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La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo, per il biennio 2012-2013, il blocco della perequazione sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo INPS.

Kamsin Tutti gli assegni liquidati prima del 2012 e superiori a tre volte il trattamento minimo inps dovranno essere ricalcolati dall'Inps. Lo ha deciso oggi la Corte Costituzionale nella sentenza numero 70 con la quale i giudici hanno bocciato il blocco della perequazione delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 stabilito dalla Legge Fornero.

Ad avviso dei giudici "l'interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio", afferma la Corte.

"La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico - dice ancora la sentenza - induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività".

"Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà" (art. 2) e "al contempo attuazione del principio di eguaglianza", (art. 3).

Gli effetti sugli assegni. Come si ricorderà nel 2011 il Governo Monti, per fare cassa, aveva sospeso l'indicizzazione al costo della vita delle pensioni di importo mensile superiore a tre volte il trattamento minimo INPS (circa 1.400 euro mensile al lordo delle ritenute fiscali) per tutto il biennio 2012-2013. La misura ha determinato un progressivo impoverimento degli assegni dato che, com'è noto, gli effetti non sono limitati ai soli anni in cui opera il blocco, ma anche per il futuro.

Deve rammentarsi - si legge nella sentenza - che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato".

La decisione farà ora sentire il suo peso sulle casse pubbliche dato che, secondo le stime dell'Avvocatura dello Stato, fornite in occasione dell'udienza pubblica, ammonterebbero a circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013 i denari risparmiati dallo stato dal blocco degli assegni.

La tabella seguente mostra quanto potere di acquisto hanno lasciato sul campo gli assegni superiori a 3 volte il minimo inps rispetto alla disciplina vigente sino al 2011 (si noti che la causa della perdita non è solo data dalla mancata rivalutazione del biennio 2012-2013 ma anche dalla riduzione dell'indice di perequazione da attribuire per gli assegni superiori a 4 volte il minimo come stabilito dalla legge 147/2013).

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Una sentenza del Tar riconosce piena specificità ai permessi legati all'effettuazione di visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici.

Kamsin I permessi che il contratto nazionale di lavoro ha stabilito per motivi personali o di famiglia, così come i permessi brevi per malattia o le ferie, non devono essere obbligatoriamente utilizzati per giustificare assenze del lavoratore per effettuare visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici. E' quanto ha affermato la sentenza del TAR numero 5714 dello scorso 17 aprile 2015 con la quale i giudici amministrativi sostanzialmente accolgono un ricorso presentato dalla Cgil.

La vicenda verteva sulla corretta interpretazione del comma 5 ter dell'articolo 55 septies del D.Lgs 165/2011 con il quale è stata riconosciuta la possibilità di fruire di permessi retribuiti nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici. Il ministero della Funzione pubblica, con la circolare 2 del 17 febbraio 2014, nel riconoscere tale novella, tuttavia, aveva fatto rientrare tali permessi nei limiti quantitativi previsti dalla legge e regolati dai contratti collettivi di lavoro per le altre tipologie di permesso come i permessi per motivi personali, per le malattie brevi ed, infine, alle ferie comprimendo, nei fatti, i periodi di fruizione di tali periodi per il lavoratore.

La sentenza del Tar riconosce invece piena specificità ai permessi legati all'effettuazione di visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici. Che dunque possono essere fruiti senza dover comprimere i periodi di permesso riconosciuti da altre norme di legge o dai contratti collettivi di lavoro come quelli per i motivi personali o di famiglia, i permessi brevi ed ancora le ferie.

"Si tratta di permessi aggiuntivi - ricordano dal sindacato - così come sono aggiuntivi altri permessi previsti da specifiche norme di legge come quelli per la donazione del sangue. Nell'accordo quadro da stipulare all'Aran si stabilirà se tali permessi andranno computati nel limite massimo di comporto della malattia o meno ma certamente a nostro avviso non possono essere sottoposti alla decurtazione di legge previste in caso di malattia breve" concludono dalla Cgil.

