La maggiorazione da amianto non consente di neutralizzare i periodi di contribuzione meno favorevoli accreditati negli ultimi anni di carriera lavorativa dell’assicurato. E quindi non determina un aumento della retribuzione media settimanale pensionabile utile ai fini del calcolo delle quote retributive dell’assegno. E’ il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 30639 del 18 ottobre 2022 con la quale i giudici hanno rigettato il ricorso di un pensionato che chiedeva il ricalcolo della maggiorazione di cui alla legge n. 257/1992.
Maggiorazione da amianto
Riguarda le modalità attraverso cui deve operare il beneficio della rivalutazione contributiva di cui all'articolo 13 della legge n. 257/1992 ai fini pensionistici. Tale norma, come noto, impone una maggiorazione del 50% dei periodi di lavoro con esposizione all'amianto con efficacia sia ai fini del diritto che della misura della pensione. Nell'applicazione del beneficio, tuttavia, bisogna tenere presente il principio secondo cui l'anzianità complessiva dell'assicurato non possa superare, per i periodi da valutarsi con il sistema retributivo - quindi per i periodi sino al 31.12.2011 - l'anzianità massima di 2080 settimane (40 anni). Per cui ove l'aumento derivante dall'applicazione dei benefici previdenziali in discussione fosse superiore al predetto limite legale la pensione aumenterà sino a concorrenza di 40 anni.
Il caso
L’Inps ha riconosciuto il diritto alla rivalutazione da amianto per periodo dal 1° giugno 1969 ed il 31 dicembre 1992 nei confronti di un lavoratore che al momento del pensionamento vantava 1838 settimane di contribuzione di cui 1267 settimane al 31 dicembre 1992 (cd. quota A di pensione) e di altre 571 settimane per il periodo successivo al 31 dicembre 1992 (cd. quota B di pensione). Stante il vincolo di 2080 settimane l’Inps aveva limitato la maggiorazione ad un numero di 242 settimane, interamente sulla quota A di pensione.
La difesa del pensionato chiedeva, tuttavia, anche un ulteriore vantaggio: che venissero neutralizzati 302 contributi settimanali figurativi (e quindi meno favorevoli) sulle anzianità successive al 31 dicembre 1992 determinando così un aumento della retribuzione pensionabile relativa a tale quota di pensione; atteso il principio costituzionale della «neutralizzazione» dei periodi contributivi non necessari al fine dell’acquisizione del diritto a pensione. In sostanza secondo questa interpretazione la maggiorazione da amianto avrebbe consentito la sterilizzazione dei periodi contributivi figurativi accreditati negli ultimi anni di carriera lavorativa dell’assicurato.
La decisione
La Cassazione ricorda prima di tutto che, come già osservato nella sentenza n. 26923 del 23 dicembre 2016, la maggiorazione da amianto copre «il solo periodo di lavoro di effettiva e provata esposizione al rischio e non già l'intero periodo coperto da assicurazione obbligatoria contro l'amianto (cioè, in pratica, l'intero periodo di assicurazione all'INAIL, nel quale è rícompreso, fra i tanti, anche il rischio dell'amianto)».
Di conseguenza la rivalutazione «non può che operare per il periodo compreso sino al 31 dicembre 1992 e dunque non può che incidere sul calcolo della quota A della pensione senza che dal riconoscimento di una maggiorazione eccedente rispetto alle 1509 settimane possa determinarsi un effetto espansivo nei periodi successivi al 31 dicembre 1992».
La Corte boccia, inoltre, la possibilità di neutralizzare le ultime retribuzioni perché il principio presuppone che si sia realizzato quel progressivo ampliamento del periodo di ricerca delle medie pensionabili previsto dalla Riforma Amato (Dlgs n. 503/1992). Ampliamento imposto solo per gli assicurati privi di 15 anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1992 e non anche, come nel caso di specie, per chi ha integrato il requisito alla predetta data (qui il periodo temporale di riferimento è costituito, a regime, dagli stipendi incassati negli ultimi dieci anni).
«Da ciò consegue – concludono i giudici - che, rispetto ad essi, non opera, anche con riferimento ai lavoratori che, alla predetta data, abbiano maturato un'anzianità superiore a 15 anni, il rimedio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della cd. neutralizzazione dei periodi a retribuzione ridotta. Tale rimedio infatti consente di evitare un impoverimento della prestazione previdenziale nell'assetto legislativo delineato dall'art. 3 della I. n. 287 del 1982, incentrato sulla valorizzazione del maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni di lavoro».