La questione
La questione è nata a seguito del licenziamento intimato ad un operaio della Sevel, fabbrica che ad Atessa produce auto per Fca, fruitore del congedo straordinario retribuito che non era stato visto nell'abitazione della madre gravemente malata durante le ore diurne. Il lavoratore si giustificò affermando di aver prestato assistenza notturna alla madre, risultando anche dalla certificazione medica specialistica che costei aveva tendenza alla fuga, insonnia notturna e tratti di ipersonnia diurna, per cui si poneva la necessità per il figlio di restare sveglio la notte per assistere il genitore insonne ed evitare possibili fughe già verificatesi in passato.
Il lavoratore propose quindi ricorso in Tribunale ottenendo l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro oltre al risarcimento del danno, sul presupposto della insussistenza del fatto addebitato. Anche in Appello i giudici acclararono l'illegittimità del licenziamento ma al posto della reintegra condannarono il datore di lavoro al pagamento di 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. A seguito dell'ulteriore ricorso del datore di lavoro la questione approdò alla Corte di Cassazione che sostanzialmente ha confermato l'illegittimità del licenziamento del lavoratore sconfessando la tesi del datore obbligandolo peraltro alla reintegra sul posto di lavoro.
Il congedo straordinario
La Corte ha ricordato come il congedo straordinario, fruibile per l'assistenza delle persone portatrici di handicap grave, costituisce ormai uno strumento di politica socio-assistenziale, basato sia sul riconoscimento della cura prestata dai congiunti sia sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale e intergenerazionale, di cui la famiglia costituisce esperienza primaria e che pertanto è un valore costituzionalmente tutelato.
Come noto l'articolo 42, co. 5 del Dlgs 151/2001 consente al lavoratore dipendente di assentarsi dal posto di lavoro per assistere un familiare disabile per un periodo massimo di due anni nel corso dell'intera vita lavorativa ottenendo il pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione percepita, anche se non del tutto coincidente con la stessa, entro un tetto massimo annuale fissato dalla legge. L'onere economico non resta totalmente a carico del datore di lavoro, in particolare di quello privato, il quale a sua volta lo deduce dagli oneri previdenziali.
In origine il congedo straordinario poteva essere fruito per tutelare un figlio disabile ma ormai, a seguito di diversi interventi normativi, ricomprende anche le relazioni tra figli e genitori disabili, e ancora, i rapporti tra coniugi o tra fratelli.
La decisione
Ebbene la posizione dei giudici di Piazza Cavour è che il congedo per la sua natura strettamente connessa alle esigenze di assistenza al disabile è ampiamente flessibile. E pertanto nulla impedisce che l'assistenza venga prestata di notte piuttosto che di giorno qualora sussista il comprovato bisogno dell'assistito in tali ore.
"Non si può ritenere - specificano i giudici - che l'assistenza che "legittima il beneficio del congedo straordinario possa intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile".
"In definitiva - proseguono i giudici , pur risultando materialmente accaduto che l'operaio si trovasse in talune giornate lontano dall'abitazione della madre ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perché, una volta accertato che, ferma la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell'intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta dal lavoratore".
L’Alta Corte, quindi, ha accolto le istanze del lavoratore ed ha rigettato la tesi del datore di lavoro che aveva licenziato in tronco l'operaio. Non solo. La Corte di Cassazione ha anche ordinato la reintegra nel posto considerando che il fatto contestato dal datore "è da ritenere insussistente, proprio perché è stato smentito, secondo la ricostruzione intangibile degli stessi giudici del merito, che il figlio convivente non prestasse l'assistenza dovuta alla madre". E pertanto il lavoratore ha diritto alla tutela rafforzata con piena reintegra sul posto di lavoro e non alla liquidazione di una indennità come era stato deciso dalla Corte d'Appello.