Redazione

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L'esecutivo è impegnato nella soluzione della vicenda dei Quota 96 della Scuola in occasione della Riforma della Scuola.

Kamsin "C'è la volontà del Governo a impegnarsi ad affrontare in via risolutiva, già dalla prossima primavera e nel contesto del citato piano «La buona scuola», anche la questione concernente i lavoratori di «quota 96 della scuola. " Così il Sottosegretario al Welfare Teresa Bellanova ha risposto ieri all'interrogazione promossa dall'Onorevole Marialuisa Ghizzoni in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati.

L'Onorevole Ghizzoni ha evidenziato come la riforma pensionistica, introdotta dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, risulti viziata da un errore essenziale, peraltro ammesso dallo stesso ex Ministro Fornero, riguardante i lavoratori del comparto scuola. Tale riforma - ha precisato la Ghizzoni - non ha tenuto conto della specificità del comparto, nel quale l'accesso al pensionamento è concesso un solo giorno all'anno, il 1o settembre, in considerazione della continuità didattica che deve essere garantita agli studenti. 

La Risposta integrale del Sottosegretario Bellanova - Gli Onorevoli interroganti – con il presente atto parlamentare – richiamano l'attenzione del Governo sugli effetti prodotti dalla riforma pensionistica introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto decreto Salva Italia) nei confronti del personale appartenente al comparto scuola.
  La predetta riforma – entrata in vigore a decorrere dal 1o gennaio 2012 – ha introdotto nuovi e più rigidi requisiti per l'accesso al pensionamento, facendo, tuttavia, salva l'applicazione della previgente normativa – basata sul cosiddetto sistema delle quote – nei confronti di quei soggetti che maturassero i requisiti pensionistici entro il 31 dicembre 2011.
  Al contempo la predetta riforma, a protezione di particolari categorie di soggetti che, con l'entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia pensionistica, si sarebbero ritrovate prive di retribuzione e di pensione, ha introdotto deroghe e salvaguardie in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto «Salva Italia».
  Con particolare riferimento al comparto scuola non sono state riscontrate specificità di carattere previdenziale tali da giustificare una regolamentazione differenziata (deroghe o salvaguardie) rispetto alla generalità dei lavoratori.
  L'unica specificità rispetto ai dipendenti civili di altri comparti è costituita, infatti, dall'obbligo, per il personale della scuola, di accedere al pensionamento il 1o settembre di ogni anno, circostanza, di per sé, non ritenuta idonea dal Legislatore del 2011 a giustificare una deroga alle nuove previsioni generali di cui all'articolo 24 del decreto Salva Italia.
  Conseguentemente, le deroghe ai nuovi requisiti di accesso al pensionamento non trovano applicazione nei confronti di quei lavoratori appartenenti al comparto scuola che hanno maturato i requisiti pensionistici nei corso dell'anno scolastico 2011/2012, con decorrenza dal 1o gennaio 2012.
  In tale contesto di riferimento, tengo a precisare che la questione prospettata dagli onorevoli interroganti è stata più volte sottoposta all'attenzione del Governo che ha provveduto ad avviare i dovuti approfondimenti soprattutto in ordine alla reperibilità della necessaria copertura finanziaria, al fine di garantire una positiva soluzione della vicenda.
  A tal riguardo è utile ribadire quanto affermato dal Vice Ministro Morando nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità presso la Commissione bilancio della Camera. In tale occasione è stato evidenziato come il Governo sia oramai prossimo all'adozione di un intervento normativo di notevole rilievo volto ad incidere profondamente sul mondo della scuola e principalmente orientato a favorire il ricambio generazionale del corpo docente.
  Il Vice Ministro ha auspicato che la definizione dell'intervento richiesto dagli interroganti possa avere luogo nell'ambito della realizzazione del più complessivo piano di riforma denominato «La buona scuola», secondo una tempistica tale da assicurare che il nuovo impianto regolatorio possa entrare in vigore a partire dall'anno scolastico 2015-2016 e ha manifestato la volontà del Governo a impegnarsi ad affrontare in via risolutiva, già dalla prossima primavera e nel contesto del citato piano «La buona scuola», anche la questione concernente i lavoratori di «quota 96».

