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Atteso il giudizio della Corte Costituzionale sulla legittimità, per il biennio 2012 2013, del blocco della perequazione sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo INPS.

Kamsin E' atteso a giorni il pronunciamento della Corte Costituzionale sul blocco della perequazione delle pensioni per gli anni 2012 e 2013. Come si ricorderà nel 2011 il Governo Monti  ha sospeso l'indicizzazione al costo della vita delle pensioni di importo mensile superiore a tre volte il trattamento minimo INPS (circa 1.400 euro mensile al lordo delle ritenute fiscali). 

Una fascia reddituale decisamente bassa che ha fortemente penalizzato oltre sei milioni di pensionati che, a fronte di una crescente inflazione (pari a + 2,7% nel 2012 e + 3,0% nel 2013) si son visti decisamente impoverire ulteriormente il trattamento pensionistico in godimento contro ogni logica e in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.

Il “danno economico” arrecato ai pensionati destinatari del provvedimento è estremamente rilevante non solo per gli anni in cui opera il blocco, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero negli anni successivi, tale danno si protrae ininterrottamente all’infinito fino ad incidere sulla misura delle pensioni di reversibilità, ove spettanti ai superstiti.

La tabella seguente mostra quanto potere di acquisto hanno lasciato sul campo gli assegni superiori a 3 volte il minimo inps rispetto alla disciplina vigente sino al 2011 (si noti che la "colpa" della perdita non è solo data dalla mancata rivalutazione del biennio 2012-2013 ma anche dalla riduzione dell'indice di perequazione da attribuire per gli assegni superiori a 4 volte il minimo come stabilito dalla legge 147/2013).

Sulla legittimità della norma dovrà ora pronunciarsi la Consulta che è stata chiamata in causa dal Tribunale di Palermo, dalla Corte dei Conti della Regione Liguria e dalla Corte dei Conti della Regione Emilia Romagna. Sotto la lente dei giudici c'è la sospetta violazione di diversi principi sanciti dal dettato costituzionale, in particolare quelli della “uguaglianza”, della“adeguatezza” e della “proporzionalità” della retribuzione differita tutelati dagli articoli 3 e 36 Cost., nonché dei principi della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche di cui all’art. 53 Cost.

La pronuncia è attesa dai pensionati serenamente, con la speranza che l’iniquità del blocco della rivalutazione automatica delle pensioni, ai fini di un loro adeguamento alle variazioni del costo della vita quali periodicamente accertate dall’ISTAT, sarà definitivamente cancellata con una sentenza rispettosa dei principi posti a fondamento del vivere civile.

Va da sé, infatti, che le reiterate sospensioni del meccanismo perequativo, comportando di fatto una sostanziale decurtazione del “valore” delle pensioni, finiscono col disconoscere l’incidenza obiettiva della erosione inflazionistica sui redditi considerati con gravi ripercussioni sulle economie delle famiglie che vedono sempre più impoverita la loro fonte (spesso unica) di reddito.

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A cura di Fernando Sacco

L'Inps ha oggi evidenziato come cambieranno le pensioni dal prossimo anno con l'ennesimo incremento pari a 4 mesi. La situazione è ormai insostenibile da un punto di vista sociale. E' quindi positivo che il ministro Poletti convochi i sindacati per discutere di pensioni”. Kamsin Lo dichiara Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera. “L’argomento – spiega Damiano – e’ maturo e il tema e’ in calendario alla Commissione Lavoro della Camera, che ha intenzione di audire le parti sociali, il Presidente dell’INPS e lo stesso ministro per discutere una serie di norme a 360 gradi di revisione della Legge Fornero. Un criterio di flessibilita’ nel sistema previdenziale e’ necessario per favorire, con il turnover, l’ingresso dei giovani nelle aziende e per evitare che aumenti il numero dei nuovi poveri, cioe’ di lavoratori over 60 rimasti senza lavoro e senza pensione ”, conclude Damiano.

Ieri il ministro del Lavoro, aveva indicato che la convocazione dei sindacati per un confronto sul tema delle pensioni è all'ordine del giorno: "arriverà a breve dopo un breve confronto con l'Inps".

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Zedde

L'istituto con una circolare ha ricordato le novità che entreranno in vigore dal prossimo 1° gennaio 2016. Per il triennio 2016-2019 si dovrà lavorare 4 mesi in piu'.

Kamsin L'Inps certifica la crescita dell'età pensionabile dall'anno prossimo. Con la Circolare 63 diffusa oggi l'istituto rivede al rialzo tutti i requisiti per conseguire la pensione per i lavoratori iscritti alla previdenza obbligatoria in sintonia con quanto previsto dal decreto 16 dicembre 2014. A partire dal 1° gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018, per colpa della speranza di vita, bisognerà in pratica lavorare 4 mesi in più. E dal 2019 si dovrà mettere in conto un ulteriore scatto che attualmente, secondo lo scenario demografico dell'Istat, sarà di nuovo pari a 4 mesi.

Da prossimo anno, dunque, per la pensione anticipata sarà necessario perfezionare 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per donne pari, rispettivamente, a 2227 settimane e a 2175 settimane di versamenti. Il tutto indipendentemente dall'età anagrafica del lavoratore.

Per la pensione di vecchiaia, fermi restando un minimo di 20 anni di contributi, i requisiti restano differenti per le donne del settore privato rispetto agli uomini e alle donne del settore pubblico. Gli uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni e sette mesi di età e non piu' 66 anni e 3 mesi, come accade attualmente. Lo stesso requisito è fissato per le donne del pubblico impiego. Per le lavoratrici del settore privato l'aumento sarà piu' elevato in quanto l'effetto della speranza di vita si cumula con il graduale innalzamento dell'età per la vecchiaia che, entro il 2018, dovrà assicurare la totale parificazione con i requisiti vigenti per gli uomini. Per le dipendenti del settore privato serviranno quindi 65 anni e sette mesi, per le autonome 66 anni e un mese. 

