La rendita vitalizia non è una prestazione previdenziale e, pertanto, in caso di rigetto da parte dell’Inps è possibile proporre direttamente domanda giudiziale. E’ il principio espresso nella sentenza della Corte di Cassazione n. 31337/2022 con il quale i giudici hanno accolto le doglianze di un lavoratore al quale la Corte d’Appello di Messina aveva dichiarato improponibile la domanda.
Rendita Vitalizia
La rendita vitalizia, come noto, è un istituto finalizzato a porre rimedio alle omissioni contributive, nei casi in cui il recupero sia divenuto impossibile per maturata prescrizione (10 anni dal pagamento). In tali casi, previo versamento della relativa provvista finanziaria da parte del datore inadempiente o da parte del lavoratore, è possibile recuperare a fini pensionistici (sia diritto che misura) il relativo periodo caduto in prescrizione. Pagando il relativo onere economico. Possono accedere alla rendita vitalizia non solo i lavoratori dipendenti ma anche quelle figure «ibride» nei confronti delle quali l’onere del versamento dei loro contributi ricade su un’altra persona. Si tratta in particolare dei familiari coadiuvanti e coadiutori dei titolari di imprese artigiane e commerciali; collaboratori del nucleo diretto coltivatore diversi dal titolare e collaboratori dei nuclei colonici e mezzadri; i collaboratori iscritti alla gestione separata dell’Inps (il cui versamento dei contributi è a carico del committente);
Non è una rendita previdenziale
Nella sentenza citata la Cassazione rimarca che la rendita vitalizia, a differenza del termine lessicale, non è una prestazione previdenziale bensì un congegno «per rimediare all'inadempimento datoriale dell'obbligazione contributiva e ai danni che ne siano potuti derivare al lavoratore». In tal senso, del resto, nella decisione n. 32500 del 2021 i giudici hanno escluso che la domanda sia assoggettabile alla decadenza triennale di cui all'art. 47, d.P.R. n. 639/1970, «precisamente sul rilievo che essa non concerne affatto una prestazione pensionistica, ma consiste piuttosto in un rimedio alla decurtazione pensionistica conseguente all'omesso versamento dei contributi dovuti, che ha natura e carattere risarcitorio del danno consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione».
No al ricorso amministrativo
Quanto appena affermato comporta anche che l’azione giudiziale volta ad accertarne il diritto non è subordinata alla necessità della previa proposizione della domanda amministrativa all’Inps. L’obbligo di preventivo esperimento del ricorso amministrativo, infatti, è previsto dalla legge solo per le prestazioni previdenziali e, pertanto, - conclude la Corte - nel caso di specie è stato erroneamente invocato dalla Corte d’Appello di Messina. Di conseguenza la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza accogliendo le richieste del lavoratore.