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I Giudici dichiarano illegittima la riforma dell'Isee nella parte nella quale considera nel reddito disponibile anche le pensioni legate a situazioni di disabilità e le indennità di accompagnamento.

Kamsin Il Tar del Lazio ha giudicato illegittima la riforma dell'Isee nella parte nella quale considera nel reddito disponibile anche le pensioni legate a situazioni di disabilità e le indennità di accompagnamento. Così ha stabilito il Tribunale amministrativo a seguito di un ricorso presentato dall'Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva (Utim) e dall'Associazione promozione sociale (Anmil) riguardante l'articolo 4, comma 2, lettera f) del Dpcm 159/2014 con cui si è attuata la revisione dell'Isee.

Com'è noto l'indicatore della situazione economica equivalente è uno strumento che serve per valutare la ricchezza di un nucleo familiare al fine di avere accesso a condizioni agevolate a determinati servizi, quali per esempio mense scolastiche e asili prevista dal decreto legge 201/2011. L'articolo 5 del Dl ha stabilito che ai fini Isee si deve adottare una definizione di reddito disponibile che include «le percezioni di somme, anche se esenti da imposizione fiscale...valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero». L'obiettivo di questa disposizione, secondo i giudici, è correggere gli errori del passato per cui risultavano privi di reddito persone che non avevano risorse sottoponibili a dichiarazione Irpef, ma che in realtà non erano tali.

E' il caso, per esempio, delle pensioni estere non tassate in Italia, dei redditi prodotti e tassati all'estero, dell'assegno di mantenimento di figli percepito dal coniuge divorziato. Il Dpcm, invece, include nel reddito disponibile anche i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese carte di debito a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche. Ebbene, secondo il Tar Lazio questa definizione, ricomprende, senza motivo, «gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazione di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni Inps alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo riconosciuti ai sensi delle legge 210/92 e 229/05».

Tali importi, invece, non possono essere considerati reddito e le deduzioni e detrazioni previste dal Dpcm per i disabili non sono sufficienti perché non tengono conto «dell'effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non a introdurre specifiche detrazioni e franchige su un concetto di reddito allargato».

"È con soddisfazione - dice l'Anmil -  che apprendiamo la notizia dell'accoglimento da parte del Tar del Lazio del ricorso presentato dai familiari dei disabili contro la riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) entrata in vigore a inizio 2015, che ha introdotto un nuovo meccanismo di calcolo del reddito per l'accesso ad aiuti e a prestazioni sociali agevolate, sfavorevole per le persone con disabilità più gravi".

Una pronuncia, quella del Tar, - conclude il comunicato - pienamente in linea con quanto denunciato dall'Anmil già nelle prime fasi di elaborazione del regolamento. Auspichiamo che ora il Governo prenda atto al più presto di questa importante pronuncia, risolvendo una questione che tutto il mondo della disabilità sta vivendo come una inaccettabile e ingiusta aggressione dei propri diritti".

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Nel consiglio dei Ministri del 20 Febbraio il Governo estenderà la maternità a tutte le lavoratrici iscritte alla gestione separata dell'Inps, come per le partite Iva.

Kamsin Nel Consiglio dei ministri di venerdì prossimo sarà messa nero su bianco l'estensione della tutela della maternità a tutte le lavoratrici ricomprendendo anche le iscritte alla gestione separata dell'Inps e alle partite Iva. A prometterlo è stato ieri il premier Matteo Renzi su Twitter che ha confermato l'accelerazione sull'approvazione dei decreti attuativi della legge 183/2013 (il cd. Jobs Act).

A differenza di quanto avviene per le dipendenti, però, le «mamme autonome» non saranno obbligate a smettere di lavorare per cinque mesi, perché questo potrebbe essere un danno per la loro attività. Potranno scegliere se farlo oppure no. Se lo faranno, avranno diritto a un assegno finanziato in parte dallo Stato, in parte dai contributi di lavoratori e aziende. Il sostegno al reddito sarà garantito anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro: l'assegno sarà «anticipato» dall'Inps che poi si rivarrà sull'azienda. L'eventuale stop per maternità, non potrà portare all'interruzione del contratto. Tutte queste misure saranno contenute nel decreto attuativo del Jobs act che riguarda la cosiddetta conciliazione lavoro-famiglia.

