Pensioni

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Il Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, Cesare Damiano, precisa che da Mercoledì 3 Giugno si inizierà a discutere della cd. flessibilità in uscita.

Kamsin “L’Inps ha dichiarato che entro giugno presentera’ una sua proposta sul sistema della previdenza e dell’assistenza: non sappiamo se questo sia il suo mestiere”. Lo sostiene, in una nota, Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera.

“Quello che a noi interessa – spiega – e’ che sia il Governo a presentare rapidamente un progetto di riforma che dia gambe alle dichiarazioni del premier e del ministro Poletti sul tema della flessibilita’ da introdurre nel sistema pensionistico”. “Alla Commissione Lavoro della Camera – prosegue – sono depositati alcuni disegni di legge presentati da tutti i partiti. Dal prossimo 3 giugno cominceranno, con Poletti, le audizioni che coinvolgeranno successivamente l’Inps e le parti sociali. La proposta principale, del Pd, prevede che si possa andare in pensione a partire dai 62 anni con 35 di contributi e con una penalizzazione massima dell’8%. Oppure con 41 anni di contributi indipendente dall’eta’, una misura questa che aiuterà i lavoratori cd. precoci”.

“Basandoci su queste proposte – aggiunge Damiano – chiediamo al Governo di trovare una soluzione nella legge di Stabilita’. E’ giunto il momento di restituire ai pensionati e ai lavoratori: lo si puo’ fare anticipando, in modo flessibile, l’uscita dal lavoro e non mettendo nuovamente le mani nelle tasche dei pensionati”. “Sentiamo circolare la proposta di un ricalcolo con il sistema contributivo delle pensioni in essere liquidate con il sistema retributivo: si tratta di una ipotesi che respingiamo, non solo perche’ non si possono continuamente mettere in discussione i diritti acquisiti, ma anche perche’ sarebbe socialmente insostenibile”.

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Il 90% degli assegni previdenziali dei lavoratori del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico ha un'età alla decorrenza inferiore a 57 anni e subirebbe quindi una decurtazione del 40-60% se si calcolasse con il contributivo.

Kamsin Il 90% delle pensioni del comparto difesa e sicurezza (Difesa, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco e Forestale) è quasi due volte l'importo che si dovrebbe percepire se quei trattamenti previdenziali si ricalcolassero con il metodo contributivo. Lo scrive l'Inps, in un nuovo round dell'operazione trasparenza: il 90% degli assegni ha un'età alla decorrenza inferiore a 57 anni e subirebbe quindi una decurtazione del 40-60% se si calcolasse con il contributivo.

Nella nuova pubblicazione della serie della trasparenza dell'Istituto, si precisa che gli iscritti al Comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico sono circa 536.000. L'Inps ricorda che in Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Corpo nazionale dei vigili e Corpo Forestale dello Stato, ancora nel corso del 2015, i lavoratori possono accedere al pensionamento di vecchiaia con limiti di età inferiori rispetto al resto del personale dipendente dello Stato (cosiddetto personale civile) iscritto alla Cassa dei dipententi dello Stato: per i lavoratori del comparto sicurezza l’età massima per la permanenza in servizio è ricompresa tra i 61 anni e tre mesi e i 66 anni e tre mesi.

Ancora, questi lavoratori maturano il diritto alla pensione di anzianità a 57 anni e tre mesi con 35 anni di anzianità contributiva, oppure - a prescindere dall’età anagrafica- con 40 anni e tre mesi di contributi. Gli iscritti che, alla data del 31 dicembre 2011, hanno già raggiunto la massima anzianità contributiva prevista (aliquota massima di pensione pari all’80% della retribuzione pensionabile), possono accedere alla pensione di anzianità all’età di 53 anni e tre mesi.

I lavoratori del comparto sicurezza usufruiscono inoltre di maggiorazioni di servizio in relazione alla natura del servizio svolto. Dal 1° gennaio 1998, l’accredito di queste  maggiorazioni convenzionali è stato limitato ad un massimo totale di 5 anni. Dallo studio - che documenta come le pensioni del
Fondo con decorrenza successiva al 2009 si rapportano con le prestazioni che sarebbero state erogate applicando il metodo contributivo - si evince che più del 90% dei trattamenti in essere subirebbe, con il calcolo contributivo, una riduzione dell’importo compresa tra il 40% e il 60%.

