La questione
I chiarimenti si sono resi necessari dopo l'entrata in vigore del DL "Cura Italia" (DL 18/2020) nel quale (all'articolo 42) è stato fissato il principio secondo il quale l'infezione Covid-19 contratta in occasione di lavoro è tutelata come infortunio sul lavoro. La norma, spiega la circolare, riafferma principi vigenti da decenni secondo cui le patologie infettive contratte in occasione di lavoro vanno sempre inquadrate e trattate come infortunio, poiché la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo. Così avviene da sempre, ad esempio, con l'epatite, la brucellosi, l'Aids, il tetano.
In secondo luogo la norma ribadisce che l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria (ovviamente sempre che il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa), con la conseguente astensione dal lavoro. Anche questo passaggio in realtà deriva dalla giurisprudenza essendo ormai stato chiarito da anni che l'attribuzione della indennità di inabilità temporanea assoluta, comprende, oltre alla fisica impossibilità della prestazione lavorativa, anche la sua incompatibilità con le esigenze terapeutiche e di profilassi del lavoratore.
I criteri di accertamento
Sulla base di tali principi l'Inail, nella circolare numero 13/2020, ha spiegato che, ai fini dell'accertamento dell'infortunio Covid-19, si seguono le stesse linee guida degli altri casi di malattie infettive e parassitarie (circolare Inail n. 74/1995), cioè secondo due criteri principali:
a) deve essere considerata causa violenta di infortunio sul lavoro anche l’azione di fattori microbici e virali che penetrando nell’organismo umano ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico-fisiologico, sempre che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa;
b) la mancata dimostrazione dell’episodio specifico di penetrazione nell’organismo del fattore patogeno non può ritenersi preclusiva della ammissione alla tutela, essendo giustificato ritenere raggiunta la prova dell’avvenuto contagio per motivi professionali quando, anche attraverso presunzioni, si giunga a stabilire che l’evento infettante si è verificato in relazione con l’attività lavorativa. E perché si abbia una presunzione correttamente applicabile non occorre che i fatti su cui essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile del fatto noto, bastando che il primo possa essere desunto dal secondo come conseguenza ragionevole, probabile e verosimile secondo un criterio di normalità (cosiddetta “presunzione semplice”).
Responsabilità del datore di lavoro
Nella circolare, infine, viene chiarito che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non ha alcuna correlazione con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro nel contagio medesimo, che è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del d.l. 16 maggio 2020, n.33. A conforto dell'impostazione l'Inail richiama la recente sentenza numero 3282/2020 della cassazione in cui è stato ribadito il principio secondo il quale «(…) non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportato imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto”.
In altri termini, conclude l'Inail, il rispetto di tali misure di contenimento basta a escludere la responsabilità del datore. Ciò non vale, invece, sul versante della tutela: il rispetto delle misure di contenimento, in altre parole, non esclude il diritto alle prestazioni Inail nei casi di contagio Covid-19, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Un'altra circostanza, questa, conclude l'Inail, che ancora una volta porta a sottolineare l'indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario.
Documenti: Circolare Inail 20/2020