Pensioni

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La prima settimana di giugno sarà particolarmente ricca per la Commissione Lavoro della Camera dei deputati. Secondo il calendario diffuso dal Presidente, Cesare Damiano, nel corso della prossima settimana il Presidente della Commissione, svolgerà comunicazioni sulla missione presso la Regione Piemonte svoltasi lo scorso 11 maggio nella quale si è discusso con Chiamparino circa la possibilità di introdurre un anticipo della pensione su base però regionale. Kamsin In sede consultiva, la Commissione inizierà poi l'esame del ddl delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Rel. Miccoli, PD) approvato dal Senato. La Commissione svolgerà inoltre l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, nell'ambito dell'esame delle abbinate proposte di legge in materia di accesso dei lavoratori e delle lavoratrici ai trattamenti pensionistici e di riconoscimento a fini previdenziali dei lavori di cura familiare (ddl 857 Damiano e abb. - Rel. Polverini, FI-PdL).

Saranno svolte poi le seguenti interrogazioni: 5-04646 Di Salvo: Verifica del numero di anni trascorsi in pensione dai macchinisti e analisi sulla loro aspettativa di vita; 5-05464 Guidesi: Tutela dei lavoratori della cooperativa Winfor di Castiglione d'Adda; 5-05610 Cominardi: Erogazione delle risorse stanziate nell'ambito del programma Garanzia giovani.

La Commissione inizierà la discussione congiunta delle risoluzioni 7-00684 Rizzetto e 7-00686 Tripiedi: Salvaguardia dei livelli occupazionali negli stabilimenti di Trieste della società Alcatel - Lucent; inizierà altresì la discussione della risoluzione 7-00650 Giacobbe: Inserimento di attività relative a raccolta, cernita, lavorazione, confezionamento e trasporto di prodotti del settore florovivaistico nell'elenco delle attività a carattere stagionale.

In sede referente, inizierà l'esame congiunto del decreto legge Governo varato lo scorso 21 maggio recante Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR e della Sentenza della Corte costituzionale n.70 del 2015 (Rel. Giacobbe, PD). Infine, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, esaminerà il documento conclusivo.

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Dopo la notizia di ieri secondo la quale l'Inps è stata condannata al pagamento, con decreto ingiuntivo dal Tribunale di Napoli, di 3.074 euro a titolo di arretrati dopo la bocciatura del blocco biennale delle indicizzazioni delle pensioni da parte della Corte Costituzionale ci giungono molte mail di lettori interessati a comprendere se per via giudiziaria sarà possibile ottenere un ristoro superiore rispetto a quanto messo sul piatto dal Governo il prossimo 1° Agosto con il recente decreto legge 65/2015. Kamsin Il provvedimento dell'esecutivo riconosce relativamente al biennio 2012-2013 una rivalutazione del 40% per gli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, del 20% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo e del 10% per le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo. Il decreto stabilisce che in relazione al biennio 2014-2015 il rimborso sarà pari al 20% di quanto previsto per il biennio precedente. Il tutto con rimborsi medi di 500 euro (da un minimo di 270 euro a un massimo di oltre 850 euro) da corrispondere il 1° agosto. Il pensionato che si è visto accogliere il ricorso percepirebbe una pensione di circa 2mila euro lordi mensili e pertanto rientrerebbe nella fascia di pensionati destinati a ricevere un bonus massimo di 750 euro.

Tutta la partita sui ricorsi si gioca a ben vedere sul valore retroattivo al provvedimento appena varato: il Governo ha intrapreso questa strada "sanando", se così possiamo dire, il vuoto creato dalla sentenza della Consulta lo scorso 30 Aprile anche per gli anni precedenti. Se i tribunali, ed in ultima analisi la Consulta (la quale ben potrà essere chiamata nuovamente a pronunciarsi sul punto dalle giurisdizioni inferiori), condivideranno tale impostazione non ci saranno benefici per i pensionati. In caso contrario si potrebbe aprire la strada per ottenere un rimborso nell'ordine delle migliaia di euro per recuperare quanto perso in tre anni e mezzo. La questione, senza addentrarci troppo in tecnicismi, è squisitamente giuridica e quindi per ora risulta difficile fare pronostici. Serve cautela.

Attualmente si può solo dire che l'Inps proporrà opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni, opposizione che si baserà quasi certamente sul nuovo decreto governativo che ha imposto uno stop ai rimborsi. A quel punto la palla passerà di nuovo ai giudici che probabilmente dovranno decidere anche su altre richieste avanzate dalle associazioni che tutelano i consumatori. Il Codacons, in particolare, condivide l'impostazione del Tribunale di Napoli ed ha avviato la raccolta delle firme per la presentazione di una class action.