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L'ulteriore provvedimento potrebbe essere a costo zero per le casse dello stato dato che avanzano oltre 60mila posti nelle precedenti sei salvaguardie.

Kamsin Risolvere una volta per tutte il problema degli esodati prima di approvare la flessibilità in uscita. Lo hanno ribadito ieri, ancora una volta, i Comitati di categoria sotto la sede dell'Inps a Roma. Gli esodati tecnicamente sono coloro che avevano siglato accordi per l'uscita dal mondo del lavoro prima del 2012 e che, per via della Legge Fornero, sono rimasti senza lavoro e senza pensione. Il Parlamento sino ad oggi ha varato ben 6 provvedimenti ed ha ripristinato le vecchie regole previdenziali nei confronti di 170mila lavoratori. Eppure da qui al 2019 ci sono altri 49.500 lavoratori che con le vecchie norme avrebbero maturato la pensione e che, invece, sono rimasti esclusi da ogni tutela.

I denari per aiutarli però già sono stati stanziati osservano gli interessati: l'Inps ha utilizzato solo 110mila posizioni delle oltre 170mila disponibili e, pertanto, pur mettendo da parte altre 10mila posizioni al vaglio dell'istituto, avanzano almeno altri 50mila posti da poter impiegare per estendere i profili di tutela sino al 2019. In parlamento sono stati presentati già due provvedimenti in tale direzione, uno da parte del Pd l'altro dalla Lega. Il primo, piu' prudente, ne salva solo 26 mila estendendo sino al 6 gennaio 2017 (dal 6 gennaio 2016) i termini per entrare nella salvaguardia; l'altro, quello leghista, pone come unico limite quello del completo esaurimento delle risorse all'uopo stanziate dai precedenti provvedimenti. In entrambi i casi, ricordano i Comitati, si può fare quest'operazione senza chiedere risorse aggiuntive al Tesoro.

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Il Presidente della Commissione Lavoro di Palazzo Madama, Maurizio Sacconi, ha depositato il progetto di legge delega per introdurre i pensionamenti flessibili. Nel ddl previsti anche sconti pensionistici per le lavoratrici madri.

Kamsin Pensioni flessibili a partire da 62 anni di età e 35 anni di contributi con una penalità massima dell'8% sull'assegno pensionistico, sconto fino a due anni per le lavoratrici madri, possibilità di ricorrere al part-time per i lavoratori che hanno compiuto l'eta' pensionabile e per chi assiste familiari con disabilità, politiche di invecchiamento attivo per i lavoratori con maggiore anzianità. Sono questi i dettagli della legge delega in materia di Riforma del sistema previdenziale depositata in Senato la scorsa settimana dal Presidente della Commissione Lavoro di Palazzo Madama, Maurizio Sacconi, dopo le aperture dei giorni scorsi da parte del Premier.

«Con questa proposta, ricorda Sacconi, attribuiamo una delega al Governo per superare quelle rigidità introdotte dalla Legge Fornero nel 2011; lasciamo all'esecutivo il compito di adottare la legislazione di dettaglio. La cornice entro la quale l'esecutivo dovrà muoversi è comunque chiara e, sostanzialmente, rispecchia le varie proposte che in questi ultimi anni sono state depositate in Parlamento su cui pare oggi esserci un'ampia condivisione, anche da parte dell'esecutivo» ha indicato Sacconi. 

Quattro i punti cardine di Riforma oggetto del disegno di legge che, se approvato dal Parlamento, dovrà sviluppare il Governo. Il primo riguarda il tema delle pensioni flessibili da attuare con "l’invarianza degli oneri", cioè senza creare ulteriore deficit sul bilancio pubblico, almeno nel medio-lungo termine. In concreto la flessibilità si tradurrà nella possibilità di accedere alla pensione a partire da un minimo di 62 anni e 35 anni di contributi (una sorta di quota 97) con una decurtazione dell'8% sull'assegno previdenziale calcolato "rispetto all’importo massimo conseguibile a requisiti pieni secondo i rispettivi ordinamenti previdenziali di appartenenza". Piu' si allontana l'uscita minore sarà poi l'entità della riduzione. Il decalage lo stabilirà comunque il Governo: la legge delega prevede solo che la riduzione per ogni anno di attesa non possa essere superiore al due per cento (in teoria dunque in corrispondenza dei 66 anni la penalità sarebbe eliminata).

