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L'Inps rivaluta dello 0,3% in via provvisoria gli importi dei trattamenti pensionistici in pagamento per il 2015. In particolare, si è dato atto dell'inflazione definitiva del 2014 (pari all'1,1%) rispetto a quella programmata dell'1,2%. Con la rata di Gennaio, quindi, verrà prelevata la differenza.

Kamsin Ok all'incremento dello 0,3% delle pensioni nel 2015. Gli importi dei trattamenti minimi e delle quote di incremento da attribuire alle rendite di importo più elevato sono stati diffusi ieri con la Circolare Inps 1/2015. I nuovi valori sono stati stabiliti sulla base del decreto interministeriale (Economia-Lavoro) del 20 novembre scorso, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre 2014. Il precedente adeguamento risale al gennaio 2014, nella misura provvisoria dell'1,2%, valore ora ritoccato in basso (1,1%) dai dati definitivi. Ciò vuol dire che sulla rata in pagamento di gennaio l'Istituto ha proceduto al recupero della differenza.

Tutti i trattamenti pensionistici beneficiano della rivalutazione, seppur con una incidenza più bassa all'aumentare dell'assegno. Viene meno anche la limitazione introdotta per lo scorso anno nei confronti d ei pensionati titolari di importo superiore a sei volte il trattamento minimo che hanno avuto una rivalutazione fissa calcolata su tale importo e non su quello effettivamente in godimento. Sono state rivalutate anche le prestazioni a favore degli invalidi civili, ciechi e sordomuti.

Nello specifico gli aumenti di gennaio 2015, sono così articolati: a) più 0,30% (ossia l'aliquota intera dell'indice Istat) per gli importi di pensione mensile sino a 1.503 euro, tre volte il trattamento minimo di dicembre 2014;  b) più 0,285% (95% dell'indice Istat) per gli importi compresi tra 1.503 e 2.004 euro; c) più 0,225% (75% dell'indice) per gli importi compresi tra 2.004 e 2.505 euro; d) 0,15% (50% dell'indice) per gli importi compresi tra 2.505 e 3.006 euro. Per le pensioni di ammontare superiore 3.006 euro, la rivalutazione sarà dello 0,1355%, (il 45% dell'indice Istat). Nel 2014 questi trattamenti hanno beneficiato di un modesto aumento fisso di 13,08 euro.

Crescono anche i trattamenti minimi. Con l'incremento dello 0,30% l'importo del trattamento minimo passa da 500,88 (valore corretto del 2014) a 502,39 euro al mese. Con l'aggiornamento Istat, sale anche l'assegno sociale, la rendita assistenziale corrisposta agli ultra-sessantacinquenni privi di altri redditi, introdotta dalla riforma Dini (legge n. 335/1995) in sostituzione della «vecchia» pensione sociale: passa da 447,17 a 448,51 euro al mese (un euro in più). Mentre la pensione sociale, ancora prevista per i titolari della stessa alla data del 31 dicembre 1995, è pari a 369,62 euro al mese.

Gli assegni straordinari di sostegno al reddito, invece, sono rinnovati nella stessa misura stabilita alla decorrenza originaria. Per quanto riguarda le detrazioni fiscali, sono riconosciutele stesse attive nello scorso mese di dicembre 2014. Inoltre, secondo quanto previsto dalla legge di stabilità 2014, per il triennio 2014-2016 è previsto un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo. Nel caso di più pensioni, ricorda l'Inps, il contributo annuo viene trattenuto in misura proporzionale ai trattamenti erogati.

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Il Ministero dell'Interno precisa la portata delle innovazioni contenute per il comparto difesa e sicurezza in materia previdenziale nella legge di stabilità 2015.

Kamsin Il ministero dell'Interno fornisce, con la nota n. 333/H/G55, le prime informazioni relative alle novità in materia previdenziale contenute nella legge di stabilità (legge 190/2014).
La nota ricorda che viene prevista la soppressione dell'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che riguarda le c.d. "promozioni alla vigilia", in particolare dei dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità' nella qualifica, che conseguivano la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio. Resta fermo il disposto di cui all'articolo 2 comma 93 della legge 24/12/2007 n. 244.

Per quanto riguarda, invece, la norma che impone un tetto alla possibilità di maturare, con il sistema contributivo, un trattamento superiore a quello che sarebbe stato corrisposto con il regime retributivo (articolo 1, comma 707 della legge di stabilità) la nota osserva, coerentemente con quanto anticipato nei giorni scorsi da pensionioggi.it che i destinatari della norma pensionistica sono solo coloro che hanno già maturato i 18 anni di anzianità contributiva al 31/12/1995 e pertanto destinatari del sistema retributivo sino al 31.12.2011.

