La decisione della Corte di Cassazione numero 32003 dell'11 dicembre 2018 riafferma l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in merito al riconoscimento della maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto di cui all'articolo 13, co. 8 della legge 257/92 (50% ai fini del diritto e della misura, dal 2003 25% solo ai fini della misura) secondo la quale ai fini dell'applicazione della legge non ha nessuna rilevanza né la qualifica funzionale rivestita, né la tipologia di esposizione all'amianto (diretta o indiretta) subita dal lavoratore.
La questione ha tratto origine da un ricorso di un ex saldatore che, prima del compimento del periodo decennale di esposizione alla sostanza morbigena, era divenuto responsabile del servizio manutenzione e dei servizi generali di stabilimento e poi era passato, con le stesse mansioni, alla categoria quadri fino alla cessazione del rapporto di lavoro il 29 Aprile 1994. La Corte d'Appello aveva respinto la domanda per il conseguimento della maggiorazione contributiva da amianto ritenendo che l'indubbia prevalenza dell'attività impiegatizia rispetto a quella operaia avesse escluso il contatto diretto con la sostanza nociva. Da qui il ricorso dell'ex lavoratore per Cassazione.
La decisione della Cassazione
Secondo i giudici di Piazza Cavour i c.d. benefici previdenziali per esposizione all'amianto si riferiscono a tutti i lavoratori dipendenti, a qualunque categoria essi appartengano, purchè essi siano stati comunque esposti all'amianto. In particolare, ai fini del diritto ai medesimi benefici conta qualunque tipo di esposizione che raggiunga la soglia dettata ai sensi del d.lgs. 277/1991 per il periodo ultradecennale previsto dal legislatore, sia essa diretta o indiretta non essendoci alcuna limitazione legislativa dal punto di vista delle qualifiche rivestite dal lavoratore. Il termine "esposizione", precisano i giudici, non può che essere inteso nel suo significato ampio, riferito a tutto l'ambiente di lavoro, in una palese logica del rischio ambientale, per cui è esposto al rischio non solo l'operaio che è addetto o a contatto con le lavorazioni che utilizzano amianto, ma anche chi (a qualunque categoria lavorativa appartenga) svolga la sua attività in ambienti nei quali vi sia comunque diffusione e concentrazione di amianto, addetto o meno a specifiche lavorazioni dell'amianto.
Nel caso di specie, pertanto, i giudici hanno accolto il ricorso dell'ex lavoratore essendo stato dimostrato, con apposita CTU, che nello stabilimento si fossero svolte operazioni in grado di portare alla liberazione di fibre di amianto con conseguente inquinamento ambientale ed esposizione dei lavoratori che - a prescindere dalle qualifiche funzionali rivestite - erano coinvolti in queste operazioni o che comunque vi lavoravano nelle immediate vicinanze.