Il secondo punto riguarda il riconoscimento di specifici benefici previdenziali per le lavoratrici madri: ai fini della maturazione del requisito di anzianità anagrafica il disegno di legge prevede una valutazione doppia dei periodi di astensione dal lavoro per maternità e per puerperio, per un periodo massimo di due anni, nonchè, per ciascun periodo di sospensione lavorativa entro due anni dall’evento del parto, di una contribuzione figurativa di base per la durata massima di sei mesi per ciascun evento

Il Governo è infine poi delegato ad incentivare, con particolare riferimento ai soggetti che hanno maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento o che sono impegnati in attività di cura e di assistenza ai propri familiari, il ricorso al contratto di lavoro part-time, nonché a predisporre un piano nazionale per il prolungamento della vita attiva orientato a valorizzare le competenze dei lavoratori in età più avanzata, anche attraverso attività di tutoraggio e di affiancamento ai neo-assunti come di conseguente riorganizzazione del lavoro sia in ambito pubblico che privato.

La modifica centrale resta comunque l'introduzione della flessibilità in uscita. «Ogni sistema previdenziale, tanto più se organizzato in base al criterio contributivo, - ricorda Maurizio Sacconi - è caratterizzato da regole flessibili con riferimento all'età di accesso alla prestazione previdenziale in quanto ovunque si ravvisa la necessità di consentire, entro limiti definiti e con prestazioni ridotte, la possibilità di uscire anticipatamente dal mercato del lavoro date le crescenti complessità nella vita, non solo lavorativa, delle persone. Solo la più recente riforma del 2012 ha invece rigidamente determinato l'allungamento dell'età di pensione senza disporre transizioni graduali né, ancorché limitate, eccezioni. Non a caso essa ha indotto il fenomeno largamente accettato e riconosciuto dei cosiddetti "esodati" che ha già comportato impegni di spesa per circa 12 miliardi ed ha ulteriormente allargato il divario nella società tra i destinatari di diverse regolazioni relative all'età di pensionamento».

Documenti: il testo del disegno di legge S.1941

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Secondo la Fondazione Studi resta ancora incerto il meccanismo di rivalutazione degli assegni nel triennio 2014-2016.

Kamsin La Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro offre una prima interpretazione del decreto legge 65/2015 con il quale il Governo è intervenuto in materia di perequazione automatica delle pensioni per dare attuazione alla sentenza n.70/2015 della Corte Costituzionale. La Circolare ribadisce che gli assegni coinvolti sono quelli ricompresi tra i 1443 euro e i 2810 lordi al mese al 31 dicembre 2011 (anche se ci sarà una fascia di garanzia sino a 2818 euro) che vedranno complessivamente un rimborso una tantum oscillante tra 270 euro e 800 euro per il biennio 2012-2013 e qualche manciata di euro in piu' negli anni successivi.

Da un punto di vista tecnico la Circolare sottolinea che la rivalutazione viene riconosciuta agli assegni per il biennio 2012-2013 con aliquote pari al 40%, 20% e 10% (rispettivamente per gli assegni ricompresi tra 3 e 4 volte il minimo, tra 4 e 5 volte il minimo, e tra 5 e 6 volte il minimo); la rivalutazione viene inoltre determinata sull'intero trattamento e non sulle fasce (meccanismo che sarebbe stato piu' favorevole).

Restano invece dubbi sulla rivalutazione da attribuire per il biennio successivo (2014-2015) e per l'anno 2016. La Fondazione ricorda che per «questi anni è riconosciuta il 20% della rivalutazione che sarebbe spettata sulla base del sistema di calcolo garantito nel biennio precedente. Con medesima impostazione è stata operata una rivalutazione del 50 % per gli anni dal 2016 in poi». La Fondazione apre però alla possibilità che tale meccanismo possa non sostituire la rivalutazione introdotta dal 1° gennaio 2014 dalla legge 147/2013 andando piuttosto ad operare esclusivamente sugli arretrati maturati nel biennio precedente per poi esaursirsi nel 2016. Se fosse accolta tale interpretazione, quindi, l'importo delle prestazioni in pagamento non subirebbe alcuna modifica: in particolare non sarebbe riconosciuto alcun beneficio in via permanente sugli assegni nel futuro, circostanza invece paventata nei giorni scorsi dal Ministro Poletti che ha parlato di effetti strutturali per 500milioni di euro l'anno da reperire.

