Notizie

Notizie

La Riforma della Pubblica Amministrazione targata Renzi, dovrà rivedere gli attuali assenti della dirigenza pubblica con il superamento delle due fasce del ruolo unico.

{div class:article-banner-left}{/div}

La rivisitazione della Pubblica Amministrazione dovrà contenere il definitivo superamento delle due fasce previste nel ruolo unico (articoli 13-29 del Dlgs 165/2001). La modifica dovrebbe
introdurre profili di carriera effettivamente basati sugli incarichi ricoperti e gli obiettivi realizzati, e non più sulla progressione degli scatti di anzianità.

Con la precisazione (non di poco conto) che il rapporto dirigenziale potrà essere risolto in caso di vacanza dell'incarico oltre un determinato termine ancora da stabilire che probabilmente sarà fissato in due anni (secondo quanto si apprende da fonti vicine alla funzione pubblica).  Una previsione già introdotta con la spending review del 2012 ma mai realizzata per i veti incrociati di sindacati e rappresentanti del passato governo.

La riflessione sulla Dirigenza dovrebbe introdurre anche novità per quanto riguarda la valutazione dei risultati con l'intenzione di Renzi di ancorare la retribuzione di risultato in funzione all'andamento dell'economia. Una conferma in tal senso porterebbe a una revisione generalizzata delle attuali procedure che vede, nel 90% dei casi, lo scatto del bonus indistintamente in favore di tutti i settori dirigenziali della Pubblica Amministrazione.  

Le novità sulla Dirigenza potrebbero portare alla cancellazione di figure storiche come per esempio, i segretari comunali. Mentre non verrebbe più toccata la struttura della retribuzione fissa e di posizione; il tetto introdotto dei 240mila euro lordi l'anno resta l'unica misura.

Sulle retribuzioni si fa invece di nuovo riferimento ai limiti di cumulabilità dei compensi percepiti. Renzi ha fatto riferimento esplicito alla prima circolare firmata dalla Madia dopo l'insediamento: si proseguirà in quella direzione con un'attenzione rigorosa sul divieto di cumulo tra stipendi, consulenze e pensione.

Con i chiarimenti delle Entrate si avvicina il bonus a fine maggio per i lavoratori dipendenti con un reddito annuo entro i 26mila euro. Il documento delle Entrate precisa che in taluni casi esiste l’eventualità, per ragioni tecniche legate alle procedure di pagamento degli stipendi, che il bonus non arrivi a fine maggio.

{div class:article-banner-left}{/div}

Non serve farne domanda e sarà riconosciuto nella busta paga in arrivo a fine maggio. E' quanto ha precisato la circolare dell’Agenzia delle Entrate che ha riassunto le istruzioni per applicare il credito introdotto dal decreto Irpef del 18 aprile.

Il bonus sarà erogato direttamente dai datori di lavoro in tutti i casi in cui l’imposta lorda dell’anno è superiore alle detrazioni per lavoro dipendente. La circolare specifica tra l’altro, come regolarsi nel caso il rapporto di lavoro sia stato interrotto prima di maggio. In assenza di un datore di lavoro, che funga da sostituto d’imposta, è infatti possibile ottenere il credito richiedendolo nella dichiarazione dei redditi per il 2014.

In dettaglio i beneficiari sono i contribuenti che quest’anno percepiscono redditi da lavoro dipendente (e alcuni redditi assimilati), al netto del reddito da abitazione principale, fino a 26 mila euro anno; a condizione che l’imposta lorda dell’anno sia superiore alle detrazioni per lavoro dipendente.Il bonus spetta anche se l’imposta lorda è azzerata da altre categorie di detrazioni, ad esempio quelle relative a carichi di famiglia.

In totale si tratta di un credito complessivo di 640 euro, cioè 80 euro mensili a partire da maggio, che vale per i redditi fino a 24 mila euro. Per redditi superiori il «premio» si riduce con gradualità fino a 26 mila euro. In base a quanto indicato nel decreto, il bonus «è rapportato al periodo di lavoro nell’anno»: dovrà essere calcolato in base alla durata del rapporto di lavoro, considerando il numero di giorni effettivamente lavorati nel 2014.

 I sostituti d’imposta riconosceranno il credito spettante ai beneficiari a partire dalle retribuzioni erogate a maggio. Nel caso in cui i sostituti non possono erogare il beneficio a maggio (per ragioni tecniche ), riconosceranno il credito a partire dalle retribuzioni di giugno.