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Siamo in attesa della correzione della circolare dell’INPS per quanto riguarda la cosiddetta Opzione Donna, vale a dire la possibilita’ per le lavoratrici di andare in pensione all’eta’ di 57 anni se dipendenti e 58 se autonome con 35 anni di contributi, con il sistema contributivo”. Lo dichiara Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera.

Kamsin “Una interpretazione restrittiva dell’INPS – spiega -  fissava al 31 dicembre 2015 la decorrenza del trattamento pensionistico anziche’ la maturazione del requisito. E’ da tempo che stiamo aspettando questa correzione che dovrebbe essere pacifica e condivisa”.  “Ci auguriamo che vengano superate tutte le inerzie burocratiche e che si giunga rapidamente a conclusione di questa ennesima vicenda di ingiustizia sociale, soprattutto in un periodo di grande sofferenza e di incertezza occupazionale e pensionistica per le lavoratrici”, conclude il presidente della Commissione Lavoro della Camera.

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Una circolare del Ministero del Lavoro precisa gli effetti della Riforma dei trattamenti in deroga. Gli studi professionali e i sindacati restano fuori dai benefici.

Kamsin Sindacati e studi professionali restano fuori dagli ammortizzatori in deroga. E' quanto ha ribadito il ministero del lavoro nella nota prot. n. 5425/2014 con cui ha risposto a diversi quesiti posti delle regioni in merito agli aspetti operativi del Dm 83473/2014, il provvedimento ce ha riformato i criteri per la concessione di cig e mobilità in deroga. I professionisti e i sindacati, pertanto, non vi possorio far ricorso, dato che i trattamenti sono riservati esclusivamente alle imprese. Tra queste sono inclusi anche i c.d. piccoli imprenditori, che sono i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani e i piccoli commercianti perché anche loro sottoposti allo statuto generale dell'imprenditore.

Inoltre, precisa la circolare, possono farvi ricorso anche le cooperative sociali di cui alla legge n. 381 del 1991, con riferimento ai lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato, in quanto anch'esse rientranti nella nozione d'impresa di cui al codice civile. Il ministero precisa, infine, che invece sono esclusi dal campo di applicazione gli studi professionali e le associazioni dei sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro.

In base ai nuovi criteri, la fruizione della cig in deroga è possibile a condizione che l'impresa abbia previamente utilizzato gli strumenti ordinari di flessibilità (ferie residue e maturate, permessi, banca ore, ecc.). Il ministero precisa che tra gli strumenti ordinari di flessibilità si inseriscono anche gli istituti di fonte contrattuale. Inoltre, che per ferie residue e maturate si devono intendere quelle residue dell'anno precedente e quelle maturate fino alla data d'inizio delle sospensioni, mentre sono da escludersi le ferie programmate che coincidono ad esempio con le chiusure aziendali.

Il ministero precisa, ancora, che cig e mobilità in deroga non possono essere concessi in favore dei lavoratori per i quali ricorrono le condizioni di accesso alle analoghe prestazioni previste dalla normativa vigente. Pertanto è da escludersi la concessione della mobilità in deroga ai lavoratori in possesso dei requisiti per accedere prioritariamente alla mobilità ordinaria (ex legge n. 223/1991), alle indennità Aspi e MiniAspi, alle indennità di disoccupazione agricola con requisiti ordinari e ridotti.  Parimenti, secondo la circolare, non è possibile concedere la mobilità in deroga a seguito della conclusione della fruizione di quella ordinaria, dell'indennità Aspi o MiniAspi, delle indennità di disoccupazione agricola.

Per quanto riguarda, infine, la durata, secondo il ministero in riferimento ai lavoratori che, alla data di decorrenza della mobilità, abbiano già fruito di tali prestazioni (mobilità in deroga) per un periodo inferiore a tre anni, può essere concesso, nel corso dell'anno 2014 (gennaio/dicembre senza possibilità di proroga nel 2015), per un ulteriore periodo di sette mesi non ulteriormente prorogabili, più ulteriori tre mesi per i lavoratori residenti nel Mezzogiorno (ex dpr n. 218/1978). La durata massima consentita è calcolata considerando anche tutti i periodi di mobilità già concessi nell'annualità di riferimento per effetto di accordi stipulati in data anteriore all'entrata in vigore del decreto.

