Pensioni

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Pronta una interrogazione parlamentare promossa da alcuni deputati del Pd al Ministro del Lavoro per comprendere le motivazioni del rigetto delle domande di accesso alla sesta salvaguardia da parte della DTL di Milano.

Kamsin Sarà protocollata nei prossimi giorni l'interrogazione in Commissione al Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, promossa dai deputati Cinzia Fontana e Maria Luisa Gnecchi (Pd) relativa al rigetto delle domande di ammissione alla sesta salvaguardia da parte della Direzione Territoriale del Lavoro di Milano. Ne ha dato notizia, ieri, la sede regionale del Pd. Il problema riguarderebbe quei lavoratori che, in quanto percettori dell'indennità di mobilità, si sono visti respingere dalla DTL le domande di ammissione alla salvaguardia. 

L'interrogazione. Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere, premesso che:
La legge n. 147/2014, recante "Modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l'accesso al trattamento pensionistico" (cosiddetta "sesta salvaguardia"), prevede le condizioni necessarie affinché alle categorie di lavoratori nello stesso riportate, che maturano i requisiti per il pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011, continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011;

In particolare, l'art. 2, comma 1, lett. b), c) e d) della legge n. 147/2014 prolunga di un anno il termine entro il quale debbano esser perfezionati i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico da parte di categorie di lavoratori già previsti nei precedenti provvedimenti di salvaguardia, confermando di fatto i criteri e le procedure ivi disciplinati;
La Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) di Milano, in contrasto con il dettato e lo spirito della legge istitutiva della legge n. 147/2014 e difformemente da altre DTL presenti sul territorio nazionale, ha deciso di considerare non riconducibili ai criteri di ammissibilità alla "sesta salvaguardia" i soggetti il cui rapporto di lavoro si sia risolto “in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile, ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivi all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale”, inviando a questi ex lavoratori, che hanno presentato domanda di ammissione secondo i criteri previsti dall'art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 147/2014, un "preavviso di diniego" alle domande da essi formulate;
le domande presentate con riferimento ai precedenti provvedimenti di salvaguardia, riconducibili a pari posizioni e pari requisiti di quelli previsti dall’art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 147/2014, sono state regolarmente accolte, anche dalla stessa DTL di Milano;
se codesto Ministero non ritenga necessario intervenire con la massima urgenza per dare indicazioni precise e chiare alla DTL di Milano, al fine di superare una situazione di esclusione e di profonda iniquità nei confronti dei lavoratori rientranti nella fattispecie prevista dall’art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 147/2014, e considerato che altre DTL hanno già deciso l’accoglimento delle istanze presentate per “pari posizioni”.

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La legge 147/2014 restringe i requisiti per accedere alla seconda salvaguardia per i lavoratori in mobilità: il rapporto di lavoro deve cessare entro il 30 dicembre 2016.

Kamsin Come noto un passaggio della legge 147/2014 ha recuperato 20 mila posizioni nell'ambito dei lavoratori nel profilo "mobilità" destinatari della seconda salvaguardia (articolo 22, comma 1, lettera a) del decreto legge 95/2012 convertito con legge 135/2012) "in considerazione del loro limitato utilizzo". L'intervento ha finanziato in pratica oltre la metà dei 32.100 posti assegnati con la sesta salvaguardia.

Nel far questo la legge 147/2014 ha, tuttavia mutato, con una stretta, le condizioni di accesso alla seconda salvaguardia per il profilo in parola inserendo una specifica data entro cui il rapporto di lavoro deve cessare (31 dicembre 2014 o 30 dicembre 2016), vincolo che in origine era escluso.

La Formulazione originaria. Nella formulazione originaria del Dl 95/2012 la salvaguardia poteva essere concessa a 40mila lavoratori per i quali le imprese avessero stipulato, in sede governativa, entro il 31 dicembre 2011, accordi intesi alla gestione delle eccedenze occupazionali, con impiego di ammortizzatori sociali, ancorché alla data del 4 dicembre 2011 gli stessi lavoratori ancora non risultassero cessati dall'attività lavorativa e collocati in mobilità; era richiesta, inoltre, la condizione che essi maturassero i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità.

