La decisione
A sollevare la questione di costituzionalità erano stati i giudici del Consiglio di Stato, chiamati a decidere sugli aspetti dell’articolo 1475, comma 2 dall’Associazione solidarietà diritto e progresso.
Nel decidere la parziale fondatezza costituzionale, i giudici della Consulta hanno ritenuto che l’articolo 1475, comma 2 del Codice dell'Ordinamento Militare, viola, in parte, l’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti (“Libertà di riunione e associazione”) e l’articolo 5 della Carta sociale europea (“Diritti sindacali”) nella parte in cui non consente al personale militare di costituire associazioni professionali a carattere sindacale.
La Consulta motiva la decisione sulla scorta di quanto già stabilito dalla Corte per i Diritti Umani in recenti pronunce nelle quali era stata vagliata la legittimità di normative nazionali che comprimevano il diritto per i militari a formare associazioni sindacali.
Secondo la Corte EDU l'articolo 11 della Convenzione non esclude alcuna categoria professionale dal proprio ambito di applicazione; rispetto ai membri delle Forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato, gli Stati possono, al più, introdurre «restrizioni legittime», ma senza mettere in discussione il diritto alla libertà di associazione dei loro membri, né possono imporre restrizioni che riguardano gli elementi essenziali della libertà di associazione, senza i quali verrebbe meno il contenuto di tale libertà, quale è il diritto di costituire un sindacato e di aderirvi. La Corte Costituzionale ha, in sostanza, riconosciuto piena legittimazione a tale principio nell'ordinamento italiano espungendo le norme di legge non conformi.
Resta il divieto di aderire ad altre associazioni
La Consulta rigetta invece la questione di legittimità costituzionale del divieto per i militari di «aderire ad altre associazioni sindacali», contenuto divieto dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e che esse non possano aderire ad associazioni diverse. Secondo l'Alta Corte tale limite è compatibile con i principi Costituzionali in "quanto le specificità dell’ordinamento militare giustificano la esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unità degli organismi che tale ordinamento compongono".
I Limiti
Tracciata la cornice generale la Corte si sofferma poi sulle modalità di costituzione, funzionamento e attività delle associazioni sindacali tra militari. Questi organismi nonostante possano essere costituiti restano però compressi dal rispetto di “restrizioni” per la particolare delicatezza dei compiti che svolgono i soggetti che rappresentano.
La Corte indica tre vincoli assoluti che le associazioni sindacali tra militari devono rispettare: 1) il preventivo assenso del Ministro della difesa alla loro costituzione; 2) il rispetto pieno del principio di democraticità e di neutralità dell’ordinamento delle Forze armate; 3) il divieto di esercizio del diritto di sciopero. "Quest'ultima - ricorda la Corte - è indubbiamente una incisione profonda su di un diritto fondamentale ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti".
Con riguardo agli ulteriori limiti legali la Corte auspica una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, la Consulta ritiene, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del d.lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza «le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale». L'applicazione di tali disposizioni alle associazioni sindacali tra militari può costituire, conclude la Corte, quell'adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.