"Questa sentenza rende nulli anche tutti gli atti compiuti dall’amministrazione, in attuazione della circolare 2,  laddove avessero “trasformato d’ufficio” le richieste di assenze per malattia da parte dei lavoratori in permessi retribuiti per motivi familiari o in permessi brevi per malattia, o in ferie, compromettendo di fatto la possibilità di fruizione di questi permessi per gli scopi previsti nel contratto stesso" concludono dalla Cgil.

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Sarà avviata domani l'operazione busta arancione. Coinvolgerà all'inizio 3 milioni di under 40 iscritti tra le gestioni autonomi, parasubordinati fondo lavoratori dipendenti.

Kamsin Parte l'operazione trasparenza dell'Inps sulle pensioni. I primi a poter conoscere l'entità della propria prestazione pensionistica saranno tre milioni di lavoratori under 40 autonomi, coltivatori diretti, iscritti alla gestione separata o al fondo lavoratori dipendenti. La simulazione sarà resa disponibile attraverso un documento interattivo consultabile tramite il sito dell'Inps previo accesso attraverso l'apposito pin dispositivo.

Attenzione però ai risultati. Il trattamento pensionistico futuro viene infatti stimato in base a dei parametri di massima la cui attendibilità diminuisce al crescere della distanza alla pensione. Paradossalmente, quindi, sono proprio questi lavoratori a rischiare di avere un calcolo poco accurato. L'Inps ha preso come riferimento per la crescita del paese le stime sul Pil contenute nel Def, il Documento di economia e finanza, con fattori che potranno essere comunque modificati dall'utente. Il lavoratore riceverà quindi una fotografia nella quale verrà indicata l'età approssimativa della pensione di vecchiaia, la previsione dell'ultimo stipendio prima del ritiro dal lavoro, l'ammontare dell'assegno segno ed il tasso di sostituzione. Chi non ha il pin, in autunno, troverà la documentazione necessaria ad accedere nella propria casella di posta.

La seconda parte del dell'operazione sarà avviata a giugno e coinvolgerà la platea dei cinquantenni per poi concludersi verso fine anno inglobando coloro che sono prossimi all'età pensionabile. Tempi più lunghi invece per i lavoratori pubblici per i quali l'Inps ha da poco assorbito l'ex Inpdap.

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E' stato approvato nella Delega sulla Pa l'emendamento proposto da Hans Berger sul ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dei lavoratori prossimi al pensionamento.

Kamsin Il Senato ha approvato la staffetta generazionale nelle pubbliche amministrazioni. E' passato ieri all'esame dell'Aula l'emendamento a firma dell'Onorevole Hans Berger all'articolo 12 del disegno di legge delega sulla Riforma della Pubblica Amministrazione (numero 12.336 nel testo riformulato dal Senatore).

La misura consentirà, su base volontaria, ai dipendenti pubblici prossimi all'età pensionabile di chiedere il part-time con riduzione della base oraria di lavoro e della relativa retribuzione per far posto ai giovani.  "Si tratta di una strada facoltativa, un'opzione, ricorda il relatore al provvedimento, Giorgio Pagliari (Pd), che ha espresso parere favorevole alla novella, "in quanto non comporta nuovi oneri per lo stato".  

Scegliere questa strada, che non sarà revocabile una volta intrapresa, tuttavia avrà un costo non indifferente. Chi opterà per il part-time, oltre ad una riduzione di stipendio, dovrà infatti mettere mano al portafogli per versare la differenza dei contributi tra il part time ed il tempo pieno. L'emendamento infatti recita che il versamento del differenziale della contribuzione tra il tempo parziale e quello pieno sia garantito "attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, con la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale".

In altri termini il dipendente che opti per la staffetta generazionale sarà costretto ad integrarsi i contributi mancanti tramite il riscatto o la prosecuzione volontaria al pari di quanto accade nel settore privato. Un esborso che, a ben vedere, rischia di non far decollare la misura dato che un dipendente pubblico che guadagna 1800 euro netti al mese, oltre al dimezzamento dello stipendio, sarebbe chiamato a versare circa 250 euro al mese all'Inps.

