Niente più documentazione sanitaria all’Inps per fruire della flessibilità del congedo di maternità. Da oggi, infatti, sarà solo il datore di lavoro, e non più l'Inps, a stabilire se la lavoratrice può continuare a lavorare nei due mesi precedenti la data presunta del parto. Lo stabilisce l’Inps nella Circolare n. 106/2022 pubblicata ieri con cui recepisce l’orientamento della Cassazione. L’Istituto provvederà solo a riconoscere l'indennità di maternità limitandosi alla verifica solo delle condizioni per l’erogazione della stessa (es. effettiva astensione dal lavoro).
La flessibilità
Di regola il congedo di maternità si fruisce per i due mesi prima del parto e per i tre mesi successivi, periodo durante il quale vige l’obbligo di astensione dal lavoro. Con l’obiettivo di rendere meno rigida la regola il legislatore ha introdotto (articolo 12 della legge n. 53/2000) la facoltà per la lavoratrice di posticipare sino ad un mese l’inizio della fruizione del congedo, quindi dall’ottavo mese (anziché dal settimo) previa certificazione medica redatta durante il settimo mese di gravidanza da un medico del SSN o convenzionato, attestante l'assenza di pregiudizi alla salute per la lavoratrice stessa e per il nascituro. Con l’articolo 1, co. 485 della legge n. 145/2018 l’istituto è stato reso ancora più flessibile con la previsione che il congedo possa essere interamente fruito dopo il parto, cioè per cinque mesi dalla nascita, fermo restando l’obbligo di produrre la certificazione medica.
Prassi rigida
Sino ad oggi per fruire della flessibilità nei termini sopra richiamati la lavoratrice era tenuta a produrre le attestazioni sanitarie sia al datore di lavoro che all’Inps entro il settimo mese di gravidanza. L’Inps verificava che la documentazione sanitaria fosse acquisita tempestivamente (cioè entro il settimo mese) e conforme alle disposizioni di legge (cioè redatta da un medico del Ssn o con esso convenzionato). In caso contrario rigettava la domanda di flessibilità con il conseguente divieto di continuare a lavorare e con calcolo del congedo di maternità con la modalità «ordinaria» (due mesi prima e tre dopo il parto).
Questa impostazione, tuttavia, è stata smentita dalla Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 10180/2013 gli ermellini hanno stabilito che la mancata presentazione preventiva delle certificazioni non incide sugli aspetti indennitari della maternità, di competenza Inps, ma solo sulle eventuali responsabilità del datore di lavoro (cioè nella violazione del divieto di adibire al lavoro la gestante). In particolare ove il certificato sia presentato oltre il settimo mese di gravidanza e la lavoratrice abbia continuato a lavorare, il datore di lavoro dovrà corrisponderle la retribuzione e alla lavoratrice non spetterà l’erogazione dell’indennità di maternità per l’ottavo mese di gravidanza ma solo per i quattro mesi successivi.
Certificazioni solo al datore
Il documento osserva che effettivamente la legge non prevede uno specifico obbligo di produzione della documentazione sanitaria all’ente previdenziale. Pertanto, con l’obiettivo di deflettere il contenzioso giudiziario e rendere più effettiva la tutela della flessibilità l’Inps spiega che la certificazione medica non deve essere più allegata alla domanda di flessibilità presentata all'Inps, ma solo al datore di lavoro. L'eventuale domanda presentata senza certificazione o con certificazione non conforme (redatta fuori dal settimo mese di gravidanza) non comporterà più, quindi, il rigetto della domanda di flessibilità.
Su conforme parere ministeriale, la novità ha effetto sia per il futuro sia per le domande già presentate e in fase istruttoria, oltre a interessare, su richiesta da parte della lavoratrice interessata, in via di autotutela, salvo intervenuta prescrizione, le domande eventualmente definite in maniera difforme. Con riferimento ai ricorsi amministrativi e ai giudizi in corso, l’Inps provvederà, in autotutela, alle attività necessarie per la cessazione della materia del contendere.
Documenti: Circolare Inps 106/2022