La modifica. Per effetto della modifica operata sull'articolo 22, comma 1, lettera a) del Dl 95/2012 dalla legge 147/2014 la salvaguardia potrà essere concessa, nei limiti ora di 20mila unità (rispetto ai 40mila originari), ai lavoratori per i quali le imprese abbiano stipulato in sede governativa entro il 31 dicembre 2011 accordi finalizzati alla gestione delle eccedenze occupazionali con utilizzo di ammortizzatori sociali che rispettino una delle seguenti condizioni:

a) Lavoratori che siano già percettori al 6 novembre 2014, ovvero, entro i quindici giorni successivi a detta data (cioè 21 novembre 2014), del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria ai sensi dell’articolo 1 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e il cui rapporto di lavoro cessi – senza soluzione di continuità con il predetto trattamento di cigs -  entro il 30 dicembre 2016 per il collocamento in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni. I predetti lavoratori dovranno essere presenti negli elenchi inviati all’Inps dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ai sensi del decreto del 8 ottobre 2012 del predetto Ministero;

b) lavoratori che siano cessati dall’attività lavorativa entro il 31 dicembre 2014 e collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni e i cui nominativi siano stati comunicati entro il 31 dicembre 2014 al Ministero del lavoro e delle politiche sociali secondo le modalità di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 8 ottobre 2012.

In entrambi i casi resta fermo che i lavoratori devono perfezionare i requisiti pensionistici entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità ai sensi dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge n. 223 del 1991.

La legge ha, pertanto, precisato le condizioni oggettive per accedere al profilo di tutela in questione. Se la disciplina originaria richiedeva, genericamente, solo il perfezionamento di un diritto a pensione entro il termine della fruizione dell'indennità di mobilità a nulla rilevando il termine del rapporto di lavoro, ora, con la modifica viene richiesto o che tali soggetti siano cessati dall'attività lavorativa entro il 31.12.2014 oppure che siano titolari di un trattamento salariale in deroga (cioè la cigs), e che cessino il rapporto di lavoro entro il 30.12.2016 per il collocamento in mobilità. Gli accordi validi, per il profilo in questione, restano sempre solo quelli stipulati presso la sede governativa e i lavoratori devono comunque maturare un diritto a pensione entro il termine dell'indennità di mobilità.

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Una riduzione del 10% sul trattamento pensionistico in cambio della possibilità di accedere alla pensione già con 60 anni e 35 di contributi.

Kamsin Accesso alla pensione a 60 anni con una riduzione del 10% dell'assegno, incentivi per chi resta sino a 70 anni, nuovo tetto sulle pensioni d'oro oltre i 5mila euro netti mensili. E' questa la sintesi del disegno di legge presentato da Italia dei Valori alla Camera alla fine dello scorso anno sulla base di una proposta di legge popolare avviata da IDV.

“L’Italia dei Valori - ricorda Ignazio Messina, segretario nazionale Idv - combatte la riforma Fornero che ha distrutto tutele e garanzie nel mondo del lavoro, impedendo il ricambio generazionale e mettendo anzi alla porta migliaia di giovani, sostiene una riforma previdenziale che consenta una flessibilità in uscita con un tetto alle pensioni d’oro, propone misure a favore di famiglie ed imprese, impigliate in una tassazione asfissiante. L’abbiamo presentata in parlamento". Chi ci sta?

“La nostra proposta al Governo, impegnato nella discussione sulle riforme, è di introdurre una flessibilità in uscita che preveda, tra i 60 ed i 70 anni, la libertà di scegliere quando andare in pensione con 35 anni di contributi versati, con penalità decrescenti tra i 60 e i 65 anni ed incentivi fino ai 70" sottolinea Messina.

L'impianto della proposta è molto simile alla pdl 857 (cd. pensionamenti flessibili) promossa da Damiano e dalla minoranza dem e depositata alla Camera nell'Aprile 2013. A differenza di quest'ultima (che chiedeva un minimo di 62 anni e 35 di contributi) la proposta Idv fissa a 60 anni di età e 35 di contributi i requisiti per conseguire la pensione con una penalità del 10% sull'assegno (era dell'8% nella proposta Damiano), penalità che si riduce progressivamente al perfezionamento di 65 anni di età o al raggiungimento di 40 anni di contributi con 62 anni di età. Se si resta sul posto di lavoro oltre i 65 anni è previsto un incremento che può raggiungere il 6,5%.

