Come noto l’art. 16 della legge 29 aprile 1976 n. 177, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, attribuisce una maggiorazione del 18% sulla base pensionabile, costituita dall’ultimo stipendio aumentato di alcune specifiche e tassative voci (retribuzione individuale di anzianità, indennità di vacanza contrattuale, assegni ad personam riassorbibili, benefici di infermità) ivi specificatamente individuati, prevedendo che agli stessi fini nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile, possa essere considerato se la relativa disposizione di legge non ne prevede espressamente la valutazione nella base pensionabile. In tal senso, ad esempio, è stata negata la maggiorazione del 18% all’indennità integrativa speciale.
In seguito, l’art. 1 comma 9° del D.L. 16 settembre 1987 n. 379, convertito nella legge 14 novembre 1987 n. 468 ha attribuito ai sottufficiali delle forze armate, con almeno diciannove anni di servizio, un assegno funzionale pensionabile, il cui importo si aggiunge alla retribuzione individuale di anzianità.
Un analogo assegno funzionale pensionabile è stato poi riconosciuto – dall’art. 6 del D.L. 21 settembre 1987 n. 387, convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 1987 n.472- a favore di varie categorie di appartenenti alle forze di polizia, senza alcun riferimento alla r.i.a.
La pensionabilità
Molti lettori si chiedono, pertanto, se anche questo assegno, siccome definito dalla legge «pensionabile», debba o meno partecipare anche alla maggiorazione del 18% con evidenti risvolti positivi sulla misura della rendita previdenziale. Nonostante in passato alcune sentenze della magistratura contabile hanno dato risposta positiva facendo leva sulla circostanza che l’assegno avrebbe la funzione di integrare la misura della retribuzione individuale di anzianità l’orientamento che si è cristallizzato a seguito della pronuncia a Sezioni Riunite della Corte dei Conti (n. 9/2006) è di segno opposto.
In tale occasione la magistratura contabile ha affermato l’autonomia degli assegni funzionali rispetto agli altri elementi retributivi del rapporto di lavoro in quanto «non vanno a confluire indistintamente nella retribuzione individuale di anzianità, ma invece si cumulano a questa, senza restare assorbiti al suo interno, mantenendo così le loro caratteristiche peculiari nell’integrare insieme lo stipendio di base». Altrimenti, ha aggiunto la Corte, gli assegni in parola assumerebbero il ruolo di «generici aumenti retributivi senza alcun collegamento con i loro presupposti».
In tal senso, ha concluso la Corte, nessun rilievo può essere riconosciuto all’espressione «si aggiungono alla retribuzione individuale di anzianità utilizzata dal legislatore nell’istituire gli assegni in questione, limitatamente agli appartenenti alle forze armate, che ha invece il significato di evidenziare la autonomia di tali emolumenti in ragione della diversa natura giuridica».
La Corte, pertanto, ha affermato il principio secondo il quale gli assegni funzionali pur se pensionabili e quindi concorrenti alla definizione anche della prima quota di pensione (quella riferita cioè alle anzianità maturate al 31 dicembre 1992) non sono inclusi nella base pensionabile e quindi non possono usufruire della maggiorazione del 18%.