Pensioni

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Con l'approvazione definitiva del Dl 90/2014 l'impianto complessivo della Riforma Fornero non è stato cambiato. La pensione anticipata resta conseguibile al perfezionamento di 41 anni e 6 mesi di contributi (42 anni e 6 mesi per gli uomini). Kamsin La pensione di vecchiaia è ottenibile al perfezionamento di 66 anni e 3 mesi per gli uomini del settore privato e pubblico (e lavoratrici del settore pubblico); 63 anni e 9 mesi per le lavoratrici del settore privato; 64 e 9 mesi per le autonome.

Per i dipendenti pubblici viene introdotta tuttavia la facoltà alle Pa di risolvere il rapporto di lavoro al compimento del 62esimo di età (65 anni per i medici) qualora il lavoratore abbia raggiunto la massima anzianità contributiva. In altri termini l'amministrazione potrà unilateralmente mandare a casa, con una decisione motivata, chi ha raggiunto i 42 anni e 6 mesi di contributi (41 anni e 6 mesi per le donne), dirigenti compresi. L'altra innovazione del Dl Madia, sul comparto pubblico, è l'abolizione definitiva dei trattenimenti in servizio a partire dal 31 Ottobre 2014, una novità che nei fatti può comportare una breve anticipazione dell'età pensionabile.

Il decreto invece non tocca l'adeguamento periodico alla stima di vita. Pertanto resta confermato dal prossimo triennio 2016-2018 l'incremento dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia e di quelli contributivi per la pensione anticipata. Adeguamento che, si stima, sarà pari a 4 mesi. Questo significa che, ad esempio, dal 1° gennaio 2016 per la pensione anticipata saranno richiesti 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

Confermato anche il sistema di penalizzazioni che colpisce i lavoratori che accedono alla pensione anticipata prima del 62esimo anno di età. Qualora si chieda la pensione anticipata prima dei 62 anni di età, l'assegno viene corrisposto, per la quota retributiva, con una riduzione pari all'1% per ogni anno di anticipo, percentuale che sale al 2%, per ogni anno di anticipo che supera i 2. Ad esempio se si richiede la pensione anticipata dopo aver raggiunto i 42 anni a 60 anni, si riscuoterà, per la quota di pensione calcolata con il sistema retributivo (riferito all'anzianità accumulata sino a tutto il 2011), un assegno decurtato del 2%. Se invece la si richiede a 59 anni di età la decurtazione sale al 4%.

Il Dl 216/2011, approvato subito dopo la riforma Fornero, esclude dall'applicazione delle riduzioni percentuali i trattamenti liquidati in favore di coloro che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017. Ciò a condizione che il possesso del requisito, derivi da: prestazione effettiva di lavoro; periodi di astensione obbligatoria per maternità, assolvimento degli obblighi di leva, infortunio o malattia; periodi di cassa integrazione ordinaria; astensione dal lavoro per la donazione di sangue; congedi parentali di maternità e paternità; congedi e permessi con riferimento a persone con handicap in situazione di gravità. Nel passaggio alla Camera della riforma Madia era stato approvato un emendamento che escludeva dalle penalizzazioni anche chi raggiungeva il requisito dei 42 anni con l'aiuto della contribuzione figurativa, da riscatto (laurea ad esempio) o da contribuzione volontaria. Dopo la bocciatura della Ragioneria generale, e l'approvazione definitiva del provvedimento, le penalizzazioni restano alle condizioni sopra descritte. Su questo fronte ci si aspettava un maggiore coraggio da parte del governo.

Nulla di nuovo anche per quanto riguarda l'opzione donna. Le donne che vogliono andare in pensione con le vecchie regole — ossia a 57 anni di età con 35 di contributi (58 anni se lavoratrici autonome) — possono continuare a farlo, in via eccezionale sino al 2015, scegliendo un trattamento calcolato interamente con il sistema contributivo a condizione che la finestra si apra entro e non oltre il 31.12.2015.