L'Inps non lo dice nella circolare ma l'adeguamento alla speranza di vita colpisce anche le prestazioni previdenziali dei contributivi puri, cioè di quei soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995. Ad esempio il requisito anagrafico per la prestazione anticipata passerà da 63 anni e 3 mesi a 63 anni e 7 mesi e da 70 anni e 3 mesi a 70 anni e 7 mesi per la vecchiaia contributiva.

Novità anche per i lavori usuranti. Com'è noto nei loro confronti si applica ancora il previgente sistema delle quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243. Ebbene dal 2016 dovranno perfezionare 61 anni e 7 mesi di età anagrafica con il contestuale raggiungimento del quorum 97,6 con un minimo di 35 anni di contributi. Per gli autonomi serviranno, invece, 62 anni e 7 mesi ed un quorum pari a 98,6.

Lo slittamento di 4 mesi influenzerà anche la data di ingresso alla pensione per il comparto difesa e sicurezza (sul punto ci sarà un approfondimento di pensionioggi.it nei prossimi giorni) e per i comparti per i quali sono attualmente previsti requisiti previdenziali diversi da quelli vigenti nell'AGO, appena esposti (si pensi ad esempio agli ex-enpals e agli autoferrotranvieri). Naturalmente sono soggetti agli adeguamenti anche i lavoratori cd. salvaguardati ma in tal caso la normativa da prendere a riferimento è quella ante-fornero (vedi: vecchie regole pensionistiche).

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A cura di Giorgio Gori - Patronato Inas

Non ci sarà alcuna preclusione nell'accesso alla Dis-Coll, per coloro che abbiano perduto l'occupazione dal 1o gennaio 2015 e per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, o di adozione delle procedure telematiche per la presentazione della domanda, siano già trascorsi i 68 giorni entro i quali la stessa deve essere presentata, a norma dell'articolo 15 del dlgs 22/2015. Kamsin E' quanto ha ricordato ieri il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti nel corso di un'interrogazione parlamentare.

Secondo il Ministro "il problema è perfettamente presente all'INPS e a questo Ministero ed è in corso di predisposizione una circolare che prevede disposizioni operative volte a salvaguardare la situazione di quei soggetti che, avendo perso il lavoro in data antecedente l'entrata in vigore del decreto o l'adozione delle procedure telematiche, potrebbero vedere limitato il loro diritto di accesso ai benefici in parola. L'INPS sta predisponendo con carattere di priorità la procedura per la presentazione telematica delle domande".

Il nuovo ammortizzatore sociale, lo si ricorda è riconosciuto ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla gestione separata che perdano il lavoro a partire dal 1° gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015; la prestazione sostituirà l'indennità una tantum corrisposta sino ad oggi.

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Il Senatore Pietro Ichino ricorda che servirebbe una modifica nella legge delega sulla Pa per evitare l'applicazione del Jobs Act al pubblico impiego.

Kamsin Secondo il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, il Jobs act non si applicherà pubblico impiego. Ma nel testo del decreto legislativo sui contratti a tutele crescenti (dlgs 23/2015) non c'è traccia di una norma che escluda le Pa dalla nuova normativa. Lo conferma anche Enrico Zanetti, sottosegretario all'Economia, e Pietro Ichino, senatore del Pd che sottolineano come, nella legge delega, di esclusione del pubblico impiego non vi sia traccia. Ciò vuoi dire che se davvero il governo vorrà escludere gli statali dalla riforma del lavoro, le norme dovranno cambiare e i tempi per l'approvazione, annunciata entro l'estate, risulterebbero stretti.

Per Zanetti la questione è di sostanza: «Dire che la specificità del pubblico impiego rende opportuno non estendere il Jobs act ai dipendenti pubblici è profondamente sbagliato, oltre che ingiusto nei confronti di chi lavora nel settore privato. Semmai è giusto dire che la specificità del pubblico impiego rende opportuni appositi accorgimenti procedurali in una normativa che non può fare figli e figliastri. Di questo dovrebbe occuparsi il ministro Madia». «E' chiaro  sottolinea che non deve essere il singolo dirigente a decidere su un licenziamento, ma una Commissione. Ecco mi aspetto che ci si occupi di queste aspetti, ma i principi non si toccano».

Critico verso il messaggio lanciato dalla Madia anche Pietro Ichino. «Poiché il decreto 23, entrato in vigore il 7 marzo scorso, non contiene una norma che escluda il settore pubblico, esso si applica anche al pubblico impiego. È la conseguenza di una norma molto chiara contenuta nel Testo Unico sul pubblico impiego del 2001. In questo senso il governo ha deciso il 24 dicembre e questa scelta è stata confermata il 20 febbraio. Se il ministro Madia intende compiere una scelta diversa, occorrerà che questa si esprima in una modifica della legge delega sulle p.a.; e se ne dovrà discutere in Parlamento». «Per quanto mi riguarda -  sostiene Ichino -  sono invece convinto che sia giusto e necessario applicare le stesse regole nel settore pubblico e in quello privato, anche se ciò non basta certo a risolvere i problemi delle amministrazioni pubbliche: è altrettanto importante che i dirigenti pubblici siano incentivati e motivati a riappropriarsi delle prerogative manageriali e a esercitarle correttamente e incisivamente».

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