Nel disegno di legge si prevede inoltre l'istituzione di un "sistema di crediti di cura a fini pensionistici", sul modello di quanto già accade in diversi ordinamenti europei, allo scopo di attenuare gli effetti prodotti dall’improvviso aumento dell’età pensionabile sulle donne, consistenti in:

1) contributi figurativi legati al numero dei figli ( ed altre fattispecie di lavori di cura ) stabiliti in 24 mesi per il primo figlio e 12 mesi per ogni figlio successivo, con un meccanismo a scalare rispetto alla contribuzione già riconosciuta a titolo di indennità di maternità e di congedi parentali.

2) integrazioni contributive per i periodi di lavoro part-time, legati ad esigenza di cura particolari e certificabili, essendo i lavoratori part-time penalizzati dal passaggio al contributivo (sul modello di quanto accade per esempio in Germania).

La Separazione dell'Assistenza dalla Previdenza - Nel progetto di legge c'è anche l'obiettivo di portare a compimento il processo già avviato dalla Legge 1989, n. 88 attraverso la separazione rigorosa dei bilanci rispettivamente riconducibili alle funzioni di natura assistenziale, a carico della fiscalità generale, e a quelle di natura previdenziale, finanziate dai contributi versati dai datori di lavoro e dei lavoratori/lavoratrici.

"Per rimediare le coperture abbiamo avanzato la possibilità di una patrimoniale sui grandi patrimoni sopra i 5milioni di euro al netto della prima casa, per tre anni, con un ricavo di 10mld di euro l’anno ed un tetto alle pensioni d’oro di oltre i 5mila euro netti, per recuperare 15mld di euro l’anno. In questo modo si da lavoro ai giovani e si aiutano anche le imprese” ha indicato Messina.

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La commissione Lavoro del Senato ha espresso parere favorevole alla nomina di Tito Boeri alla presidenza dell'Inps. L'economista ha incassato 14 voti a favore e un astenuto. Kamsin La scorsa settimana erano stati invece i deputati della commissione Lavoro di Montecitorio, guidata dal pd Cesare Damiano, a dare il benestare alla nomina di Boeri al vertice dell'ente previdenziale, contestata da alcuni parlamentari, secondo i quali l'economista non disporrebbe dei requisiti e dell'esperienza manageriale richiesti dalla legge per l'incarico. Ieri intanto il ministro per il Lavoro Giuliano Poletti ha indicato la riforma della governane dell'ente quale una priorità per la nuova presidenza. «Ci sono delle proposte di legge depositate» e per questo occorre passare prima per «il confronto con il Parlamento», ha aggiunto.

Non è invece ancora sciolto il nodo del direttore generale. Il mandato dell'attuale direttore, Mauro Nori è scaduto a fine dicembre e al momento è in prorogatio sino al 15 febbraio. E' probabile che arrivi una conferma con una clausola di scadenza al momento dell'approvazione della nuova governance.

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Ai sacerdoti è concessa solo la via della totalizzazione per valorizzare gli spezzoni contributivi accreditati nel fondo Clero. L'altra strada è la pensione supplementare.

Kamsin I contributi versati al fondo clero non possono essere oggetto di ricongiunzione verso l'AGO o verso uno dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi. L'ostacolo è rappresentato dalla legge 903 del 1973 la quale stabilisce che i contributi versati al Fondo non possono essere cumulabili con quelli versati nell'assicurazione generale o altre gestioni previdenziali.

Per i ministri di culto resta dunque un trattamento deteriore rispetto ai lavoratori iscritti nell'AGO e nelle altre gestioni. I sacerdoti che, accanto all'esercizio del ministero, svolgono un'altra attività regolata da norme civilistiche (lavoro dipendente, autonomo, professionale) non possono addizionare i contributi da attività lavorativa con quelli contemporanei versati come ministro di culto e viceversa. Una separazione netta che secondo la Corte di Cassazione non ha ragion di esistere dato che il Fondo Clero deve essere considerato una gestione appartenente all'AGO e non una gestione esterna alla stessa come accade, invece, per le casse previdenziali private. L'inps tuttavia non ha mai riconosciuto le sentenze in parola continuando a considerare il Fondo Clero alla stregua di una gestione integrativa dell'AGO come tale esclusa dall'esercizio della ricongiunzione. 

Da questa posizione scaturisce anche un altro effetto negativo. Ai lavoratori iscritti nel fondo clero è preclusa la possibilità di ricorrere al cumulo contributivo introdotto dall'articolo 1, comma 239 della legge 228/2012, un istituto che consente di accedere alla pensione di vecchiaia cumulando gratuitamente gli spezzoni contributivi presenti nelle diverse gestioni dell'AGO, della gestione separata e nei fondi sosititutivi ed esclusivi della stessa. 

