L’indennità di perequazione corrisposta al personale universitario dislocato presso aziende ospedaliero-universitarie o strutture comunque convenzionate concorre sempre ai fini della determinazione della misura del trattamento di buonuscita ancorché il personale distaccato non presti attività di assistenza sanitaria.
La questione riguarda i professori, i ricercatori universitari e delle figure equiparate, che svolgono, in aggiunta all’attività didattica e di ricerca, attività di assistenza sanitaria presso aziende ospedaliero-universitarie o strutture comunque convenzionate. Questi soggetti, come noto, godono oltre al trattamento economico da parte dell’Università, un trattamento aggiuntivo, a carico della struttura sanitaria, graduato in relazione alle responsabilità connesse ai diversi tipi di incarico e ai risultati ottenuti nell'attività assistenziale e gestionale. Il trattamento perequativo (detto anche «de maria»), stabilito dall’articolo 31 del Dpr n. 761/1979, originariamente non era utile ai fini della determinazione della misura della pensione né della buonuscita.
La Consulta con la decisione n. 126/1981 ne ha stabilito la pensionabilità chiarendo, nella successiva pronuncia n. 136/1997, che il nuovo criterio è «generalizzato» nel senso che vale a prescindere dallo svolgimento di attività di assistenza sanitaria in senso stretto. In tale occasione la Consulta ha posto in risalto la ratio perequativa dell’indennità evidenziando che il legislatore ha perseguito l'obiettivo di evitare disparità di trattamento fra dipendenti che svolgono la medesima attività.
Personale amministrativo
In coerenza con tale orientamento la Cassazione con l’ordinanza n. 20917 del 30 settembre 2020 ha ribadito che la pensionabilità dell’indennità perequativa non può essere limitata al solo personale impegnato nell'attività di assistenza sanitaria sia perché per la natura stessa dell’indennità sia perché la disposizione si riferisce indifferentemente «al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura».
Nello specifico la decisione ha fissato il principio secondo cui «per effetto della sentenza n. 126/1981 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 31 d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui escludeva l'utilità ai fini previdenziali e assistenziali dell'indennità ivi disciplinata, quest'ultima concorre, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 38, comma 2, d.P.R. n. 1032/1973, a formare la base contributiva rilevante ai fini del calcolo dell'indennità di buonuscita».
In altri termini l’orientamento della giurisprudenza ormai è nel senso di confermare il computo dell’indennità in parola sia ai fini della pensione che della buonuscita sia se è corrisposta al personale medico che amministrativo.