In realtà sul punto sarebbe utile una precisazione ufficiale da parte del Governo volta a comprendere se il nuovo strumento perequativo con efficacia retroattiva sia limitato alla modalità di calcolo degli arretrati o si estenda, come suggerisce una lettura letterale della norma, anche alla modalità di determinazione degli assegni. In tale ultimo caso i pensionati potrebbero "spuntare" un importo leggermente superiore anche per il periodo successivo al biennio 2012-2013, circostanza da escludere invece qualora si accettasse l'ipotesi proposta dalla Fondazione Studi  (qui è possibile simulare quanto dovrà essere restituito ai pensionati).

Per quanto riguarda il profilo fiscale dell'erogazione del "bonus" la Circolare conferma che le somme spettanti per gli anni 2012-2014 saranno sottoposte a tassazione separata (con aliquota quindi ricompresa tra il 23 ed il 29% a seconda della fascia dell'importo) in quanto sono considerate "arretrati". Resta da comprendere invece il regime di tassazione applicabile all’importo di competenza del 2015 in considerazione del fatto che tale importo non può essere considerato arretrato essendo erogato nel medesimo periodo di imposta.

Documenti: Circolare Fondazione Studi Numero 12/2015

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Il costo dell'intervento, «dipende dalle priorità che decideremo perché questo Paese ha bisogno anche di altre risposte come la lotta alla povertà».

Kamsin Sulle pensioni il governo, per ora, si preoccupa di rassicurare i cittadini che non ci saranno nuovi stravolgimenti delle regole, mentre non ha ancora le idee chiare su cosa farà a settembre con la legge di Stabilità per introdurre quegli elementi di flessibilità in uscita, cioè la possibilità di andare in pensione prima, che tutti reclamano ma che rischiano di aprire la strada a forti aumenti della spesa pubblica.

La rassicurazione più forte arriva rispetto alle ipotesi di un ricalcolo delle pensioni in essere con il metodo contributivo ai fini di eventuali prelievi sulla parte dell'assegno in eccesso rispetto a quanto versato (proposta avanzata tra gli altri anche da Tito Boeri prima che diventasse presidente dell'Inps).

Ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, è stato molto netto: il ricalcolo col contributivo, ha detto in tv a Di Martedì, «non è sensato, non è logico. Si tratterebbe di un sistema meccanico, non ragionevole, perché si interverrebbe anche sulle pensioni più basse». Rassicurante, nella stessa trasmissione, anche il titolare dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che sulle ipotesi che vorrebbero il calcolo di tutte le future pensioni integralmente col contributivo, ha detto: «I diritti acquisiti si preservano sempre. Si può immaginare una transizione da due (retributivo e contributivo, ndr) a un solo sistema nel lungo periodo, ma se la domanda è, state pensando a misure ora, la risposta è no perché ci sarà un impatto sulla finanza pubblica, e se interveniamo sulla previdenza dobbiamo farlo in un contesto di consenso». Dunque riprende quota l'idea di allargare le maglie sull'età minima per ritirarsi dal lavoro. Con una sostanziosa decurtazione all'assegno nel caso in cui il lavoratore scelga l'uscita anticipata.

Una maggiore flessibilità, conferma Poletti, rappresenta «un dato di libertà: se un cittadino può decidere tra uscire e non uscire potrà valutare, farsi i conti. Oggi non può decidere e questo è sbagliato perché dobbiamo anche far muovere il mercato del lavoro e far entrare i giovani». Quando si è scelto di alzare l'età pensionabile «sarebbe stato ragionevole» prevedere più flessibilità, «non è stato fatto e lo facciamo ora».

Infine Poletti: «La previdenza bisogna toccarla il meno possibile e solo se indispensabile perché è un elemento di sicurezza». Il ministro ha confermato l'intenzione di introdurre flessibilità in uscita, ma prima è necessario «un confronto con l'Europa»

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