Pensioni, Ecco perchè gli assegni delle donne sono più bassi

Eleonora Accorsi Venerdì, 07 Luglio 2017
Le proposte elaborate dalla Commissione Lavoro per superare gli squilibri previdenziali tra uomini e donne nel Documento conclusivo sulla disparità di genere. 
Si è conclusa ieri alla Camera l'indagine conoscitiva sugli squilibri previdenziali tra uomini e donne. Il Documento conclusivo che arriva dopo quasi due anni di lavori consegna alla collettività un utile fotografia di una situazione ben nota, con una individuazione della cause e di alcuni rimedi per attenuare il gap tra il reddito pensionistico tra uomini e donne. Dal documento, promosso soprattutto dall'Onorevole PD Maria Luisa Gnecchi, emerge in primo luogo come la condizione previdenziale delle lavoratrici sia duramente peggiorata negli ultimi cinque anni a causa del decreto Sacconi (Dl 78/2010) e, successivamente, della legge Fornero (Dl 211/2011) che hanno innalzato da 60 a 66 anni e 7 mesi l'età pensionabile per le lavoratrici del settore privato (l'ultimo innalzamento scatterà nel 2018) a cui si è abbinata la chiusura del regime sperimentale donna. Questo regime, nonostante i diversi correttivi di questi ultimi anni, interessa solo le donne che hanno raggiunto i 57 anni e 35 anni di contributi entro il 2015. 

I trattamenti pensionistici restano fortemente compressi rispetto agli uomini colpa della relativa maggior fragilità della presenza femminile sul mercato del lavoro. Questa fragilità si presenta in primo luogo, a monte di qualsiasi discorso di tipo previdenziale, sotto forma di un minor tasso di partecipazione allo stesso mercato del lavoro. In parole povere, il numero di donne occupate è minore di quello degli uomini. Le donne, inoltre, lavorano per un minor numero di anni rispetto agli uomini (25 contro i 40 circa degli uomini) e percepiscono spesso salari minori (anche a causa di maggiori periodi di part-time o interruzioni lavorative per le esigenze di cura dei figli) con ovvie conseguenze da un punto di vista previdenziale. Questi fattori determinano che la pensione di una donna, in media, raggiunge a stento i due terzi di quella di un uomo.

Le soluzioni proposte dalla Commissione

Per correggere queste anomalie il Documento conclusivo stressa in particolare l'opportunità di valorizzare istituti che facciano accrescere il montante nella posizione assicurativa come accrediti figurativi, aumenti dell’importo pensionistico, facoltà di riscatto in relazione a specifici eventi (quali la nascita e la malattia dei figli, l’assistenza a disabili e ad anziani non autosufficienti).  Si tratta di una serie di rimedi ex post già in parte abbozzati per le lavoratrici che ricadono interamente nel sistema contributivo (ex art. 1, co. 40 della legge 335/1995) che potrebbero essere ulteriormente estesi e rafforzati. Oltre a tali benefici, si legge nel Documento conclusivo, dovrebbero essere accompagnate misure ex ante, cioè durante la carriera lavorativa che consentano alla lavoratrice di non assentarsi dal mondo del lavoro per crescere e accudire i figli. Ciò può essere realizzato solo costruendo una rete efficace di servizi sociali e assistenziali per l'infanzia e per le persone non autosufficienti, una condivisione maggiore delle responsabilità familiari, la rimozione delle discriminazioni tra uomini e donne nell'accesso alle carriere lavorativa. Infine, si impone una riflessione più ampia che comprenda per intero la condizione lavorativa delle giovani generazioni in rapporto alle loro, difficili, prospettive previdenziali, attraverso l'introduzione di una pensione di garanzia e di forme meno onerose per il riscatto dei contributi previdenziali.

Le proposte in questione, è l'auspicio della Gnecchi, dovrebbero costituire la base per il confronto sulla fase due della previdenza attualmente in corso tra Governo e sindacati. Che dovrà guardare soprattutto alle persone più deboli e ai giovani fortemente colpiti dal passaggio al sistema contributivo. 

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Documenti: Il rapporto diffuso dalla Camera dei Deputati

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