Ma nel provvedimento in arrivo sul tavolo del Consiglio dei ministri ci sono altre due novità importanti che toccano tutte le madri lavoratrici, sia dipendenti sia autonome. «I giorni in cui il bambino è ricoverato in ospedale ha  spiegato il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova non saranno conteggiati come congedo di maternità, né obbligatorio né facoltativo». L'altro intervento riguarda i neonati prematuri: «Oggi se un bimbo nasce in anticipo rispetto alla data presunta del parto comunicata all'Inps quei giorni vengono persi ai fini del congedo obbligatorio. Il decreto dirà che sarà possibile recuperarli anche superando il limite dei tre mesì dopo la nascita».

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Lo sgravio contributivo fino ad 8mila euro l'anno riguarda tutti i nuovi assunti con contratti a tempo indeterminato tra il 1° gennaio ed il 31 Dicembre 2015. Ammessi anche i soggetti non imprenditori.

Kamsin L'Inps ha diramato con la Circolare 17/2015 le istruzioni  per ottenere i benefici relativi alle assunzioni a tempo indeterminato di cui alla legge 190/2014. Il beneficio, ricorda l'Inps, si applica a tutti i datori di lavoro privati e, in questo ambito, ancorché con misure, condizioni e modalità di finanziamento specifiche,anche ai datori di lavoro agricoli. Ai fini del diritto all'esonero, non assume rilevanza la sussistenza della natura imprenditoriale in capo al datore di lavoro, pertanto il beneficio e esteso anche ai soggetti non imprenditori ( ad esempio associazioni culturali, politiche, sindacali o di volontariato, studi professionali).

I rapporti di lavoro interessati. L'esonero contributivo riguarda tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, anche se part-time, con l'eccezione dei contratti di apprendistato e di lavoro domestico. Nelle tipologie contrattuali incentivate rientra anche il lavoro ripartito a tempo indeterminato (job sharing), purché le condizioni per l'applicazione siano possedute da ambedue i lavoratori coinvolti. Le nuove norme valgono anche per assumere personale con qualifica dirigenziale e per le assunzioni a tempo indeterminato a scopo di somministrazione. Ancora, è possibile fruire del bonus per i rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato instaurati dalle cooperative di produzione e lavoro (legge 112/2001).

Da segnalare, inoltre, che si potranno assumere a tempo indeterminato o stabilizzare anche lavoratori già occupati in azienda con contratti a termine. L'Inps ha chiarito, infatti, che può fruire dell'esonero contributivo il datore di lavoro privato, che adempie all'obbligo (previsto dall'articolo 5, comma 4quater del Dlgs 368/2001), di dare precedenza, nell'assunzione a tempo indeterminato, al lavoratore con il quale, nei 12 mesi precedenti, ha avuto uno o più rapporti di lavoro a termine per un periodo complessivo di attività superiore a sei mesi. Lo stesso vale per i casi di trasformazione di un rapporto di lavoro a termine in un rapporto a tempo indeterminato. In ogni caso, l'incentivo può ritenersi valido anche nel caso dell'assunzione di lavoratori disabili.

Restano esclusi dal beneficio i contratti di apprendistato e i contratti di lavoro domestico. Parimenti sono esclusi dal bonus quei lavoratori che, nei sei mesi precedenti l'assunzione, erano occupati, presso qualsiasi datore di lavoro, con contratto a tempo indeterminato. Da segnalare, inoltre, che non possono fruire del bonus quei lavoratori che, nei tre mesi dal 1° ottobre al 31 dicembre 2014, hanno avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro che chiede l'incentivo (o con società da questi controllate o facenti capo allo stesso datore anche per interposta persona) così come quei lavoratori che hanno avuto un precedente rapporto di lavoro agevolato, in base alla legge di stabilità 2015, con lo stesso datore di lavoro

Il Bonus. L'esonero contributivo consiste, per il datore di lavoro, nella possibilità di non versare i contributi (sia l'aliquota Ivs al Fondo pensioni sia le aliquote minori) fino a un tetto massimo di 8.060 euro all'anno e riguarda le nuove assunzioni effettuate dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015. La durata del bonus è di 36 mesi dalla data di assunzione. Per i rapporti di lavoro part-time, la misura della soglia massima va adeguata in diminuzione in base alla durata dell'orario ridotto di lavoro, in rapporto a quella ordinaria stabilita dalla legge o dai contratti collettivi.

