Il datore di lavoro non è tenuto al versamento del contributo per il licenziamento solo se il lavoratore ha maturato il diritto alla decorrenza della pensione di vecchiaia o anticipata al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. In tutti gli altri casi, ancorchè il lavoratore abbia maturato il diritto ad altra prestazione pensionistica (es. quota 100, opzione donna, totalizzazione eccetera), il contributo deve essere pagato a prescindere dalla circostanza che possa non fruire della naspi optando per l'andata in pensione. Lo rende noto, tra l'altro, l'Inps tra l'altro nella Circolare numero 40/2020 pubblicata l'altro giorno dall'ente previdenziale.
La natura del ticket
Il ticket, operativo dal 2013, è dovuto in tutti i casi d'interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, salvo eccezioni tra cui dimissioni, risoluzioni consensuali, decesso del lavoratore e licenziamento di domestici. Il ticket ha l'obiettivo di finanziare la Naspi e va pagato, pertanto, anche nel caso il datore ricorra al cd. contratto di espansione. Il suo importo è fissato, in misura annua, pari al 41% del massimale mensile Naspi per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni e deve essere sempre versato in unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro. Per le frazioni di anno, si paga in misura mensile (misura annua diviso 12).
Licenziamenti collettivi
La misura del contributo è elevata nei casi di licenziamento collettivo avviati ai sensi della legge 223/1991. A tal riguardo l'art. 2, comma 35, della legge n. 92/2012 ha moltiplicato per tre la misura del contributo a partire dal 1° gennaio 2017 nei casi di licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale. Dal 2018, inoltre, l'aliquota percentuale di calcolo del contributo è pari all'82% del massimale mensile per tutte le aziende soggette a cigs che effettuino licenziamenti collettivi (sono rimaste escluse le aziende la cui procedura sia stata avviata entro il 20 ottobre 2017, ancorché le interruzioni del rapporto di lavoro siano avvenute in data successiva al 1° gennaio 2018).
L'Inps spiega, pertanto, che dal combinato disposto delle due norme sopra citate consegue che per ogni interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intervenuta a decorrere dal 1° gennaio 2018 nell'ambito di un licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale, da parte di un datore di lavoro tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell'integrazione salariale straordinaria, il c.d. ticket di licenziamento, pari all'82% del massimale mensile, è moltiplicato per tre volte.
Chiusura cantiere
Riguardo alle risoluzione dei rapporti di lavoro in seguito a chiusura di cantieri per fine lavori, l'Inps precisa che il contestuale licenziamento di più (ma non di tutti i) lavoratori adibiti a un cantiere «integra gli estremi di un giustificato motivo di licenziamento individuale, anche se plurimo», per il quale non opera l'esonero. Tuttavia, qualora, a seguito di licenziamenti per fine cantiere, le parti avviino la procedura di conciliazione, aggiunge l'Inps, c'è l'esonero dal ticket nel solo caso in cui la conciliazione si concluda prevedendo la risoluzione del rapporto di lavoro a seguito del licenziamento intimato a titolo di fine cantiere.
Maturazione del diritto a pensione
Come noto la regola generale prevede che il contributo non sia dovuto nei casi in cui il lavoratore abbia maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni unitamente a 20 anni di contributi) o per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi gli uomini; 41 anni e 10 mesi di contributi le donne; 41 anni di contributi i lavoratori precoci) al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. In questi casi, infatti, il lavoratore non ha diritto alla Naspi e, di conseguenza, non è dovuto il ticket. Al contrario il contributo va versato in tutti i casi in cui il lavoratore ha diritto teorico alla Naspi (a prescindere dalla circostanza che ne faccia uso).
Con riferimento alla pensione anticipata l'Inps con la Circolare numero 88/2019 ha spiegato che la Naspi «copre» la finestra di pensionamento (3 mesi di slittamento a partire dal 1° gennaio 2019). Pertanto il contributo di licenziamento sarà dovuto nel caso in cui la risoluzione del rapporto di lavoro avvenga prima dell'apertura della finestra mobile per la decorrenza della pensione anticipata. Ad esempio se il datore di lavoro effettua il licenziamento il 31 maggio 2020 al perfezionamento dei 42 anni e 10 mesi di contributi dovrà pagare il ticket di licenziamento in quanto alla medesima data non si è ancora aperta la finestra mobile che consente al prestatore di accedere alla pensione anticipata (per evitare di pagare il ticket occorrerà, pertanto, rinviare il licenziamento al 31 agosto 2020). Per la pensione di vecchiaia non ci sono particolari problemi (in questa prestazione non è prevista la finestra mobile).
Dalla regola esposta discende, inoltre, che il ticket andrà pagato in tutti gli altri casi di maturazione di un requisito pensionistico diverso dalla pensione di vecchiaia o dalla pensione anticipata al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. E' il caso, in particolare, della quota 100, dell'opzione donna, della totalizzazione nazionale, della ricongiunzione, dell'ape sociale eccetera. In questi casi, infatti, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro sorge in capo al lavoratore il diritto (teorico) alla naspi fino alla prima decorrenza utile della pensione successiva all’esercizio delle predette facoltà. Per cui, in questi, casi il datore di lavoro è tenuto a pagare il contributo di licenziamento a prescindere dalla circostanza che il lavoratore non usufruisca, in concreto, della Naspi optando per uno dei predetti trattamenti pensionistici.
L'obbligo del ticket di licenziamento sussiste anche per i titolari dell’assegno ordinario di invalidità. La sentenza della Corte Costituzionale numero 234/2011 ha, infatti, stabilito il diritto di opzione tra il mantenimento dell'assegno ordinario di invalidità e l'erogazione dei trattamenti di disoccupazione. Pertanto, potendo il lavoratore optare per la disoccupazione in luogo dell'AOI, l’interruzione del rapporto di lavoro comporta sempre l’obbligo contributivo del c.d. ticket di licenziamento a prescindere dalla sua effettiva percezione.
Documenti: Circolare Inps 40/2020