Non è in contrasto con la Costituzione la norma che impone la restituzione totale dell'incentivo all'autoimprenditorialità (alias liquidazione anticipata della Naspi) anche in caso di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato di breve durata. Ciò in quanto la finalità della norma è antielusiva ed il divieto ha una durata temporanea «non manifestamente sproporzionata». Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 194 del 14 Ottobre con la quale i giudici hanno respinto i rilievi mossi dal Tribunale di Trento.
La questione
Un ex lavoratore dipendente aveva maturato il diritto alla percezione dell'indennità di disoccupazione naspi per 728 giorni dal 23 aprile 2016 fruendone concretamente solamente per 202 giorni dal 23 aprile al 10 novembre 2016; per il periodo residuo dall'11 novembre 2016 al 4 maggio 2018 aveva chiesto la liquidazione in unica soluzione a titolo di incentivo per l'avvio dell'attività di impresa ai sensi dell'articolo 8 del Dlgs n. 22/2015. Dal 22 al 25 maggio 2016 aveva instaurato un rapporto di lavoro subordinato a seguito del quale l'INPS ha richiesto l'intera restituzione dell'incentivo erogato pari a 14.761,52 euro ai sensi dell'articolo 8, ultimo comma del predetto dlgs n. 22/2015.
Il Tribunale di Trento, con l'ordinanza n. 186/2020, ha rimesso gli atti alla Consulta ravvisando una mancanza di proporzionalità tra la "sanzione" imposta dal legislatore (la restituzione dell'intero incentivo erogato) e l'obiettivo di evitare che l'incentivo all'autoimprenditorialità sia utilizzato per finalità diverse da quella di favorire l'avvio di attività autonome. Nel caso di specie, infatti, era evidente che l'instaurazione del rapporto di lavoro subordinato non avesse impedito di esercitare effettivamente l'attività di impresa.
La decisione
La Consulta ha respinto le censure sollevate dal Tribunale di Trento in base a due ordini di motivazioni.
In primo luogo spiega che l’obbligo restitutorio non è una sanzione ma risponde ad una esigenza antielusiva e cioè nell'evitare che il trattamento corrisposto in via anticipata non sia realmente utilizzato per intraprendere e poi proseguire un’attività di lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa.
Tale scelta rientra nella discrezionalità del legislatore che, secondo la Corte, è stata esercitata in modo non manifestamente irragionevole «anche se sarebbe possibile ipotizzare criteri alternativi, connotati da una qualche flessibilità, non dissimili, ad esempio, da quello che prevede la compatibilità della prestazione di lavoro subordinato di modesta entità con la spettanza dell’erogazione periodica - non già anticipata - della NASpI».
In secondo luogo, inoltre, non sussiste una sproporzione irragionevole perché il divieto di rioccupazione con contratti di lavoro dipendente ha un orizzonte temporale di durata limitata e corrispondente alla scadenza teorica della Naspi a cui avrebbe avuto diritto il lavoratore. Per cui impone un sacrificio bilanciato e personalizzato per ciascun lavoratore (entro un massimo di 24 mesi). Inoltre il divieto è limitato al solo lavoro dipendente.
La Corte, tuttavia, non manca di rilevare come sarebbe opportuno introdurre meccanismi di flessibilità per evitare che la rigidità della (pur temporanea) preclusione del lavoro subordinato «possa costituire, in concreto, un indiretto fattore disincentivante di genuine e virtuose iniziative di autoimprenditorialità o di lavoro autonomo, idonee a superare situazioni di disoccupazione involontaria».