Riforma Pensioni, stop al trattenimento in servizio nella scuolaZedde

''Anziche' pretendere inutilmente di accelerare la discussione sull'abolizione dell'articolo 18 inserendola gia' nel prossimo Sblocca-Italia, (richiesta giustamente respinta dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini), Alfano farebbe bene a chiarire nel primo Consiglio dei ministri utile che fine ha fatto ''Quota 96'' degli insegnanti''.Kamsin  E' quanto dichiara in una nota Cesare Damiano, Pd, presidente della Commissione Lavoro della Camera. ''Invece di spiegarci che rendere liberi i licenziamenti favorisce l'occupazione, cosa del tutto indimostrata e fantasiosa, l'NCD potrebbe piu' concretamente sostenere che mandare in pensione 4 mila insegnanti, rimasti intrappolati dalla 'riforma' Fornero, potrebbe favorire l'assunzione di altrettanti giovani docenti gia' nell'autunno. Il Governo - rimarca Damiano - sblocchi 'Quota 96'': sarebbe un piccolo contributo per alleviare la disoccupazione giovanile''

"Ci sono quattromila persone che vorrebbero andare in pensione, che ne hanno legittima aspettativa, non direi un diritto, ma il problema non sono quei quattromila, che un lavoro ce l'hanno, bensì i milioni di persone che non ce l'hanno". Così ieri il Primo Ministro, intervenendo alla trasmissione "Millennium" su Rai3 ha affrontato la questione delle pensioni dei Quota 96 del 2012.

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Complice il peggioramento dei conti pubblici su cui pesa l'allontanarsi della ripresa economica i tecnici al ministero dell'economia potrebbero riaprire il dossier pensioni per recuperare alcune risorse nel frattempo disperse. Kamsin Il capitolo vale infatti 236 miliardi di euro nel bilancio dello Stato e non è da escludersi che il commissario Cottarelli possa nuovamente aprirlo. Con grande prudenza, il ministero del Tesoro si sta muovendo per cercare di capire in quale direzione agire e l'area individuata è quella delle pensioni più alte. Soprattutto per finanziare i vari correttivi per risolvere diversi nodi ancora aperti, come i quota 96 della scuola, lo stop alle penalizzazioni ed una maggiore gradualità in uscita. L'occhio è puntato in particolare sui trattamenti frutto del calcolo retributivo.

Ebbene l'ipotesi di riforma che circola in Via XX Settembre, riportata da alcuni quotidiani nazionali tra cui "Il Mattino", è applicare un contributo di solidarietà solo sulla parte dell'assegno previdenziale maturato con il sistema retributivo. La materia è scivolosa e fonti vicine al dossier raccontano che l'attenzione si è concentrata su una opzione che riguarda le pensioni che superano i 62 mila euro. In quell'area ci sono 186 mila persone (pari all'1,1% di tutti i pensionati) il cui costo è di 15 miliardi: il 5,5% del totale. L'ipotesi è applicare 4 aliquote (8, 21, 28 e 37%) sulla parte di pensione maturata con il retributivo. Una scelta questa che potrebbe portare risparmi previdenziali pari a circa 800 milioni. Una versione applicata ad una platea più estesa è stata invece tentata prendendo in esame i pensionati sopra i 35 mila euro.

Una soglia scelta non a caso in quanto si tratta di persone a riposo (600 mila individui) che stanno già pagando il blocco delle indicizzazioni all'inflazione previsto fino al 2016. In questo caso i risparmi di spesa, secondo una stima prudenziale, salgono fino a 2 miliardi di euro. Tuttavia, precisa chi sta seguendo la vicenda, questa pista è stata messa da parte. Sull'intero dossier, comunque, pesano un paio di incognite. In primo luogo perchè i dati Inps, in particolare per quanto riguarda i dipendenti pubblici, rendono difficile la ricostruzione della carriera previdenziale di centinaia di migliaia di italiani. E in secondo luogo perchè un provvedimento che taglia una pensione già maturata in forza di regole successive, espone il fianco alla censura della Corte Costituzionale.

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Pubblichiamo di seguito una lettera ricevuta dal Senatore di Scelta Civica, Pietro Ichino. Caro direttore, a quasi tre anni dalla riforma delle pensioni del 2011, tra coloro che si qualificano come «esodati» non ce n'è più uno che possa essere indicato come tale secondo il significato originario del termine. Kamsin  I provvedimenti di «salvaguardia» adottati nel 2011 e 2012 hanno infatti esentato dall'applicazione dei nuovi requisiti per il pensionamento tutti coloro che avessero perso il lavoro prima della riforma per effetto di un accordo individuale o collettivo di incentivazione all'esodo, stipulato in considerazione di un prossimo pensionamento secondo la vecchia disciplina. Sono stati poi «salvaguardati» anche tutti i lavoratori licenziati negli anni 2007-2011, i quali fossero destinati a maturare i requisiti per la pensione secondo le vecchie regole entro tre anni dalla riforma, cioè entro il 2014.