Per valorizzare i contributi versati nel fondo clero resta in pista, quindi, solo la totalizzazione nazionale. In tal caso la pensione, la cui composizione e il pagamento competono solo all'Inps, è costituita dalla somma delle quote dei contributi, tutti e per intero, custoditi nelle diverse previdenze. Fra i requisiti sono richiesti 65 anni di età (uomini e donne) e 3 mesi e 20 anni di contributi oppure 40 di contributi e 3 mesi indipendentemente dall'età. Gli interessati possono aver già maturato il diritto alla pensione in una delle gestioni in cui hanno versato i contributi. Chi sceglie di uscire con la totalizzazione sconta però una finestra mobile di 18 mensilità nel primo caso e di 21 mesi nel secondo.

In ultima ipotesi qualora l'iscritto possa far valere contribuzione versata nell'AGO in misura insufficiente per il diritto ad una pensione autonoma e/o non possa (o non voglia) fruire della totalizzazione si ricorda che può essere ottenuta una pensione supplementare a carico di tale assicurazione.

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Le amministrazioni potranno riassorbire i dipendenti con vari strumenti. Il primo è il prepensionamento, secondo le regole ante Fornero, a condizione che la decorrenza della pensione si verifichi entro il 31 dicembre 2016. 

Kamsin Palazzo Vidoni conferma il ricorso al prepensionamento come prima strada per gestire il personale delle province in esubero. Secondo stime sindacali su oltre 20mila dipendenti da ricollocare saranno quasi 5mila coloro che saranno forzosamente collocati in pensione con le vecchie regole. I dettagli si sapranno però non prima del 31 Marzo, termine entro il quale le amministrazioni provinciali dovranno individuare nominativamente il personale eccedentario che dovrà essere ricollocato.

Secondo quanto previsto dalla Circolare della Funzione Pubblica 1/2015, anticipata da pensionioggi.it lo scorso 27 Gennaio, in pratica entro il 31 marzo si dovrà provvedere all’individuazione nominativa dei dipendenti in soprannumero. Si dovrà, quindi, cercare di riassorbire questi dipendenti con vari strumenti. Il primo è il prepensionamento, secondo le regole ante Fornero. Il secondo è l’inserimento nei ruoli regionali, per le funzioni in precedenza finanziate tramite trasferimenti alle province ovvero per le funzioni che la stessa Regione decida di mantenere. In quest’ultimo caso, i dipendenti provinciali assorbono le facoltà assunzionali dell’ente ricevente. Se non riesce l’operazione in Regione, si può tentare con i Comuni e, infine, con le amministrazioni periferiche dello Stato, ma in questi ultimi casi, la partita è gestita dalla stessa Funzione pubblica. I dipendenti provinciali ancora in soprannumero al 31 dicembre 2016 saranno collocati in disponibilità.

Per quanto riguarda il prepensionamento le amministrazioni potranno ricorrere a tale strumento solo a condizione che il personale, dichiarato in soprannumero, abbia maturato la decorrenza della pensione, calcolata secondo le vecchie regole pensionistiche entro il 31 dicembre 2016. Vale a dire, quindi, che i dipendenti devono aver raggiunto la quota 97,3 con almeno 61 anni e 3 mesi di età entro il 30 Dicembre 2015 oppure i 65 anni e 3 mesi e 20 anni di contributi entro la medesima data. Ciò perchè è necessario calcolare una finestra mobile di 12 mensilità. Per chi accede alla pensione indipendentemente dal requisito anagrafico, cioè con i vecchi 40 anni di contributi, i requisiti vanno maturati entro il 30 settembre 2015 (la legge 111/2011 ha infatti introdotto una finestra mobile di 15 mensilità).

Secondo quanto stabilito dalla Circolare della Funzione Pubblica 4/2014 l'ente pubblico dovrà, prima di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro chiedere all'Inps la certificazione del diritto a pensione e della relativa decorrenza. L'istituto previdenziale avrà trenta giorni di tempo per fornire la risposta richiedendo, eventualmente, l'ulteriore certificazione di eventuali periodi mancanti. Il passaggio presso l'Inps è fondamentale tanto che si specifica che la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei limiti del soprannumero potrà pertanto avvenire solo ed esclusivamente dopo aver acquisito la certificazione da parte dell'istituto di previdenza.

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