Un altro fronte dei ricorsi che si potrebbe aprire è la mancata rivalutazione dei trattamenti superiori a 6 volte il minimo inps. Il provvedimento governativo, infatti, non attribuisce alcuna perequazione, per il biennio 2012-2013, ai trattamenti superiori a 2.810 euro lordi al mese all'epoca. Una mancanza che potrebbe anch'essa essere viziata da incostituzionalità secondo Federmanager e ManagerItalia le due associazioni che hanno portato quel passaggio della Legge Fornero davanti alla Consulta. Insomma la toppa messa dal Governo rischia di fare acqua da tutte le parti.

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La Rete dei Comitati aveva indetto per il 28 un presidio a Roma per sollecitare la 7' salvaguardia per gli almeno 49.500 non salvaguardati al 2018. Nell'incontro sono emerse "criticità" per i destinatari della legge 104 ma la disponibilità del Ministero del Lavoro a sostenere la settima salvaguardia.

Kamsin Egregio Direttore vorrei condividere con Lei e con i lettori del vostro quotidiano online, pensionioggi.it, l'esito della manifestazione che si è svolta l'altro giorno, il 28 maggio, davanti alla sede dell'Inps e al ministero del lavoro.

La nostra delegazione ha chiesto all'Inps di chiudere sollecitamente la rendicontazione delle 6 salvaguardie approvate. Ciò per dare immediate risposte ai colleghi salvaguardati che attendono ancora la certificazione e, sopratutto, per quantificare con maggior esatezza i residui del Fondo Esodati indispensabili per finanziare la 7' salvaguardia la proposta della quale è pericolosamente ferma in Commissione Lavoro alla Camera.

Dai vertici tecnici dell'INPS abbiamo ottenuto piena condivisione delle nostre denunce, piena consapevolezza della drammaticità del problema degli "esodati non salvaguardati" e piena collaborazione ed impegno a rispondere sollecitamente alle nostre richieste. Nell'incontro sono comunque emerse alcune criticità che impediscono la rendicontazione definitiva delle 6 salvaguardie causate anche da alcune responsabilità del Ministero del Lavoro relativamente alle categorie salvaguardate degli esodati agricoli e quelli beneficiari della legge 104.

Al termine dell'incontro la delegazione si è spostata quindi presso il Ministero del Lavoro. I due piu' stretti collaboratori del Ministro hanno risposto alle contestazioni e sollecitazioni della nostra delegazione con confortante spirito collaborativo ed hanno riconosciuto i ritardi nella preparazione degli atti propedeutici alla 7' salvaguardia ma hanno dimostrato comunque che il Ministero intende sostenere un settimo provvedimento di salvaguardia. Ritardi giustificati dagli urgenti adempimenti che il Ministero ha dovuto adottare in conseguenza alla ben nota sentenza della Corte sulla indicizzazione delle pensioni.

Siamo stati comunque rassicurati circa il fatto che nelle prossime settimane il Ministero farà tutto il possibile per recuperare i ritardi accumulati procedendo alla attenta verfica dei risparmi emergenti dalle 6 salvaguardie e destinati al Fondo Esodati (con la garanzia che tale Fondo non sarà intaccato per altri fini ma esclusivamente per la salvaguardia degli "esodati"). Gli impegni verso un nuovo provvedimento sono stati confermati e ci si è dati appuntamento per un nuovo incontro nella seconda metà del mese di giugno per fare il punto della situazione.

Non illudiamoci: la strada per ottenere la 7' salvaguardia che abbiamo chiesto è ancora lunga ed irta di ostacoli ed il nostro obbiettivo lo si potrà solo raggiungere continuando con l'impegno di tutti senza il quale alcuna iniziativa della Rete o del singolo Comitato può risultare utile e men che meno efficace.

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L'ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, appoggia le ipotesi di riforma della Legge Fornero per ridare maggiore flessibilità in uscita. Il punto critico riguarda l'entità e la modalità delle riduzione.

Kamsin «Il premier Renzi ha riaperto il tema della "pensione flessibile", già considerato dagli esperti e da varie proposte legislative, ma rimasto finora dormiente. L'esigenza di riconsiderare la questione è indubbia; a condizione di "maneggiare con cautela", per le implicazioni non solo finanziarie, ma sociali e psicologiche, di ogni intervento in materia pensionistica». Lo scrive l'ex Ministro del Lavoro, Tiziano Treu, in un articolo comparso ieri sul Sole24ore.