Per la gestione del bonus l'Inps ha deciso di adottare un particolare criterio, introducendo un contatore mensile che aumenta progressivamente. Infatti, per agevolare l'applicazione dell'incentivo, la soglia massima di esonero contributivo è riferita al periodo di paga mensile ed è pari a 671,66 euro (8.060/12) e, per rapporti di lavoro instaurati o risolti nel corso del mese, la soglia va riproporzionata assumendo come riferimento la misura di 22,08 euro (8.060/365 giorni) per ogni giorno di fruizione dell'esonero contributivo.

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A causa del sistema contributivo circa il 65% dei giovani occupati dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti.

Kamsin La 'generazione mille euro' avrà ancora meno a fine carriera. Oggi il 40% dei lavoratori dipendenti di 25-34 anni ha una retribuzione netta media mensile fino a mille euro. E in molti si troveranno ad avere dalla pensione un reddito più basso di quello che avevano a inizio carriera. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis.

Il Censis stima che il 65% dei giovani occupati dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti, considerando l'abbassamento dei tassi di sostituzione.

E la previsione riguarda i più 'fortunati', cioè i 3,4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard. Poi ci sono 890.000 giovani 25-34enni autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3 milioni di Neet, che non studiano né lavorano. Se continua così, sottolinea il Censis, i giovani precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani.

Dall'indagine emerge inoltre che solo il 35% degli italiani ha paura di invecchiare: il 15% combatte gli effetti dell'invecchiamento e il 20% si rassegna. Il 65% invece non teme l'invecchiamento: perché lo considera un fatto naturale (53%) o perché pensa che invecchiando si migliora (12%).

A far paura è la perdita di autonomia. Pensando alla propria vecchiaia, il 43% degli italiani giovani e adulti teme l'insorgere di malattie, il 41% la non autosufficienza. E il 54% degli anziani fa coincidere la soglia di accesso alla vecchiaia proprio con la perdita dell'autosufficienza, il 29% con la morte del coniuge e il 24% con il pensionamento.

La fragilità legata all'invecchiamento terrorizza i giovani. Pensando a quando saranno anziani e bisognosi di cure, il 32% di giovani e adulti si preoccupa perché non sa bene che cosa accadrà, il 22% è incerto e disorientato, e solo il 16% si sente tranquillo, perché si sta preparando a quel momento con risparmi e polizze assicurative, o semplicemente conta sul supporto della propria famiglia.

In casa propria, accuditi dai familiari o da una badante: è questo oggi il modello di assistenza agli anziani non autosufficienti, sottolinea il Censis nella ricerca. Le badanti sono più di 700.000 (di cui 361.500 regolarmente registrate presso l'Inps con almeno un contributo versato nell'anno) e costano 9 miliardi di euro all'anno alle famiglie. Finora il modello ha funzionato, per il futuro però potrebbe non essere più così.

Sono 120.000 le persone non autosufficienti che hanno dovuto rinunciare alla badante per ragioni economiche. Il 78% degli italiani pensa che sta crescendo la pressione delle badanti per avere stipendi più alti e maggiori tutele, con un conseguente rialzo dei costi a carico delle famiglie. Per tanti l'impegno economico diventa insostenibile: 333.000 famiglie hanno utilizzato tutti i risparmi per pagare l'assistenza a un anziano non autosufficiente, 190.000 famiglie hanno dovuto vendere l'abitazione (spesso la nuda proprietà) per trovare le risorse necessarie, 152.000 famiglie si sono indebitate per pagare l'assistenza.

E sono oltre 909.000 le reti familiari che si 'autotassano' per pagare l'assistenza del familiare non autosufficiente. E anche quando si ricorre alla badante, l'85% degli italiani sottolinea che è comunque necessario un massiccio impegno dei familiari per coprire giorni di riposo, festivi, ferie, e altro.

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Non sarà più istituito presso l'Inps, ma presso il ministero del Lavoro, il Fondo per i contratti d ricollocazione, che ha una dote complessiva di 50 milioni per quest'anno e di 20 milioni per il 2016.

