Pensioni, la speranza di vita non è uguale per tutte le professioni

Davide Grasso Mercoledì, 09 Dicembre 2015
Uno studio del Dipartimento del Tesoro mostra come sia piu' protettivo un impiego all'interno della Pubblica Amministrazione rispetto a qualsiasi altra attività lavorativa. 
L'applicazione della speranza di vita dovrebbe essere differenziata in base alle componenti socio-economiche del lavoratore. E non applicata indiscriminatamente nei confronti di tutti i lavoratori. Lo suggerisce uno studio pubblicato da Marco Cacciotti ed Elena Fabrizi, due ricercatori del Dicastero del Tesoro che hanno messo nero su bianco alcune criticità prodotte dalla normativa pensionistica attuale che, com'è noto, tratta in modo indistinto tutti i lavoratori dagli operai, agli impiegati.

Tra i fattori di differenziazione c'è in primo luogo il sesso che vede svantaggiati gli uomini rispetto alle donne e la componente povertà che aumenta in media del 23% la possibilità di avere una vita piu' breve. Questo tipo di evidenza può essere spiegata dal fatto che i soggetti meno abbienti presentano molto spesso un accesso più limitato rispetto a cure mediche e a concrete azioni di prevenzione. Per converso, costruire una famiglia, piuttosto che essere single, a parità delle altre condizioni, risulta essere un fattore protettivo del 30%. Questo risultato può essere interpretato considerando il ruolo cruciale della famiglia nel contesto sociale italiano in cui in cui il tessuto familiare ha spesso un ruolo primario nel garantire un certo livello di protezione e nel fornire un supporto complementare e per certi versi simile a quello del welfare state.

Ma le evidenze più caratterizzanti del lavoro provengono dall’analisi degli effetti sulla speranza di vita di una carriera lavorativa diversa da quella stabile (ovvero con un contratto a tempo indeterminato). Ciò che emerge chiaramente è che la condizione di lavoro stabile è, rispetto a qualunque altro status lavorativo, una condizione protettiva.

Infatti il solo fatto di aver trascorso una parte di carriera non stabile, a parità di tutte le altre possibilità considerate, fa registrare una forte riduzione della speranza di vita. In particolare dai risultati emerge che nessun impiego è più protettivo rispetto ad uno nel settore della pubblica amministrazione, a parità di mansione. Per converso, il settore che espone maggiormente al rischio di vivere una vita più breve è quello associato ai lavori nel comparto dell'agricoltura, della caccia e della pesca.

In questi casi il lavoratore è esposto ad un rischio molto alto rispetto a quello a cui è esposto un lavoratore con le stesse caratteristiche che ha un rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Sempre in termini di rischiosità, seguono gli intermediari finanziari, settore in cui la componente di stress è particolarmente importante, e l'industria estrattiva settore in cui i lavoratori sono tipicamente in contatto con solventi e agenti pericolosi, il settore delle costruzioni, del commercio e dei trasporti, professioni caratterizzate comunque da alti tassi di stress che riducono sensibilmente la stima di vita. Unica eccezione: l'intermediazione immobiliare che risulta una professione protettiva anche rispetto al pubblico impiego.

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Documenti: La Ricerca del Dipartimento del Tesoro

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