La circolare ricorda che l’incentivo va anche ai contribuenti senza sostituto d’imposta (che sarebbe tenuto al riconoscimento del credito in via automatica) e a tutti i soggetti il cui rapporto di lavoro si è concluso prima di maggio. Per tutti questi contribuenti il bonus potrà essere richiesto nella dichiarazione dei redditi, utilizzandolo in compensazione oppure a rimborso.

 Nei casi di credito non spettante perché per esempio il reddito complessivo supera i 26 mila euro per via di altri redditi (oltre a quelli erogati dal sostituto d’imposta), gli interessati devono comunicarlo al sostituto che recupererà il credito nelle successive buste paga, oppure dovrà restituirlo nella dichiarazione dei redditi.

Tra i beneficiari del premio in busta paga ci sono anche i sacerdoti, i lavoratori socialmente utili, i tirocinanti e i percettori di borse di studio. A specificarlo è il documento dell’Agenzia delle Entrate in cui sono indicati i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente definiti dal Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).

Sono esclusi invece i percettori di indennità, gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni, nonché i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni Tributarie, ai Giudici di Pace e agli esperti del Tribunale di sorveglianza. 

Il bonus produrrà un incremento del reddito disponibile tra il 5 ed il 7% sui redditi sino a 14mila euro lordi annui e si ridurrà man mano sino ad azzerarsi a quota 26mila.

bonus-irpef

La questione dei quota 96 della scuola "non è un problema di carattere amministrativo, ma legislativo e comunque non è tra gli obiettivi primari del governo".

E' quanto ha detto il ministro dell'istruzione Stefania Giannini sul tema che da oltre due anni interessa circa 4mila tra docenti e personale Ata che non sono riusciti a perfezionare i requisiti utili per la pensione entro il 2011 e che chiedono una deroga alla Riforma Fornero. Il ministro ha lasciato intendere che il problema ha natura secondaria in quanto sussistono in materia previdenziale criticità piu' importanti che dovranno essere risolte dall'esecutivo.  E' questa la valutazione del ministro Giannini formulata a margine di una discussione che si è svolta presso la VII Commissione cultura della Camera dei Deputati.

{div class:article-banner-left}{/div}

Sul punto, quind, la risoluzione approvata dalla Commissione Lavoro che impegna il governo entro metà giugno a indicare le risorse per coprire l'operazione del progetto di legge Ghizzoni/Marzana sembra destinata a restare un nulla di fatto. Nei giorni scorsi la relatrice al disegno di legge Barbara Saltamartini (Ncd) ha tuttavia ventilato la possibilità di inserire la deroga nel disegno di legge di conversione del decreto Irpef (Dl 66/2014). Se anche questa iniziativa sarà bocciata, i dipendenti della scuola, che hanno avuto la sfortuna di avere l'anno di servizio modulato sul calendario scolastico e non su quello solare, in pensione potranno andarci solo con le norme della riforma Fornero.

Si avvicina la scadenza per il versamento della Tasi. Le aliquote che i Comuni applicheranno confermano un conto piu' salato rispetto all'Imu nella maggior parte dei casi. 

 {div class:article-banner-left}{/div}

Stanno prendendo forma le imposte sulla Tasi che i Comuni chiederanno ai contribuenti nelle prossime settimane. Dalle decisioni dei primi cittadini emerge che l'aliquota Tasi standard dell'1 per mille, su cui erano stati condotti tutti i calcoli ufficiali a fine 2013, per l'abitazione principale non viene introdotta praticamente in nessuna delle principali città italiane; le detrazioni, che a differenza di quanto accadeva con l'Imu nel 2012, oggi sono facoltative e rimesse alla volontà dei sindaci e nella maggior parte dei casi non sono sufficienti a contenere gli aumenti sulle abitazioni principali. Inoltre pare confermato che le risorse per le detrazioni per le abitazioni principali sono poste a carico delle seconde case, immobili e negozi che vedono quindi un incremento delle aliquote.

Per chi non ha ben chiara la normativa è utile fare un breve riepilogo per comprendere il calcolo della Tasi dopo tutte le modifiche che si sono susseguite negli ultimi mesi.

Le regole di calcolo sono identiche a quelle previste per l'Imu. Il primo passo per determinare la Tasi è quindi quello di recuperare la rendita catastale dell’Immobile su cui si pagherà il tributo; il dato si trova sull’atto di proprietà dell’immobile oppure consultando il servizio di Visure Catastali dell’Agenzia delle Entrate che è gratuito per gli Immobili di cui il soggetto richiedente risulti titolare. 

