Secondo i dati raccolti dalla Commissione Lavoro dunque circa il 71% dei rispondenti sono riconducibili a lavoratori non rientranti in alcuno dei sei provvedimenti di tutela emanati dopo l'approvazione della Legge Fornero. Duro il confronto che si è acceso dopo la diffusione dei dati tra Pietro Ichino e La Rete degli Esodati che contesta duramente le risultanze, sostenendo che essi non sono veramente rappresentativi. Secondo i Comitati la platea degli esclusi in realtà sarebbe pari a circa 50mila lavoratori, numeri sostanzialmente confermati dal Direttore generale dell’Inps Nori (all'epoca) in una audizione alla Camera del 14 ottobre 2014.
Secondo Ichino i dati forniti dall'Inps in realtà sono gonfiati dalla presenza, in questa cifra, dei “contributori volontari” (disoccupati da molti anni e anche decenni) che con le vecchie regole si attendevano il pensionamento entro il 6 gennaio 2019. Secondo Ichino "questi ultimi non sono esodati, ovvero persone che hanno accettato una incentivazione all’esodo, rinunciando al posto di lavoro, in vista di un pensionamento imminente, e che si sono poi viste differire il pensionamento stesso per effetto della riforma sopravvenuta". Concludendo in sostanza che non devono essere tutelati.
Per fare un pò di chiarezza su questi numeri vi riproponiamo la nostra tavola, elaborata sulla base delle indicazioni comunicate da Nori lo scorso ottobre alla Commissione Lavoro della Camera. La tavola mostra quanti sono, per ciascun profilo di tutela, i lavoratori rimasti fuori dal perimetro di tutela delle salvaguardie emanate dopo la Riforma Fornero.
Come si vede i contributori volontari effettivamente pesano per circa 25mila posizioni, quasi la metà dei lavoratori censiti dal rapporto dell'Inps. Ma anche volendo eliminare i contributori volontari dal perimetro di tutela, figli probabilmente di un Dio minore, come suggerisce Ichino, il numero degli esclusi resta comunque ben al di sopra delle mille unità, il dato uscito fuori dal questionario. Oltre ai cessati in senso stretto, cioè con accordi di incentivazione all'esodo o in via unilaterale, restano infatti da aggiungere i lavoratori in mobilità e i cessati a tempo determinato piu' alcune categorie che non sono state menzionate nel predetto rapporto (si pensi a quei lavoratori la cui azienda è fallita e che non hanno potuto stipulare accordi per la mobilità, ai titolari del trattamento edile, ai lavoratori in somministrazione di lavoro). Le risultanze della Commissione Lavoro quindi non sono comunque molto convincenti.
Senza contare che sarebbe un fatto grave escludere da una eventuale settima salvaguardia proprio i contributori volontari. L'autorizzazione ai volontari ha infatti da sempre costituito un argine invalicabile rispetto ad interventi peggiorativi in quanto determina la cristallizzazione dei requisiti previdenziali al momento del rilascio dell'autorizzazione da parte dell'Inps. Ciò perchè il beneficiario, avendo perso il lavoro e quindi la possibilità di raggiungere la pensione con contribuzione da lavoro, si impegna a pagare una certa cifra in vista del raggiungimento della pensione, che poi non può essere spostata senza determinare una rottura del "patto contributivo" stipulato con l'ente di previdenza. Un patto che non si può rompere senza precise responsabilità in sede legale.
Non a caso il legislatore ha sempre previsto una salvaguardia per questa categoria di lavoratori tanto nel 1992, con la Riforma Amato (che ha portato da 15 a 20 anni il requisito contributivo necessario per la pensione di vecchiaia) sia con la legge Maroni nel 2004 e nel 2007. Da ultimo con la legge Fornero del 2011 nella quale si è anche precisato opportunamente, per evitare abusi, che il lavoratore dovesse almeno aver versato un contributo volontario entro il 6 dicembre 2011 e che non dovesse essersi reimpiegato in contratti di lavoro a tempo indeterminato dopo il conseguimento dell'autorizzazione.