' alcuni limitati e tassativi periodi di contribuzione figurativa). Da ultimo, l'articolo 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014 ha stabilito che – sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015 – le penalizzazioni anzidette non trovano applicazione per quei soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017.

Poletti ricorda che ragioni di compatibilità finanziaria "hanno circoscritto gli effetti del predetto intervento normativo ai soli trattamenti pensionistici decorrenti dal 1o gennaio 2015; qualora, infatti, tale intervento avesse avuto effetti retroattivi, gli oneri finanziari sarebbero stati notevolmente più elevati. Pertanto, laddove si decidesse di effettuare un intervento normativo volto a estendere retroattivamente l'efficacia della norma in esame, o anche solo a sospendere le penalizzazioni per il triennio 2015-2017 nei riguardi di coloro che hanno avuto accesso al pensionamento anticipato entro il 31 dicembre 2014, ne conseguirebbero maggiori oneri per la finanza pubblica in relazione ai quali dovrebbe essere reperita la necessaria copertura finanziaria".

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Il Gruppo Sel presenta una proposta di legge alla Camera per tutelare i lavoratori che assistono da oltre dieci anni familiari disabili con oltre il 100% di invalidità.

Kamsin Introdurre, per il triennio 2015-2017, in via sperimentale la possibilità di accedere alla pensione con 60 anni e 20 anni di contributi per i lavoratori sia del settore privato che del settore pubblico che si sono dedicati ad assistere in via continuativa un familiare disabile al 100% per almeno dieci anni. E' quanto prevede il ddl 2918 (vai al testo del disegno di legge) a firma dei deputati Melilla e Nicchi di Sinistra Ecologia e Libertà depositato ieri in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati.

Tra gli obiettivi del ddl c'è l'introduzione di un'apposita tutela previdenziale per quei lavoratori che si prendono cura 24 ore su 24 di un familiare gravemente disabile, i cosiddetti caregiver, una figura che - fanno notare i firmatari - non è adeguatamente ricompensata e riconosciuta nonostante rappresenti un tassello fondamentale nel tessuto sociale dell'intera comunità. Del resto - ricordano da Sel - oltre agli oneri psicologici di chi sostiene l'onere della cura di un disabile, si aggiunge, molto spesso, anche la difficoltà economica derivante dall'esigenza di dover provvedere con propri mezzi alla copertura della spesa per l'aiuto di persone esterne al nucleo familiare, laddove i servizi socio-assistenziali non riescono a coprire in toto le pressanti esigenze richieste dal caso specifico. Per i motivi esposti - concludono i promotori del provvedimento - non è pertanto più eludibile introdurre nel nostro sistema giuridico alcune nuove disposizioni che consentano il pensionamento anticipato per coloro che assistono familiari gravemente disabili, aventi cioè una invalidità non inferiore al 100 per cento, con necessità, quindi, di assistenza continua poiché non in grado di compiere i normali atti quotidiani della vita.

Nel ddl si precisa, inoltre, che il diritto al pensionamento anticipato può essere goduto da un solo familiare (coniuge, persona stabilmente convivente, genitore, fratello, sorella o figlio) che abbia convissuto con la persona per almeno dieci anni per ciascuna persona disabile presente all'interno del nucleo familiare. Il beneficio, inoltre, sarebbe riconosciuto a condizione che il familiare disabile non sia stato ricoverato a tempo pieno in modo continuativo in un istituto specializzato, nei dieci anni, ovvero non risulti stabilmente ricoverato a tempo pieno, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, in un istituto specializzato. Le coperture, pari a circa 750 milioni di euro sino al 2023, sono individuate ricorrendo ad un aumento dell'accisa su birra, prodotti alcolici intermedi e alcool etilico. 

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La Gnecchi sottolinea come sia indispensabile un "intervento strutturale sulla Gestione Separata che riconduca il livello contributivo di questi lavoratori a quanto previsto per la generalità dei lavoratori autonomi".

Kamsin Allineare le aliquote contributive della Gestione Separata a quelle vigenti nelle gestione artigiani e commerciati; eliminare la doppia contribuzione nella Fondazione Enasarco per gli agenti di commercio; rivedere le tutele riguardanti la malattia, la maternità e politiche di sostegno al reddito;  salvaguardare la contribuzione già versata alla gestione separata INPS in caso di conversione dei contratti atipici in contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Sono questi i contenuti di tre risoluzioni che intendono impegnare il Governo a tutelare maggiormente il lavoro autonomo discusse ieri presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Le risoluzioni, che sono state depositate dal M5S, dal Partito Democratico e dalla Lega nord, saranno la base per l'adozione di un testo unificato che sarà poi votato dalla Commissione.