Il valore della rendita catastale deve essere quindi moltiplicato per un valore fisso pari a 168 (valido per le abitazioni civili; il valore è determinato dalla rivalutazione della rendita catastale del 5% e dall'applicazione del coefficiente previsto per tali tipologie di abitazioni pari a 160) ottenendo in questo modo la base imponibile. L’ultimo passaggio quello fondamentale, è il calcolo del corrispettivo da pagare; la cifra è il risultato del prodotto della base imponibile per l’aliquota Tasi stabilita dal Comune. Su questo valore sarà poi possibile applicare le detrazioni se previste dal Comune e se l'immobile in questione è adibito ad abitazione principale.

Ai Comuni viene riconosciuta la possibilità di variare l’aliquota, sia in diminuzione che in aumento. Nel primo caso possono decidere anche di azzerarla, nel secondo caso l’aumento non può avvenire a condizione che la somma delle aliquote IMU e TASI non superi il 10,6 per mille (aliquota massima IMU e aliquota base TASI).

Di recente, con il Dl 16/2014 si è stabilito che i Sindaci possono far crescere il tributo sui servizi indivisibili dello 0,8 per mille sopra i tetti massimi (2,5 per mille sull'abitazione principale, e 10,6 per mille nella somma di Imu e Tasi sugli altri immobili) proprio per finanziare le detrazioni sulle prime case: detrazioni che però rimangono facoltative e possono anche valere meno degli aumenti introdotti per finanziarle.

Ecco qui di seguito un esempio del Calcolo della Tasi su una abitazione principale.

Parametri Valori Calcoli Importi
Rendita Catastale                1.000,00    
Rivalutazione  5% 1000 x 1,05 =               1.050,00
Coefficiente 160 1.050 x 160 =          168.000,00
Aliquota Comunale* 2,5 per mille 168.000 x 2,5 / 1000 =                  420,00
Detrazioni*                   200,00 420 - 200 =                  220,00
Totale Tasi 2014                220,00
*L'esempio mostra il calcolo della Tasi su una abitazione principale con rendita castale di mille euro ed aliquota comunale del 2,5 per mille. Si immagina altresì che il Comune abbia introdotto detrazioni per l'immobile in oggetto. Si ricorda che l'aliquota comunale e le detrazioni sono fissate dai comuni. La legge indica che la Tasi per le abitazioni principali non può superare il 2,5 per mille (3,3 per mille se l'extra-gettito finanzia le detrazioni sull'abitazione principale).  

Roma ad esempio dovrebbe essere una delle prime città a portare l'aliquota sulle seconde case ai massimi. L'aliquota aggiuntiva dovrebbe colpire seconde case, negozi e capannoni, facendo salire il conto dal 10,6 all'11,4 per mille.Per le abitazioni principali si dovrebbe vedere un'aliquota massima al 2,5 per mille con detrazioni variabili.

Stessa situazione a Milano dove si prevede un aumento sugli altri Immobili e aliquota al 2,5 per mille con detrazioni per le prime case.

Gli sconti tuttavia secondo la proposta della Giunta, riguarderanno solo una parte dei proprietari perché sopra i 350 euro di rendita catastale (valore molto basso) si applicheranno solo a chi ha un reddito fino a 21mila euro all'anno. 

Stop a dirigenti pubblici di prima e seconda fascia, all'insegna del ruolo unico. Possibilità di licenziare il dirigente che rimane privo di incarico per un certo tempo. E poi, ancora, taglio del 50% ai permessi sindacali.

{div class:article-banner-left}{/div}

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha presentato ieri il progetto di riforma della Pubblica Amministrazione. La tabella di marcia prevede 40 giorni di confronto sulla proposta, con integrazioni e suggerimenti, per poi procedere all'approvazione dei provvedimenti da parte dell'Esecutivo. Che avverranno il 13 Giugno dopo la tornata elettorale delle Europee. Dietro front sulla possibilità di introdurre prepensionamenti di massa (85mila esuberi secondo il Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli), misura temuta fino alla vigilia: «non c'è un tema di esuberi della pubblica amministrazione italiana. Pensiamo che si debbano ridurre le sovrapposizioni», ha sottolineato il presidente del Consiglio.

La riforma della Pubblica amministrazione si sviluppa su 3 assi: «capitale umano, innovazione, tagli alle strutture non necessarie» ha spiegato ancora Renzi. Il presidente del Consiglio che il coinvolgimento dei dipendenti attraverso una lettera che verrà recapitata loro via mail e a cui potranno rispondere offrendo spunti e suggerimenti. Potremmo chiamare il provvedimento spiega il premier, «sforbicia Italia per il taglio agli sprechi o open data, per l’uso di questi ultimi come strumento di trasparenza».