La norma riguarda sia le cessazioni che interverranno dal 2015 sia i trattamenti pensionistici già liquidati dal 2012 ma gli effetti saranno disposti dalla data di entrata in vigore della legge (2015). Per quanto riguarda la liquidazione dei trattamenti di buonuscita resta in ogni caso fermo il termine di ventiquattro mesi per tutte le cessazioni a domanda.

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Il testo della nota

In Italia il costo dei contributi è mediamente il 37 per cento dello stipendio lordo. Il 29 per cento lo paga l'azienda, l'8 percento il lavoratore. In Germania, invece, il costo è decisamente inferiore e la distribuzione dei costi tra lavoratore e azienda è molto più paritetica.

Kamsin In Italia si offrono pensioni pubbliche tra le piu' ricche d'Europa al prezzo però di comprimere la busta paga dei lavoratori e la competitività delle aziende. E' quanto emerge da uno studio degli analisti Deloitte diffuso nei giorni scorsi dal quotidiano Repubblica. In altri termini, per chi ha avuto la possibilità di lavorare e accumulare i contributi, la pensione italiana è, tra quelle pubbliche, una delle più costose di tutta europa ma, allo stesso tempo, anche una di quelle più generose.

Una serie di esempi formulati dagli analisti di Deloitte che hanno messo a confronto le pensioni di tre generi di lavoratori (dirigente, operaio e autonomo) con identica carriera in Italia, Germania, Spagna e Regno Unito, spiegano perché. Si è scelto di prendere solo lavoratori che hanno cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, anno in cui, con la riforma Dini, è stato introdotto il sistema pensionistico contributivo, quello cioè per cui la pensione dipende da quanto si è versato. 

Immaginiamo un dirigente nato nel 1974 che ha iniziato a lavorare nel 1999, a 25 anni, dopo l'università. Si è fatto strada in una grande multinazionale con sede in Italia e nel 2014, dopo 15 anni, può vantare un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio da 100 mila euro lordi l'anno. Dopo 45 anni di contributi, stimando  una crescita media e progressiva dello stipendio fino a 153.998 euro, nel 2044 - dopo 45 anni di contributi - dovrebbe ricevere in Italia una pensione annua lorda di circa 115 mila euro, più di tre volte rispetto a quanto prenderebbe a parità di carriera in Germania (31.614 euro), più del doppio che in Spagna (50.948 euro, il tetto massimo previsto in questo paese).

Un risultato simile lo si riscontra anche prendendo in considerazione un operaio di un'azienda italiana con la stessa anzianità lavorativa e la stessa età del dirigente ma con uno stipendio nel 2014 di 35 mila euro lordi l'anno. Immaginando anche in questo caso che nel corso della sua carriera continui ad avere la stessa crescita media della busta paga, in Italia  l'operaio dopo 45 anni arriverà a guadagnare 53.899 euro e, andando in pensione, prenderà 40.500 euro l'anno, ben più dei 15.250 euro che prenderebbe in Germania, ma meno dei 50.948 che riceverebbe in Spagna e molto, molto di più dei 6.800 che gli darebbero nel Regno Unito (dove però, probabilmente, avrebbe una pensione integrava).

Non va diversamente per un lavoratore autonomo che guadagna circa 70 mila euro lordi l'anno. Considerato un progressivo aumento di stipendio fino a 107.798 euro, dopo 45 anni di contributi in Italia prenderà 71 mila euro lordi di pensione. Anche in tal caso avrebbe un trattamento pensionistico migliore di tutti gli altri tre stati presi in considerazione.

Insomma, tra i Paesi più industrializzati d'Europa, l'Italia è l'unico paese che offre una pensione pubblica così ricca. Che però ci si paga con alti contributi mentre si lavora. In Germania, la contribuzione è decisamente più bassa, in modo da tenere più alto lo stipendio mensile, in Spagna si contribuisce ma, nelle pensioni, si cerca di spartire la ricchezza il più possibile tra tutti ponendo un tetto massimo, mentre in Inghilterra lo Stato dà solo diritto a una pensione sociale, il resto viene affidato alla previdenza complementare.

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Il contratto a tutele crescenti cancella la procedura obbligatoria della Legge Fornero. Ma si applicherà solo nei confronti dei nuovi assunti dall'entrata in vigore del decreto.

Kamsin Per i nuovi assunti non ci sarà piu' la conciliazione obbligatoria alla direzione territoriale del lavoro. E' questa una delle principali novità che sarà introdotta con il decreto attuativo della Delega sul Jobs Act in materia di contratti a tutele crescenti. La procedura, com'è noto, fu introdotta dalla legge Fornero a luglio del 2012 per i recessi intimati nelle aziende con oltre 15 addetti, legati a motivi di carattere economico o organizzativo e che ha dato esito positivo in meno della metà dei casi.

