Alcuni interpreti hanno letto in questa decisione il rischio di una generalizzata estensione della facoltà per le Pa di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro all'età di 65 anni ancorché non sia stato maturato il diritto a pensione. Consigliando tutto il comparto del pubblico impiego ad attivarsi tempestivamente per non rischiare di restare senza stipendio e senza pensione. Le cose, in realtà, non stanno così. Vediamo perchè.
La normativa attuale, frutto di una lunga stratificazione legislativa, impone alle Pa al compimento del 65° di collocare in quiescenza il dipendente pubblico (licenziamento d'ufficio) esclusivamente se questi abbia maturato i requisiti per la pensione anticipata (cioè 41 anni e 10 mesi di cbt le donne + 3 mesi di finestra mobile; 42 anni e 10 mesi di cbt gli uomini + 3 mesi di finestra mobile). Il possesso dei requisiti per la quota 100, invero, non rileva (art. 14 co. 6 lett. d) DL 4/2019 come convertito con legge 26/2019) a tal fine (la Pa non può licenziare in questo caso). Ciò significa che se il dipendente pubblico all'età di 65 anni non ha i requisiti per la pensione anticipata deve rimanere il servizio sino al raggiungimento dei 67 anni, cioè sino all'età attualmente fissata per il pensionamento di vecchiaia.
Come mai quindi la sentenza ha accertato la legittimità della Pa confermando il licenziamento d'ufficio del dirigente all'età di 65 anni? La risposta è che nel 2008-2009, epoca in cui risalgono i fatti, l'età per la pensione di vecchiaia per gli uomini nel pubblico impiego era fissata all'età di 65 anni e, pertanto, coincideva con il limite anagrafico per la permanenza in servizio. In altri termini non poteva accadere, almeno di regola, che la pensione di vecchiaia venisse maturata in un momento successivo alla perdita dei requisiti per il servizio. E non avendo l'interessato prodotto in tempo utile l'istanza per il trattenimento in servizio, secondo la normativa ratione temporis applicabile, oltre l'età di 65 anni (istanza facoltativa) la Corte ha confermato la licenziabilità del dirigente ritenendo, peraltro, che non sussista alcuna differenza tra dirigenti a tempo indeterminato o determinato.