Qual è, dunque, la situazione delle persone che frequentano le trasmissioni telefoniche e radiofoniche presentandosi come «esodate» e rivendicando un diritto a essere prepensionate? In gran parte, quando non si tratta di persone che per poche settimane o mesi di differenza sono state costrette a rimanere al lavoro più a lungo di quanto desideravano, sono ultracinquantenni che hanno perso la loro ultima occupazione, per i motivi più vari, uno, cinque, dieci o quindici anni fa. Così stando le cose, dobbiamo metterci d'accordo: se riteniamo che, perso il lavoro, gli ultracinquantenni non possano ritrovarlo e debbano quindi essere in qualche modo accompagnati alla pensione, come si faceva normalmente fino al novembre 2011, allora diciamo apertamente che intendiamo abrogare la riforma.

Però, allora, diciamo anche che consideriamo giusto continuare ad accollare la pensione di questi cinquantenni e sessantenni alle nuove generazioni, che in pensione andranno a 70 anni o poco prima: perché, con una attesa di vita di oltre 80 anni, l'anzianità contributiva normale di 30-40 anni con cui si andava in quiescenza nei decenni passati non basta per il finanziamento di un trattamento decente destinato a durare 20 o 25 anni. E diciamo chiaramente che rinunciamo ad allineare il tasso di occupazione degli italiani tra i 50 e i 65 anni di età (oggi circa uno su tre) alla media europea (uno su due). Se invece consideriamo giusti gli obiettivi della riforma del 2011, riteniamo cioè necessario aumentare il tasso di occupazione degli anziani e darci un sistema previdenziale capace di camminare sulle sue gambe; se consideriamo — sulla base dei dati forniti dal ministero del Lavoro — che nell'ultimo anno 1,6 milioni di contratti regolari in Italia sono stati stipulati con persone ultracinquantenni e circa un quarto di questi con ultrasessantenni; se infine siamo convinti che il sistema ante 2011 di prepensionare tutti i cinquantenni o sessantenni che perdevano il posto sia, oltre che sbagliato, anche improponibile sul piano politico in Europa oggi; se di tutto questo siamo convinti, allora dobbiamo affrontare il problema di questi disoccupati nei termini appropriati: cioè come un problema, appunto, di disoccupazione, reso più difficile dall'età degli interessati.

 Se disponiamo di risorse da destinare alla sua soluzione, istituiamo per queste persone una indennità non finalizzata alla loro espulsione definitiva dal mercato del lavoro, ma, al contrario, condizionata al loro rimanere in esso attive e disponibili; consentiamo a chi le assume di beneficiare di un contributo correlato alla parte non goduta dell'indennità; istituiamo la possibilità di pensionamento parziale combinabile con il part-time o altre forme di flessibilità dell'età di pensionamento. Ma sempre con l'obiettivo di promuovere e incentivare l'invecchiamento attivo, evitando tutto ciò che invece lo disincentiva. L'errore peggiore, comunque, è quello del rimanere in mezzo al guado, del fare e disfare, come accadde nel 2007, quando il ministro Damiano disfece la riforma del suo predecessore Maroni.

Se non vogliamo tornare indietro, dobbiamo orientare tutti gli interventi a un mutamento profondo della nostra cultura diffusa, che è alla base dei comportamenti e delle vecchie strategie di vita dalle quali è nato il problema degli «esodati» vecchi e nuovi. Mi riferisco alla cultura della job property, che rende vischiosissimo il nostro mercato del lavoro; quella per cui la progressione retributiva è affidata non alla possibilità effettiva di spostarsi dove il proprio lavoro è meglio valorizzato, ma agli scatti di anzianità, che frenano pesantemente la mobilità dei più anziani; quella per cui se il «diritto fondamentale» al posto di lavoro viene «leso» con il licenziamento, l'unico risarcimento possibile è la cassa integrazione per anni e poi il prepensionamento. Tutto si tiene. Dobbiamo passare da un vecchio equilibrio di sistema a uno nuovo. E, come sempre, spostarsi da un equilibrio a un altro è tutt'altro che facile. Ma non abbiamo alternative: di vie facili d'uscita dalla nostra arretratezza non ce ne sono.

