In particolare, gli statali che avevano raggiunto la quota 96 entro il dicembre 2011 (60 anni e 36 di contributi o 61 e 36 di contributi) entro la fine di quest'anno compiranno l'età ordinamentale massima per restare in servizio, cioè i 65 anni. E pertanto saranno messi a riposo d'ufficio dall'amministrazione statale di appartenenza. Su questi soggetti pesa il fatto di non poter beneficiare dell'allungamento dell'età pensionabile avvenuto dal 2012 con la Legge Fornero (in quanto avevano già acquisito il diritto alla pensione prima del 2012) nè la possibilità di chiedere il trattenimento in servizio atteso che tale istituto è stato abrogato con effetto dal 1° novembre 2014 con il decreto legge sulla Pa. Per effetto di tali modifiche lo scorso anno, ricorda l'Upb, sono stati già collocati in pensione d'ufficio ben 5.201 dipendenti pubblici, per la maggior parte donne (3.157), che avevano raggiunto un diritto a pensione al compimento del limite ordinamentale per la permanenza in servizio o comunque prima dell'età pensionabile di vecchiaia. Per il 2016 i numeri non dovrebbero scostarsi troppo da quelli dello scorso anno.
La permanenza in servizio dopo aver acquisito il diritto alla pensione, ricordano dall'Upb, è una libera scelta del dipendente statale che viene utilizzata soprattutto per maturare una pensione e un trattamento di fine servizio più elevato. Su questi dati pesano anche gli effetti del pagamento delle indennità di buonuscita, dato che se il dipendente si dimette dovrà attendere oltre 2 anni per vedere i primi denari mentre se attende il limite ordinamentale i termini di pagamento si riducono a sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Un fattore che ha incentivato, per coloro che hanno potuto farlo, la permanenza in servizio.
Fanno eccezione a questi dati i magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, professori universitari dirigenti medici e del ruolo sanitario per i quali, il limite ordinamentale per le cessazioni d'ufficio è a 70 anni.