Bisogna non dare l'impressione che si vuole rifare un'altra riforma delle pensioni precisa Treu. «L'impianto dell'attuale normativa non va alterato; serve qualche modifica per rimediare ai disagi reali da essa creati, inparticolare alla sua eccessiva rigidità. La flessibilità, se bene amministrata, è utile in molti aspetti del lavoro. Lo è anche per permettere alle persone di adattare i tempi e i modi del pensionamento alle proprie condizioni di vita e di lavoro.

Del resto simili forme di flessibilità sono adottate in molti paesi europei, le cui buone pratiche possono fornire spunti utili. Una pratica largamente usata, e proposta anche da noi (ad esempio dal ddl a prima firma Damiano), è quella di ammettere un anticipo di pensionamento entro una fascia definita, con riduzione della prestazione pensionistica. Il punto critico, da cui dipende anche il costo dell'intervento, riguarda la quantità e le modalità della riduzione. Una soluzione possibile è di applicare la logica del metodo contributivo alla quota della pensione retributiva, oppure in toto, ricalcolando l'intera pensione con il metodo contributivo, come è oggi previsto per le donne (fino alla fine di quest'anno). Un simile ricalcolo comporterebbe una riduzione considerevole del trattamento, si stima fra il 20 e il 30%, che è ritenuto difficilmente sostenibile specie per le pensioni mediobasse. Le penalizzazioni previste nel ddl Damiano sono più contenute: il 2% per ogni anno di anticipo rispetto all'età di riferimento (66 anni), fino a un massimo dell'8 per cento.

Ma per questo motivo la proposta è alquanto costosa (oltre 8 miliardi a regime), mentre quella del ricalcolo contributivo potrebbe costare la metà. Ricordo peraltro che nei Paesi ove si è scelta questa strada le riduzioni previste sono consistenti: si va dal 3,6% per ogni anno di anticipo della Germania (con riduzioni per certi soggetti), al 5% della Francia (fino a un massimo di 5 anni), al 67% della Spagna. Una soluzione più graduale, seguita con varianti da Francia e Spagna, prevede che i lavoratori a cui manchino 2-3 anni all'età di pensionamento possano accedere a un lavoro part time, acquisendo il diritto a una pensione parziale (fino a un massimo da stabilire), così da minimizzare la perdita del reddito.

In tali casi si prevede la possibilità che i contributi pensionistici continuino a decorrere per intero al fine di garantire il raggiungimento della pensione prevista per un lavoro full time. Tale soluzione permetterebbe alle aziende di assumere giovani come apprendisti o a part time (senza peraltro un obbligo in tal senso). Una variante di tale ipotesi è la cosiddetta staffetta generazionale, prevista in altri Paesi (Germania) e avanzata anche da noi, in base alla quale la perdita di reddito e di contributi conseguente al part time è compensata dalle aziende e in parte dallo Stato. Si tratta di una soluzione rivelatasi costosa e quindi non facilmente sostenibile. D'altra parte l'accettazione del part time da parte del pensionando risulta difficile, se non gli è garantito in tutto o in parte almeno il pagamento dei contributi. Questo spiega lo scarso esito della sperimentazione di tale soluzione avviata in qualche regione (Lombardia).

L'esito non sarebbe diverso per la ipotesi di seguire questa strada nelpubblico impiego prevista nella normativa Madia, se non ci fosse qualche modo di compensare i part timers volontari. Le aziende potrebbero essere disposte a sostenere parte degli oneri se la loro prestazione fosse agevolata, o non gravata essa stessa da tasse e contributi. La proposta meno costosa (meno di 1 miliardo) è quella studiata a suo tempo dal ministro Giovannini e ripresa dal ministro Poletti, che prevede di corrispondere al lavoratore il quale voglia pensionarsi 2-3 anni prima dellimite legale, un anticipo della pensione, magari raccordato al livello degli ammortizzatori (si ipotizzano 700 euro mensili).