Esodati, settimana chiave per la certificazione della quarta salvaguardiaZedde

Nello "sblocca Italia", uno dei provvedimenti in discussione a Palazzo Chigi il prossimo 29 Agosto non ci saranno novità per quanto riguarda il settore previdenziale. E' quanto si apprende da fonti vicine all'esecutivo che stanno mettendo a punto il decreto legge con misure per semplificare l'edizilia e sbloccare la burocrazia per le infrastrutture. Kamsin  Nel provvedimento ci saranno probabilmente anche alcune norme sul ruolo che potrebbe avere Cassa depositi e prestiti nel finanziamento di nuovi progetti e nel lancio di nuovi strumenti finanziari.
Nel decreto ci sarà quindi il commissariamento di grandi opere ferroviarie come la Napoli-Bari e la Brescia-Padova e altre forme di accelerazione procedurale; una riduzione della soglia minima di accesso al credito di imposta in favore di privati che finanziano infrastrutture (da 200 milioni a 50 milioni).

Molte le norme sull'edilizia: la Scia sarà sufficiente, al posto del permesso di costruire, per il frazionamento o l'accorpamento di unità immobiliare con aumento delle unità immobiliari o variazione del «carico urbanistico» e in tutti i casi di manutenzione straordinaria. Sarà limitato il potere di autotutela dell'amministrazione nel rilascio della Scia. L'agibilità degli edifici sarà attestata dai direttori lavori, lo sportello unico attesterà il silenzio-assenso sulla richiesta di rilascio di permessi di costruire, le Regioni avranno inoltre poteri sostitutivi sui piani urbanistici attuativi, le opere di urbanizzazione potranno essere affidate direttamente ai soggetti attuatori degli interventi complessi di riqualificazione urbana.

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Niente da fare per una rapida approvazione del disegno di legge in materia di sesta salvaguardia. Il provvedimento è stato approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati all'inizio del mese di luglio. Kamsin Ora, complice la chiusura dei lavori di Palazzo Madama sino al 31 Agosto, il provvedimento inizierà probabilmente l'iter conclusivo non prima di metà Settembre. Anche perchè ancora ad oggi non è stata fissata una data per la sua trattazione in Commissione Lavoro al Senato.

I tempi piu' lunghi comporteranno non solo maggiore ansia per i potenziali beneficiari del provvedimento, ma anche una sorta di decurtazione dell'assegno pensionistico. Il ddl infatti specifica che la pensione, per tali soggetti, non potrà avere decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del ddl. Pertanto piu' slitta in avanti l'approvazione del provvedimento più sarà posticipata la data di percezione del primo rateo in regime di salvaguardia.

Il ddl sulla sesta salvaguardia - Il ddl sulla sesta salvaguardia prevede, nella sua versione uscita da Montecitorio, la tutela di ulteriori 32.100 lavoratori appartenenti ai seguenti profili: a) lavoratori in mobilità (5.500 soggetti); b) prosecutori volontari (12.000 soggetti); c) lavoratori cessati per accordi individuali o collettivi, licenziati individuali (8.800 soggetti);  d) lavoratori in congedo per la cura di parenti disabili (1.800 soggetti). Ed estende inoltre la platea dei beneficiari anche ad una nuova categoria: e) i cessati da un rapporto di lavoro a tempo determinato (4mila soggetti). (Qui lo strumento di Pensioni Oggi per verificare in anteprima la possibilità di accedere al beneficio).

Intervento che viene attuato attraverso 8.100 nuove posizioni da finanziarie e 24mila già finanziate ma non utilizzate. Si tratta nello specifico di 20mila posizioni derivanti dalla seconda salvaguardia che viene pertanto ridotta da 55mila a 35mila posizioni (con un intervento chirurgico sull'articolo 22, comma 1, lettera a) del Dl 95/2012 che riduce la capienza del contingente da 40mila a 20mila posti) e da 4mila posizioni rese disponibili nella quarta salvaguardia che vede ridursi la capienza del contingente dei cessati unilaterali da 6.500 posizioni a 2.500 (l'intervento opera sull'articolo 11, comma 2 del Dl 102/2013).

Esodati, tutti i dettagli della sesta salvaguardiaZedde

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