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Calcolo contributivo, ecco le regole per il 2014
Per i lavoratori che non possono far valere 18 anni di contribuzione al 31/12/95, che ricadono nel sistema misto, o per coloro che sono iscritti dal 1° gennaio 1996 (data di entrata in vigore del sistema contributivo), l'importo annuo della pensione (o di una quota di pensione) viene calcolata col sistema contributivo.
Vediamo dunque come si calcola la pensione attraverso il sistema contributivo. A differenza di quanto si possa immaginare il sistema di calcolo contributivo è piuttosto semplice. Bisogna infatti considerare quattro parametri: la retribuzione, l'aliquota di computo, il coefficiente di trasformazione del montante contributivo e il tasso di capitalizzazione annua.
Il montante contributivo - Per prima cosa bisogna calcolare il montante contributivo, costituito dalla somma dei contributi versati dal lavoratore. Ogni anno viene accantonato un ammontare di contributi pari al 33% della retribuzione imponibile per i dipendenti, tra il 20% e il 28% della retribuzione per i lavoratori iscritti alla gestione separata o autonomi. Ciò avviene mese per mese, anno per anno, andando a costituire in questo modo il montante contributivo totale. In pratica il montante contributivo si ricava applicando alla base imponibile, l'aliquota di computo del 33% (per i lavoratori dipendenti) o del 22% per gli autonomi (che salirà al 24% nel 2018) e del 28% per i co.co.pro iscritti alla gestione separata Inps.
Il tasso di capitalizzazione - La somma così ottenuta viene rivalutata su base composta al 31 dicembre di ogni anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione che è un indice pari alla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo. L'Inps comunica tale valore annualmente: per l'anno 2014 è pari allo 0,1643%. Il tasso di capitalizzazione rivaluta il montante maturato alla data del 31 dicembre 2012 per chi va in pensione quest'anno.
Il Coefficiente di trasformazione - Al momento del pensionamento il montante accumulato e rivalutato in base al Pil, si deve moltiplicare per un altro valore, il cd. coefficiente di trasformazione, che consente di convertire i contributi in pensione. Il coefficiente in questione è variabile perchè legato all'età del pensionando e viene aggiornato periodicamente per legge. Piu' è elevata l'età del pensionando piu' è alto il coefficiente e pertanto piu' elevato sarà l'importo pensionistico.
Ad esempio chi lascia a 60 anni godrà di coefficiente di trasformazione piu' basso, pari al 4,661%, che sale però a 4,94 % a 62 anni e raggiunge il 5,826% qualora si vada in pensione a 67 anni. Il tasso piu' elevato è in corrispondenza dei 70 anni ed è pari a 6,541%.
Riforma Pensioni 2014, Il Pd presenta il decalogo a Renzi
La sinistra Pd presenta un decalogo con le correzioni alla Riforma Fornero riguardante l'introduzione dei pensionamenti flessibili e maggiori tutele per i giovani.
L'area lavoro e welfare del Pd ha elaborato un decalogo per le pensioni promosso dall'ex ministro Cesare Damiano e dai deputati del Pd Maria Luisa gnecchi e Teresa Bellanova. Il Ddl è stato illustrato ieri alla Camera dei Deputati.
Il documento parte dal presupposto che la riforma Fornero del 2011 comporterà risparmi pari ad oltre 300 miliardi di euro a regime (cioè tra il 2020 e il 2060), una cifra pari al 15 per cento del debito pubblico italiano. Numeri che, secondo l'ex ministro del Lavoro Damiano, "non possono essere impegnati solo per fare cassa ma devono essere utilizzati piuttosto per correggere le tante criticità del sistema pensionistico attuale".
Tra i punti "caldi" affrontati c'è quello riservato alle nuove generazioni. Nel documento si evidenzia infatti che i giovani di oggi iniziano a lavorare in tarda età e molto spesso tramite attività precarie con bassi stipendi e discontinuità retributive piuttosto significative. Secondo Damiano "l'obiettivo è quello di garantire giovani un assegno pensionistico pari almeno al 60 per cento dello stipendio in quanto cifre minori, come si rischierebbe con la disciplina attuale, sarebbero inaccettabili per vivere la vecchiaia in modo dignitoso".
Per realizzare questa innovazione in favore delle nuove generazioni il decalogo individua diverse misure. In primo luogo quello di abbassare l'età di ingresso al lavoro sperimentando forme di alternanza scuola lavoro e percorsi professionalizzanti; garantendo inoltre un equo compenso per forme di impiego che non fanno capo ad un contratto nazionale; infine attraverso l'istituzione di una pensione di base a carico della fiscalità generale pari a 442 euro, cioè pari all'importo dell'assegno sociale, in aggiunta alla pensione contributiva maturata dal lavoratore. La pensione dovrebbe essere riconosciuta al compimento del 65° anno di età a condizione che siano presenti almeno 15 anni di contributi.
Pensionamenti Flessibili - Secondo la Gnecchi inoltre bisognerà introdurre maggiore flessibilità nel pensionamento. L'idea, già discussa, viene ribadita nel Ddl per concedere penalizzazioni e premi per i lavoratori che si trovano tra i 62 e i 70 anni di età a condizione che abbiano almeno 35 anni di contributi e possono vantare un assegno pensionistico pari almeno ad una volta e mezzo la pensione sociale.
