Si tratta di un lavoratore che, cessato il rapporto di lavoro con un’azienda associata e passato alle dipendenze di un altro datore di lavoro, non aveva esercitato il riscatto della posizione individuale optando per il mantenimento della posizione individuale presso il pregresso fondo. Il lavoratore aveva quindi manifestato la volontà di destinare il premio di risultato che sarebbe maturato presso il nuovo datore di lavoro al precedente fondo ancorché il datore di lavoro non fosse stato associato allo stesso. L'iscritto, in particolare, intendeva attivare l'opzione prevista dal comma 184-bis dell’articolo 1 della legge 208/2015 secondo la quale i dipendenti possono convertire il premio di risultato destinatario della tassazione agevolata al 10% da valore monetario a contributo a forme di previdenza complementare. Tale opzione è stata rafforzata dal legislatore dal 2017 con l'incremento del contributo fiscalmente deducibile dal reddito del lavoratore, salito nella misura complessiva di 8.164,57€ in deroga al limite annuale generale previsto in 5.164,57 euro.
Secondo la Covip l'operazione è possibile a condizione che il contratto collettivo aziendale o territoriale non obblighi il versamento al fondo di comparto. Il documento spiega, infatti, che la scelta in ordine alla conversione del premio di risultato e alla sua devoluzione a previdenza complementare non è totalmente rimessa in capo al singolo lavoratore, dovendo trovare la sua principale legittimazione in un accordo collettivo di secondo livello che lo preveda. Pertanto, in presenza di un contratto collettivo che consenta la conversione dei premi di risultato in contributi alla previdenza complementare, i lavoratori potranno destinare tali contributi ad una forma pensionistica complementare anche diversa da quella contrattuale di riferimento, come nel caso rappresentato, laddove la contrattazione collettiva aziendale o territoriale non disponga diversamente.