Particolarmente duro il giudizio sulla normativa attuale accusata dalla Commissione di penalizzare chi intraprende un'attività di lavoro autonomo. "Negli ultimi due decenni - ha osservato la Gnecchi - in conseguenza delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato il sistema produttivo italiano, la composizione della forza lavoro ha vissuto una radicale mutazione, con un peso sempre più significativo dei lavoratori che svolgono la loro attività in forma autonoma. Sussistono però - ricordano dalla Commissione - ancora troppe differenze tra le tutele previste per i lavoratori dipendenti e quelle per i lavoratori autonomi, nonostante vi sia stato qualche miglioramento negli ultimi anni".

Tre sono gli interventi richiesti quindi al Governo. In primis una modifica strutturale che riconduca il livello contributivo dei professionisti senza cassa, iscritti alla gestione separata, a quanto previsto per la generalità dei lavoratori autonomi. Aliquote dunque piu' basse allineate intorno al 23-24% contro il 27% attualmente previsto. In secondo luogo la Commissione chiede che in caso di patologie gravi e di conseguente sospensione dell'attività sia rivisto l'obbligo del versare acconti e saldi di imposte e contributi sulla base di imponibili che la patologia non permette oggettivamente di produrre: la richiesta è almeno di consentire, in situazioni di conclamata e prolungata impossibilità di produrre reddito, la rateizzazione dei tributi dovuti. 

Nei testi delle risoluzioni viene anche formulato l'invito al Governo a prevedere opportune misure che salvaguardino la contribuzione già versata alla gestione separata INPS in caso di conversione dei contratti atipici in contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e alla soluzione della doppia contribuzione obbligatoria dovuta dagli agenti di commercio alla Fondazione/cassa Enasarco: secondo i deputati si tratta di un unicum nel panorama previdenziale italiano ormai anacronistico e assolutamente insostenibile per i giovani lavoratori che si affacciano alla professione.

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L'aumento della stima di vita interesserà anche quei lavoratori che, in virtu' di speciali disposizioni di legge, mantengono tutt'oggi in vigore le regole di pensionamento antecedenti alla Riforma Fornero.

Kamsin  La Circolare Inps 63/2015 ha fissato gli effetti del prossimo incremento dell'età pensionabile nel triennio 2016-2018. E' così dal prossimo 1° gennaio 2016 si dovrà lavorare 4 mesi in piu' di quest'anno. Per la pensione anticipata bisognerà raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) mentre per la vecchiaia saranno necessari 66 anni e 7 mesi (65 anni e 7 mesi per le lavoratrici dipendenti e 66 anni ed un mese per le autonome).

Nella Circolare c'è, tuttavia un passaggio che ha destato tra i lettori di pensionioggi.it molta confusione. Il passaggio "incriminato" è il seguente: "Ciò posto, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, i soggetti per i quali continuano a trovare applicazione le disposizioni in materia di requisiti per il diritto a pensione con il sistema delle c.d. quote, possono conseguire tale diritto ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti pubblici e privati, di un’età anagrafica minima di 61 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 97,6, e, se lavoratori autonomi iscritti all’Inps, di un’età anagrafica minima di 62 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,6". Molti lettori hanno interpretato questa disposizione nel senso che fossero tornate in vigore le pensioni con le quote in forma generalizzata e che quindi fosse possibile uscire con 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi. Viene sorridere perchè, naturalmente, non è così.

Il passaggio infatti si riferisce solo a due categorie "particolari" di lavoratori per i quali è ancora oggi previsto il sistema delle quote. Da un lato ci sono i lavoratori salvaguardati, cioè coloro che sulla base di specifici provvedimenti legislativi possono continuare a godere delle regole ante-Fornero, tra cui c'era, per l'appunto, la possibilità di accedere alla pensione con le cd. quote. Sono 170mila i lavoratori che si trovano in questa condizione e, per avvalersi di questo beneficio, bisogna rispettare parecchi vincoli e condizioni stabiliti in sei diversi provvedimenti di salvaguardia. Si tratta comunque di lavoratori che avevano perso il lavoro entro il 2011 o che avevano, sempre entro tale data, stipulato accordi con il datore che prevedevano l'uscita nei mesi successivi.

anzianita-quote

Dall'altro lato ci sono i lavoratori addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti e notturni ai sensi di quanto previsto dal Dlgs 67/2011 (vedi voce lavori usuranti). Anche per questi lavoratori è, infatti, previsto un canale di uscita basato sulle cd. quote che chiederà, per il triennio 2016-2018, il perfezionamento di almeno 61 anni e 7 mesi di età unitamente ad quorum di 97,6 (per gli autonomi i requisiti sono di un anno piu' elevati).