Dirigenti della Pa - La riforma per quanto riguarda i dirigenti prevede per Renzi «La possibilità di licenziamento per il dirigente che rimane privo di incarico oltre un determinato termine». Ci sarà, spiega il premier, anche «l’introduzione del ruolo unico della dirigenza», ha spiegato. Sugli interventi sugli stipendi dei manager pubblici, Renzi ha ricordato che «nella discussione politica di questi giorni ci sono state alcune anticipazioni che sono diventate tavole della legge, come il fatto che noi avremmo detto che tagliamo gli stipendi. Noi abbiamo detto che avremmo messo un tetto massimo a 240mila euro». «È vero che non ci sono stati tetti» alle retribuzioni dei dipendenti della Pa per «fasce - ha riconosciuto la ministra Madia -, ma questa è stata una scelta politica, quei tetti non sono saltati all'ultimo. Vogliamo porre un tetto apicale ma non intervenire sulle fasce intermedie». La riforma della Pa prevede la possibilità di licenziamento per il dirigente che resta privo di incarico oltre un certo termine.

Prepensionamenti - «Non c’è un tema di esuberi della Pa» ha tuttavia aggiunto Renzi precisando che il vero punto «è mettere quelle persone nelle condizioni di lavorare» e «l’efficienza del servizio». «I risparmi li vogliamo fare, ma se metti insieme prefettura, Ragioneria dello Stato e le sedi degli enti del governo sai quanto risparmi? Molto di più che con l’esubero».

Per Renzi anzi, con i pensionamenti previsti le nuove entrate nella Pa potrebbero essere «14-15 mila fino al 2018. Se obblighi tutti ad andare in pensione, siamo stati prudenti a parlare di 10 mila nuove persone perché in realtà i calcoli che abbiamo fatto sono tra i 14-15mila fino al 2018» ha aggiunto il presidente del Consiglio.

Accorpamenti - La riforma prevede inoltre una serie di accorpamenti di enti e organi della Pa. Prima di tutto si passa per una riduzione delle prefetture: Renzi ha detto che dovranno essere presenti solo «nei capoluoghi di regione e in zone strategiche, quindi saranno ridotte a 40». Inoltre, il premier ha parlato di una «centrale unica per gli acquisti delle forze di polizia e di accorpare l’Aci, il Pra e la Motorizzazione civile».

Quanto alle scuole di formazione della Pubblica amministrazione, dovranno essere accorpate in una sola. Tra gli altri provvedimenti per la lotta agli sprechi della Pa, ci sarà anche «l’accorpamento delle soprintendenze e la riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio» facendo riferimento anche alle molteplici sedi provinciali della Ragioneria generale dello Stato. Il presidente del Consiglio ha parlato anche della volontà di eliminare «l’obbligo delle aziende di iscriversi alle Camere di commercio» cosa che potrebbe portare all’eliminazione delle stesse, e ha parlato anche «della razionalizzazione delle Autorità portuali».

Pin - Nella riforma della Pa è previsto, ha aggiunto Renzi, «l’introduzione del Pin del cittadino: oggi la pubblica amministrazione parla 13 linguaggi diversi, noi vogliamo che parli un’unica lingua e che lavora su tutto». Il progetto di riforma infatti prevede per il cittadino l’introduzione di un unico codice per accedere ai servizi pubblici.

Mobilità obbligatoria, niente esuberi - Il Ministro della Pa Marianna Madia, intervenuta durante la conferenza stampa, ha chiarito: occorre «mettere in campo» una «mobilità che funzioni», sia «volontaria, ma anche obbligatoria, garantendo dignità al lavoratore», con riferimento alle retribuzioni e alla «non lontananza da luogo lavoro».

La priorità è «sbloccare al massimo il blocco del turn over». «Abbiamo delle patologie da sanare, come gli idonei non assunti e i precari - ha continuato -. Non ho problemi a parlare di eventuali prepensionamenti». E' proprio su questo fronte che Renzi troverà i maggiori ostacoli perchè la normativa sulla mobilità dei dipendenti pubblici in realtà già esiste, da oltre 10 anni, ma per via dei veti incrociati non è mai stata applicata.

© 2022 Digit Italia Srl - Partita IVA/C.f. 12640411000. Tutti i diritti riservati