Berger precisa però come non fosse percorribile altra strada: "abbiamo dovuto riformulare l'emendamento perchè altrimenti non sarebbe passato. In occasione dei lavori in Commissione - ricorda il Senatore - avevamo indicato che il versamento del differenziale di contribuzione fosse a carico dell'amministrazione pubblica ma la Ragioneria dello Stato lo ha bocciato. Questo differenziale ora è carico del lavoratore che lo verserà alle stesse condizioni previste per i lavoratori del settore privato."

L'emendamento prevede "la facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria ad integrazione ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 564 del 1996, la possibilità di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel contempo, nei limiti delle risorse effettivamente accertate a seguito della conseguente minore spesa per redditi, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa vigente in materia di vincoli assunzionali. Il ricambio generazionale di cui alla presente lettera, non deve comunque determinare nuovi o maggiori oneri a carico degli enti previdenziali e delle amministrazioni pubbliche".

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La nuova prestazione opererà però in via sperimentale solo per il 2015 anche se il Governo lavora ad una sua estensione. Le Domande dovranno essere presentate entro il 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Kamsin I co.co.co. che hanno perso il lavoro prima del 27 Aprile 2015 avranno tempo sino al prossimo 4 luglio per presentare domanda per ottenere la nuova dis-coll, l'indennità di disoccupazione per i parasubordinati introdotta dall'articolo 15 del Dlgs 22/2015. Per le cessazioni successive al 27 aprile, le richieste andranno invece presentate entro 68 giorni dalla data fine del rapporto di lavoro.

Lo spiega l'Inps nella circolare n. 83 con cui detta le istruzioni operative alla nuova prestazione del Jobs Act. Fino all'11 maggio la domanda è accettata su carta o per Pec (Posta elettronica certificata) con un apposito modulo disponibile sul sito internet dell'Inps; da tale data si presenterà, invece, solo per via telematica. La nuova prestazione opererà in via sperimentale un solo anno: il 2015. Almeno per ora in attesa che il Governo individui i fondi per la sua proroga.

I requisiti. Per evento di disoccupazione, precisa l'Inps, deve intendersi l'evento di «cessazione dal lavoro che ha comportato lo stato di disoccupazione». La prestazione spetta in presenza dei seguenti requisiti: stato di disoccupazione al momento della domanda di prestazione; tre mesi almeno di contributi tra il 1° gennaio 2014 e il giorno di perdita dell'occupazione; un mese di contributi oppure un rapporto di collaborazione di durata pari almeno a un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell'importo che dà diritto all'accredito di un mese di contribuzione nell'anno 2015 (cioè 647,83 euro).

Relativamente al primo requisito, l'Inps precisa che ai sensi dell'art. 2, comma 1 del dlgs n. 181/2000, lo status di disoccupato va comprovato dalla presentazione del lavoratore presso il servizio competente o per mezzo dell'invio, tramite Pec, della dichiarazione d'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. Tuttavia, come già previsto ai fini Aspi, l'Inps stabilisce che anche i collaboratori potranno rilasciare direttamente alle sedi territoriali la dichiarazione d'immediata disponibilità al lavoro al momento della presentazione della domanda di DisColl.

Per quanto riguarda l'importo si ricorda che la Dis-Coll è pari al 75% del reddito medio mensile del collaboratore. Quando tale reddito risulti superiore a 1.195, è pari al 75% di tale importo più il 25% dell'eccedenza ma l'indennità non può superare l'importo massimo mensile di 1.300 euro. La Dis-Coll è corrisposta mensilmente per un periodo pari alta metà dei mesi di durata del rapporto o dei rapporti di collaborazione tra il 1° gennaio 2014 e il giorno di cessazione dal lavoro e non può superare comunque i 6 mesi. 

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