L'entità dell'offerta non sarà rimessa alla libera scelta del datore di lavoro, ma è predeterminata dalla legge: una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, (per i periodi di durata inferiore l'importo viene riproporzionato), in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 18 mensilità.

Per le piccole aziende, con meno di 16 dipendenti, l'importo predeterminato della nuova conciliazione viene tuttavia dimezzato. Sarà pari quindi alla metà dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non superiore alle 6 mensilità rispetto alle 18 delle aziende più grandi.

La procedura - Per attivare la procedura il datore può formulare l'offerta in qualsiasi sede abilitata dalla legge come ad esempio la DTL, le sedi sindacali e le commissioni di certificazione e soltanto quando non sia scaduto il termine di 60 giorni per impugnare in via stragiudiziale il licenziamento.

L'offerta deve essere formulata mediante consegna di un assegno circolare; il lavoratore che riceve la proposta può decidere di rifiutarla e in tal caso resta libero di impugnare in via giudiziale il licenziamento fermo restando che l'accettazione della somma comporta la decadenza dal diritto ad impugnare il licenziamento.

La conciliazione può essere attivata per qualsiasi tipologia di recesso del datore, anche per i licenziamenti disciplinari.
Le somme offerte con la procedura in parola hanno, peraltro, una disciplina molto favorevole, in quanto sono totalmente esenti da qualsiasi imposizione fiscale e contributiva e, pertanto, il loro importo netto è molto vicino a quello conseguibile all'esito di un giudizio. 

Il doppio Binario - Per tutti i dipendenti a tempo indeterminato già in organico prima dell'entrata in vigore del decreto attuativo continuerà invece ad applicarsi la procedura obbligatoria presso la DTL. Non sarà utilizzabile la (nuova) conciliazione facoltativa. Vengono cioè a determinarsi due binari paralleli con regole diverse sul perimetro delle conciliazione e sulla volontarietà dell'iter.

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Mercoledì 14 gennaio alle 9,30 dovrebbe iniziare La camera di consiglio della Corte costituzionale per dare o meno il via libera al Referendum sulle Pensioni.

Kamsin "Auspichiamo che la Corte Costituzionale dica sì al Referendum contro la Riforma Fornero del 2011 che ha penalizzato milioni di lavoratori e giovani precari". E' quanto afferma una nota diffusa dai Capigruppo della Lega Nord alla Camera dei Deputati con cui lancia anche l'hashtag #nonfatescherzi.

La Corte dovrebbe esprimersi la prossima settimana sull'ammissibilità del quesito referendario promosso dal partito di Matteo Salvini che intende abrogare l'articolo 24 della Dl 201/2011. "Oltre 500mila cittadini hanno espresso la volontà di abolire la Legge Fornero, una normativa che ha penalizzato l’entrata e l’uscita nel mondo del lavoro, ha allungato l’attività lavorativa di milioni di donne già impegnate nel lavoro familiare e ha creato il problema degli esodati lasciando senza stipendio né pensione centinaia di migliaia di lavoratori. Abrogarla significa ridare dignità al lavoro ed ai lavoratori e dare la speranza di un futuro migliore ai nostri giovani" affermano la nota.

Lo svolgimento del Referendum si potrebbe tenere, qualora la Corte darà parere positivo, entro la prossima primavera. Dall'abolizione dell'articolo 24 del Dl 201/2011 non ci sarà alcun vuoto normativo ricordano dalla Lega: "verrà semplicemente fatta rivivere la precedente disciplina che prevedeva la possibilità di ingresso alla pensione di anzianità con un minimo di età anagrafica, le cd. quote, e contributiva oppure, indipendentemente dall'età anagrafica, con 40 anni di contributi". Una normativa che già contemplava il lento innalzamento alla speranza di vita.

Impossibile tuttavia predire l'esito del giudizio della Consulta. Come già anticipato da PensioniOggi.it al momento le speranze circa l'ammissibilità del referendum sono piuttosto ridotte. Il quesito ha effetti rilevanti sui conti pubblici e sulla stabilità finanziaria (Monti stimò in oltre 10 miliardi l'anno i risparmi per lo stato una volta a regime) e, pertanto, pur non vertendo direttamente su una legge tributaria o di bilancio rischia di incappare, comunque, nel divieto previsto dall'articolo 75 della Costituzione.

Qualora si svolgesse il referendum si tornerebbe indietro di 4 anni. Nel 2015 secondo quanto stabiliva la vecchia normativa (si veda la tabella seguente) era possibile accedere alla pensione di anzianità con 61 anni e 3 mesi, unitamente al quorum 97,3 e 35 anni di contributi, oppure, indipendentemente dall'età anagrafica, con 40 anni di contributi. Naturalmente sarebbero virtualmente in pensione anche tutti coloro che hanno raggiunto la quota 96 (es. con 60 anni e 36 di contributi) entro il 2012. Troppo bello per essere vero!

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Zedde

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