Per i lavoratori in mobilità il termine per maturare il diritto a pensione, con le vecchie regole pensionistiche, è pari a 36 mesi dopo la scadenza dell'indennità di mobilità o dello speciale trattamento edile a condizione che il rapporto di lavoro sia cessato entro il 31 dicembre 2014 a seguito di accordi governativi o non governativi stipulati entro il 2011. Nel caso dei lavoratori provenienti da aziende cessate o interessate dall’attivazione delle vigenti procedure concorsuali quali il fallimento, il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria o l’amministrazione straordinaria speciale l’accordo governativo o non governativo può essere stipulato anche successivamente al 31 dicembre 2011, tuttavia, ai fini della procedibilità della domanda di accesso alla salvaguardia, l’interessato dovrà produrre la documentazione attestante la circostanza che la data di avvio della procedura concorsuale precede quella del licenziamento che deve essere avvenuto comunque entro il 31 dicembre 2014.
A tutti gli interessati in questo profilo viene concessa l'importante facoltà di maturare il requisito contributivo (es. i 35 o i 36 anni di contributi per il pensionamento con le quote o i vecchi 40 anni di contributi) anche attraverso il versamento dei contributi volontari ma solo con riferimento ai 36 mesi successivi al termine della fruizione dell'indennità di mobilità o dello speciale trattamento edile. Ad esempio un lavoratore che termina la mobilità il 31.12.2017 con 39 anni mezzo di contributi e 58 anni di età può decidere di versare i sei mesi di volontari per raggiungere i 40 anni di contributi ed accedere in questo modo alla salvaguardia pensionistica. O ancora un soggetto con 62 anni di età e 34 anni e mezzo di contributi al termine della mobilità può utilizzare la contribuzione volontaria per ragguagliare il minimo di 35 anni di versamenti necessari per pensionarsi con la vecchia quota 97,6.
L'agevolazione in questione, tuttavia, è rivolta esclusivamente verso i lavoratori già autorizzati ai versamenti volontari alla data del 1° gennaio 2017 (per i quali vengono riaperti i termini scaduti per il versamento dei volontari relativi ai 36 mesi successivamente alla scadenza della mobilità o del TSE) o di coloro che abbiano presentato domanda di prosecuzione volontaria entro il 2 marzo 2017, data di scadenza del termine per la presentazione delle istanze di accesso al beneficio della salvaguardia (Circ. Inps 11/2017). E' proprio questo uno dei problemi che sta causando il rigetto di alcune istanze. Capita non di rado, infatti, che il lavoratore presenti domanda di salvaguardia senza la contestuale produzione di quella per la prosecuzione volontaria dell'assicurazione necessaria, come detto, per raggiungere il requisito contributivo entro i 36 mesi dalla scadenza dei predetti sostegni al reddito. Talvolta per la mancata informazione da parte dei patronati, talvolta perchè, mal informato, gli è stato detto che l'istanza ai vv. possa essere prodotta solo dopo il termine della fruizione dell'indennità di mobilità (in realtà non è così in quanto la domanda di versamento dei volontari può essere accolta anche in costanza di mobilità, ovviamente però il versamento può avere ad oggetto solo periodi contributivi successivi alla fine della mobilità stessa; Cfr Circolare Inps 50/2008).
Su tale aspetto, denunciano molti lettori, sarebbe utile concedere più tempo almeno per la produzione della richiesta dei versamenti volontari senza che la mancanza dell'autorizzazione al 2 marzo 2017 travolga anche l'istanza di salvaguardia. Complessivamente, del resto, il lavoratore potrebbe raggiungere il requisito contributivo mediante un contratto di lavoro dipendente dopo il termine della mobilità. E non necessariamente attraverso il versamento della contribuzione volontaria. E' stata la stessa Inps, in passato, rispondendo ad un quesito dell'Inca Nazionale, ad ammettere la possibilità di rioccupazione dopo la mobilità senza che ciò determinasse la decadenza dalla salvaguardia (cfr: nota numero 90 del 19 dicembre 2014). Un trattamento discriminatorio che potrebbe stare alla base delle tante domande di salvaguardia respinte come si evince dall'ultimo report dell'Inps dello scorso Aprile. E che potrebbe aprire un lungo contenzioso.