E' appena il caso di precisare che chi beneficia di questa normativa riporta in vita anche il vecchio sistema basato sulle finestre mobili. E quindi dovrà attendere 12 mesi o 18 mesi dal perfezionamento dei suddetti requisiti prima di poter ottenere la liquidazione della prestazione.

L'Inps propone anche un esempio di come deve essere condotta la verifica per il diritto a pensione. Ad esempio per verificare il raggiungimento del requisito al 31 ottobre 2016 di un lavoratore nato il 20 marzo 1955 con 1877 settimane di contributi bisogna trasformare l’età e i contributi del lavoratore in questo modo: 61 anni e 225 giorni sono pari a (61+225/365)= 61,616 anni; si divide quindi il numero di contributi per le settimane (1877/52) e si ottiene il valore 36,096 anni. La somma tra età e anzianità contributiva alla data del 31 ottobre 2016 è pari a 61,616 + 36,096 = 97,712.  Il lavoratore ha quindi raggiunto il diritto a pensione avendo superato quota 97,6 ed essendo in possesso dei requisiti minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contribuzione.

Ad ogni modo, dunque, un lavoratore dipendente, pubblico o autonomo che non si riconosca in una delle due deroghe appena citate non potrà fruire delle quote. Ma dovrà attendere i requisiti previdenziali introdotti dalla Riforma Fornero citati all'inizio dell'articolo.

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Per ogni lavoratore indipendentemente dal reddito percepito, il datore di lavoro dovrà versare 5.000 euro l'anno per 40 anni. «Il principio - spiega Siri - è lo stesso della Flat Tax; tutti percepiranno la stessa pensione indipendentemente dal reddito.

Kamsin A esprimere parere favorevole nei confronti della proposta di Armando Siri, condivisa dalla Lega Nord, che lega il sistema di previenza sociale alla Flat Tax così da garantire a ciascun lavoratore mille euro di pensione al meseper quattordici mensilità è Nino Galloni, oggi membro effettivo del Collegio dei sindaci dell'Inps per conto del Ministero del Lavoro, dove è stato direttore generale a partire dal maggio 1990.

Lo riporta oggi un articolo comparso sul quotidiano Il Tempo. «La proposta di Armando Siri - spiega Galloni - renderebbe più conveniente per le imprese la stabilizzazione dei lavoratori piu pagati, riducendo il cuneo, ma lasciando invariata la contribuzione a carico del lavoratore. Questa sembrerebbe una delle poche proposte in grado di contrastare l'errore gravissimo che si commise trent'anni fa volendo scambiare la flessibilità con l'occupazione invece che col salario. Quell'errore produsse la precarizzazione e i bassi salari che rendono e soprattutto renderanno socialmente insostenibile attuale modello a contribuzione».

Il programma di Siri prevede per i lavoratori dipendenti un versamento annuale medio di 7.500 euro (5.000 di contributo annuale fisso a carico del datore di lavoro a prescindere dal reddito percepito dal lavoratore e un contributo pari al 10% della retribuzione a Carico del dipendente). Tale versamento in 40 anni produrrà una contribuzione complessiva di 300mila euro che, calcolando vent' anni di erogazione della pensione in base all' aspettativa di vita media, consentirà al lavoratore di ottenere una pensione di mille euro al mese netti. Per i lavoratori autonomi invece la pensione viene così calcolata: 3.500 euro di versamenti all'anno per 35 anni danno diritto a 500 euro di pensione al mese; 3.500 euro per 40 anni daranno una pensione di 600 euro al mese; con 5.000 per 40 anni si avrà diritto invece a mille euro al mese.

La riforma di Siri si applicherebbe a tutti i lavoratori a prescindere dal reddito e senza vincolo di età. Quindi sarebbe possibile andare in pensione anche a 60 anni purchè siano stati raggiunti 40 anni di versamenti. Gli unici parametri sono infatti il numero di anni e l'entità di effettiva contribuzione.

Nel nuovo sistema saranno coinvolti tutti i neo-lavoratori e quelli che hanno fino a 10 anni di anzianità ai quali, nel caso di versamenti superiore i a 5.000 euro verrà erogata una tantum dall'Inps per recuperare la differenza. I lavoratori che hanno fino a 25 anni di anzianità contributiva potranno invece scegliere il nuovo sistema solo se la loro aspettativa di pensione è superiore ai mille euro al mese e, in questo caso, otterranno un rimborso rateizzato in tre anni per recuperare la differenza.

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