L'anticipo andrebbe restituito dal lavoratore al raggiungimento dell'età pensionabile con opportune rateizzazioni, senza interesse e con eventuali aiuti da parte delle aziende. Tale soluzione potrebbe essere utile in particolare peri lavoratori anziani che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali. Sarebbe un'alternativa utile agli attuali interventi sfavore degli esodati. Del resto Paesi che non prevedono anticipi di pensionamento, come Svezia, Regno Unito e Danimarca, prevedono a favore dei soggetti cui manchino alcuni anni all'età di pensione (2-4 anni) la possibilità di godere di indennità di disoccupazione o di invalidità, magari facoltizzando i comuni a chiedere a tali soggetti un impegno in lavori socialmente utili. Una simile soluzione è stata prospettata anche in Italia in recenti disegni di legge parlamentari. Le varie soluzioni qui indicate possono essere applicate anche in modo alternativo, secondo valutazioni che tengano conto delle condizioni personali ed economiche del caso».

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L’eliminazione dell’adeguamento all'inflazione nel biennio 2012-2013 ha danneggiato circa 4 milioni di pensionati beneficiari di assegni previdenziali superiori ai 1.400,00€/mese lordi.

Kamsin La decisione del Tribunale di Napoli, sezione lavoro, che ha accolto il ricorso di un pensionato presentato prima che il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni, apre la strada a migliaia di pronunce analoghe in tutta Italia in favore dei pensionati. Lo afferma il Codacons, in una nota con la quale ribadisce il diritto di milioni di pensionati a ricevere quanto illecitamente sottratto con la Legge Fornero nel 2011.

Secondo i consumatori infatti, "il decreto vale per il futuro, ma non cancella i diritti acquisiti dai pensionati nel passato, e la sentenza della Consulta interessa proprio le pensioni pregresse per le quali è ampiamente legittimo proporre ricorso". Per il Codacons si tratta di una decisione importantissima, che avalla la class action avviata alla quale, dice l'associazione, hanno già aderito oltre 5.000 pensionati attraverso l'invio di una diffida all'Inps e al Ministero del lavoro. L’eliminazione dell’adeguamento all'inflazione nel biennio 2012-2013, scrive il Codacons, ha danneggiato circa 4 milioni di pensionati beneficiari di assegni previdenziali superiori ai 1.400,00€/mese lordi i quali dovrebbero ricevere indietro una somma pari a migliaia di euro e non poche centinaia come ha messo a disposizione il decreto legge 65/2015 varato il 21 maggio dal Governo Renzi dal 1° agosto.

Il Presidente dell'associazione, Carlo Rienzi, lo aveva indicato chiaramente nei giorni scorsi: «non accetteremo “magheggi” da parte dell’esecutivo. L’INPS deve attuare immediatamente la sentenza, e per questo abbiamo presentato  una formale diffida all’Istituto pensionistico, che deve avviare nuovi conteggi sulle somme da restituire ai pensionati e accreditarle già nel prossimo assegno (comprensive di interessi legali e rivalutazione).  La lesione dei diritti di chi, pur avendo lavorato e contribuito a determinare la propria pensione, ha subito una lesione dei propri diritti patrimoniali riconosciuta dalla Consulta, non può essere accettata».

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L'Inps è stata condannata al pagamento, con decreto ingiuntivo, al pagamento di 3.074 euro a titolo di arretrati dopo la bocciatura del blocco biennale delle indicizzazioni delle pensioni da parte della Corte Costituzionale con la sentenza numero 70/2015 alla fine del mese di Aprile. Kamsin E' quanto è stato stabilito in un decreto ingiuntivo del 29 maggio dal Tribunale di Napoli, sezione lavoro, che ha accolto il ricorso di un pensionato partenopeo presentato prima che il governo annunciasse il decreto sui rimborsi delle pensioni secondo quanto riferito dall'avvocato Vincenzo Ferrò, che ha assistito il pensionato. Nel provvedimento, ha indicato l'avvocato, all'Inps viene anche richiesto di rivalutare il trattamento pensionistico in via permanente per tenere conto dell'effetto maggiorativo degli aumenti dovuti nel biennio 2012-2013 sull'assegno attualmente in pagamento.

Ministero, ricorsi dovranno tenere conto decreto - I cittadini che ritengano di vedere leso un proprio diritto hanno pieno titolo fare ricorso, "ma i ricorsi dovranno tenere conto del decreto del governo. E' quanto ricorda il ministero del Lavoro, ribadendo quanto già affermato dal ministro Giuliano Poletti sulla possibilità di ricorrere contro i rimborsi parziali previsti dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni.

"Dal punto di vista della legittimità - aveva sottolineato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti- noi siamo convintissimi di aver pienamente ottemperato a quanto la Corte ha in qualche modo sottolineato come limiti della normativa precedente per cui ha scelto di cassare quella parte della norma"

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