Kamsin Il Contratto di ricollocazione sarà esteso verso tutti i disoccupati, e non più solo ai lavoratori licenziati illegittimamente, come prevede lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri. Sono queste le modifiche concordate dal Governo e dalla Conferenza Stato Regioni, che ieri ha espresso il parere sullo schema di Dlgs di riordino degli ammortizzatori, istitutivo della Naspi (la nuova assicurazione sociale per l'impiego), che passa all'esame della Ragioneria, per andare alle commissioni Lavoro di Camera e Senato per il parere (non vincolante per il governo). Immutato il meccanismo. Il voucher sarà dato al lavoratore a condizione che si ponga a disposizione e cooperi con l'Agenzia per il lavoro (pubblica o privata accreditata), che sarà pagata solo a risultato ottenuto, cioè a ricollocazione avvenuta.

Intanto la commissione lavoro di Montecitorio dovrà esprimersi prima della prossima settimana sul decreto attuativo del nuovo modello di inserimento a tutele crescenti. E, fra le osservazioni e le integrazioni che finiscono nel testo stilato dal presidente e relatore Maurizio Sacconi (Ap), quella più rilevante stabilisce come con riferimento ai licenziamenti collettivi, il governo sia chiamato a valutare «l'opportunità di rivedere il regime sanzionatorio» (fissato nell'articolo 10, in cui si introduce una nuova forma di tutela) mediante il reintegro del posto di lavoro per i dipendenti «in caso di violazione dei criteri previsti dai contratti collettivi».

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Incassare il trattamento di fine rapporto mensilmente da marzo 2015 a giugno 2018, invece di destinarlo a un fondo pensione, può ridurre notevolmente l'assegno integrativo del 10% ma la penalizzazione può sfiorare anche il 30 per cento.

Kamsin La monetizzazione del Tfr rischia di essere un bluff per i lavoratori. A guadagnarci sarà soprattutto lo stato. Perché sulle somme erogate in busta paga scatta l'applicazione della tassazione ordinaria (la stessa tassa della busta paga) invece di quella «separata», quella normalmente applicata al Ttr intascato a fine carriera. La legge di stabilità  legge 190/2014  ha introdotto la possibilità di trasformare, per un periodo limitato di tempo, il trattamento di fine rapporto (Tfr) in una parte integrativa della retribuzione.

Un'opzione che può risultare utile per far fronte alle spese primarie di breve termine, al saldo delle varie imposte previste, e forse per determinare un incremento dei consumi. Tuttavia le conseguenze di questa scelta devono essere comprese in maniera chiara. Infatti la prestazione netta che il lavoratore potrebbe ricevere alla cessazione dal servizio da un fondo pensione si ridurrebbe, in alcuni casi anche in maniera drastica, qualora venisse richiesta l'erogazione del Tfr in busta paga. Senza contare che la tassazione applicata alle somme percepite in anticipo sarà piu' elevata. Il Tfr in busta paga viene, infatti, tassato come reddito da lavoro dipendente, sulla base, cioè, dell'aliquota marginale personale, l'anticipazione risulterà imponibile a un'aliquota pari al 23 per cento.

Un esempio per valutare. Un lavoratore con 20 mila euro di retribuzione annua ha diritto a una quota annua di Tfr di 1.381 euro. Se conserva la via tradizionale dell'incasso a fine carriera, incasserà un Tfr netto di 1.049 euro. Se dovesse scegliere la liquidazione in busta paga, invece, incasserà un Tfr netto di 925 euro rimettendoci dunque ben 124 euro che andranno all'erario.

E non è tutto, perché occorre anche considerare la perdita, come accennato, della rendita erogata dal fondo pensione a cui il TFR era destinato. Il mancato accredito del periodo 1° marzo 2015-giugno 2018 comporta, infatti, una temporanea mancata contribuzione nella sua storia previdenziale e, quindi, una rendita integrativa complessiva minore di quella che sarebbe stata elargita senza l'opzione monetizzazione.

Secondo i Consulenti del Lavoro se si confronta la prestazione finale con quella che il lavoratore otterrebbe qualora decidesse di ricevere dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018 il relativo Tfr in busta paga, la perdita, come si evince dalla tabella, può oscillare tra il 10 ed il 30% sulla prestazione integrativa. Il principio è chiaro: qualora gli accantonamenti di Tfr non siano destinati ai fondi pensione la prestazione finale netta maturata dal lavoratore sarà inferiore.

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