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Da sciogliere ancora il nodo sulle piccole imprese, quelle sotto i 16 dipendenti per le quali oggi non trova applicazione l'articolo 18. Possibile un dimezzamento degli indennizzi ed un tetto a 6 mensilità.

Kamsin La vigilia di Natale arriverà il primo decreto attuativo del Jobs act, quello sul contratto a tutele crescenti, uno dei più delicati. E' quanto si apprende oggi da fonti vicino all'esecutivo che confermano come il governo voglia accelerare sulla riforma del mercato del lavoro.

Obiettivo: fare in modo che da gennaio le nuove norme siano pienamente operative così da produrre il più presto possibile i primi effetti sull’occupazione. Ieri mentre il ministro del Lavoro Giuliano Poletti annunciava la convocazione delle parti sociali a le parti sociali per i decreti Palazzo Chigi per venerdì mattina, c'è stato un vertice Renzi-Poletti-Delrio proprio sui decreti attuativi. Renzi ha usato il plurale, ma in realtà la settimana prossima dovrebbe essere pronto un solo decreto: quello sul contratto a tutele crescenti.

Con la Riforma le tutele dell’art.18 non varranno più per i licenziamenti economici: il lavoratore non potrà più ricorrere al giudice per chiedere il reintegro nel posto di lavoro, gli spetterà invece «un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio».

L'indennizzo che si ipotizza sarà pari ad una mensilità e mezza ogni anno di anzianità di servizio sino ad un tetto di 24 mensilità. In ogni caso, per limitare il ricorso al giudice, sarà incentivata la conciliazione: l’azienda potrebbe versare subito un indennizzo al lavoratore, fino a 18 mensilità esentasse, con la possibilità di chiudere l’accordo in un mese. A differenza di quanto avviene ora, il reintegro non sarà più possibile nemmeno se la motivazione è «manifestamente insussistente».

Stessa sorte anche per i licenziamenti disciplinare anche se la legge 183/2014 salva la reintegra per «specifiche fattispecie. In queste circostanze, che dovranno essere individuate nel decreto legislativo, il giudice potrà disporre ancora il reintegro al posto di lavoro. Gli altri decreti, a cominciare dalla riforma Aspi, dovrebbero arrivare invece nei primi mesi del 2015.

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Il Governo ha presentato un emendamento al ddl di stabilità secondo il quale i dipendenti in esubero dovranno essere riassorbiti nelle Regioni attraverso procedure di mobilità.

Kamsin Per la gestione del personale in soprannumero nelle nuove province, il Governo non dovrebbe fare ricorso a nuovi prepensionamenti. L'ipotesi era stata rilanciata nei giorni scorsi soprattutto dalle Regioni e dagli enti locali che chiedevano la possibilità di collocare in pensione, in deroga alla Riforma Fornero, tutti coloro che maturano un diritto previdenziale, con le vecchie regole, entro il 2018.

Per evitare la creazione di una nuova Deroga al sistema Fornero, che avrebbe suscitato l'ira degli altri lavoratori del settore pubblico e privato (ad iniziare dai quota 96 della scuola), l'esecutivo ha, infatti, deciso di rinunciare a questa strada per praticare solo la via della mobilità. L'emendamento presentato prevede l'alleggerimento della dotazione organica, che dovrà dimezzare la spesa delle province che rimangono tali e ridurrà del 30 per cento in quelle che si trasformeranno in città metropolitane.

Regioni e Comuni dovranno, pertanto, se passerà la modifica (non sono esclusi colpi di scena), prenderli in carico, sfruttando per questa finalità tutte le proprie possibilità di assunzione dal 2015 in poi, comprimendo, fanno osservare i sindacati, le possibilità assunzionali dei giovani risultati idonei ma non vincitori di concorso. Oltre che negli uffici di Comuni e Province, i dipendenti provinciali potrebbero finire in quelli statali, ed in particolare giudiziari: è nota la penuria di personale delle cancellerie che però potrebbero assorbire al massimo 2-3 mila persone. Per il governo se le Regioni non vorranno farsi carico del personale in esubero, questo non potrà che proseguire il percorso della mobilità (retribuzione all’80 per cento e in prospettiva cessazione del rapporto di lavoro).

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