In pratica il documento prevede l'accesso alla pensione a 62 anni con una penalizzazione pari all'8 per cento, decurtazione che diminuisce progressivamente del 2% all'anno fino a 66 anni di età. A questa età la penalità sparisce. Inoltre per premiare coloro che restano al lavoro oltre 66 anni, con la medesima progressione, l'assegno pensionistico viene rivalutato del 2% per ogni anno superiore ai 66 anni sino ad un massimo dell'8 per cento per coloro che escono dal mondo del lavoro all'età di 70 anni.
Il ddl prevede anche una modifica sulla pensione anticipata. La novità consentirebbe ai lavoratori che abbiano 41 anni di contributi (sia uomini che donne), di poter andare in pensione indipendentemente dall'età anagrafica e senza alcuna penalità.
Un'altra novità potrebbe interessare le pensioni d'oro. Il ddl propone infatti di fissare un tetto di 5.000 euro netti mensili, circa 90.000 euro lordi l'anno, senza considerare per il conseguimento di questa soglia le pensioni integrative e complementari ma solo i vitalizi individuando quindi un sistema che non incorra nellla censura della Corte Costituzionale.
Con la crisi le pensioni saranno piu' basse
La scarsa crescita del Pil avrà effetti anche sulle pensioni. È cosa nota infatti che il blocco del Pil si ripercuote sulla rivalutazione della contribuzione versata all'Inps, quella contribuzione che sarà utile un domani a calcolare l'importo del trattamento pensionistico. Allarma infatti l'ultimo dato fornito dall'Inps riguardante i contributi versati nell'anno 2012: la rivalutazione sarà ferma ad un tasso pari allo 0,1643%. Quindi un lavoratore che abbia guadagnato nel 2012 20mila euro e versato all'Inps 6.600 euro di contributi (aliquota del 33%), 4.260 euro se commerciante o artigiano (aliquota al 21,30%) oppure 5400 euro se professionista senza cassa o co.co.pro (aliquota al 27%) per effetto della rivalutazione troverà in cassa rispettivamente solo 11, 7 e 9 euro in piu'.
Gli effetti colpiranno principalmente coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 e che quindi sono ascritti al sistema di calcolo contributivo; il sistema contributivo lega il trattamento pensionistico alla quantità di contributi effettivamente versati dal lavoratore nell'arco della sua vita che costitiuscono il suo montante contributivo.
Il montante è soggetto ad una rivalutazione annuale sulla base della dinamica quinquennale del prodotto interno lordo. Ecco quindi che una scarsa crescita del Prodotto Interno Lordo dovuto alla crisi determinerà una scarsa rivalutazione e quindi i contributi accreditati presso l'Inps subiranno un incremento del tutto irrisorio. E ciò in fin dei conti comporterà una minore crescita del trattamento pensionistico.
Pensioni, il personale artistico presenta la domanda entro il 28 Febbraio
E' fissata per il prossimo 28 febbraio la data entro la quale deve presentare domanda di pensione per il collocamento a riposo dal 1° novembre 2014 il personale docente, amministrativo e tecnico dell'Accademia delle Belle Arti, dell'Accademia Nazionale di Danza e di Arte Drammatica, dei conservatori di musica degli istituti superiori per le industrie artistiche. È utile ricordare che per fruire della finestra di novembre i lavoratori sono suddivisi in due gruppi a seconda di quando hanno maturato i requisiti per la pensione con la nuova disciplina o con la vecchia.
Requisiti raggiunti entro il 2011 - Possono scegliere di andare in pensione i lavoratori che hanno raggiunto entro l'anno 2011 i requisiti per la vecchiaia previsti dalla vecchia disciplina: 65 anni per gli uomini e 61 le donne ed almeno 20 di contributi. Oppure i vecchi requisiti per la pensione di anzianità: il perfezionamento di quota 96 con almeno 60 anni di età e 35 di contributi, oppure indipendentemente dall'età, il perfezionamento di 40 anni di contribuzione.
Requisiti raggiunti dopo il 2011 ed entro il 2014 - Possono accedere alla pensione i soggetti che maturano 66 anni e 3 mesi di età (ed almeno 20 anni di contributi) oppure 41 anni e 6 mesi di contribuzione per la pensione anticipata se donne (42 anni e 6 mesi se uomini).
Requisiti raggiunti entro il 31 dicembre 2013 - Disponibile solo per le donne che optano per il calcolo della pensione con il sistema totalmente contributivo. Le lavoratrici in questione possono accedere alla pensione dal 1° novembre 2014 a condizione di aver raggiunto 57 anni e 3 mesi di età ed almeno 35 di contributi entro il 31.12.2013.
La lettera di un esodato a Matteo Renzi
La lettera aperta di un anonimo esodato al neo Premier, Matteo Renzi, denuncia la propria assurda situazione e la necessità di ulteriori correttivi alle norme sino ad oggi approvate.
Egr. Sig. Primo Ministro, Le invio questa lettera volendo presentarLe la mia situazione, condivisa peraltro da molte decine di migliaia di lavoratori dipendenti ancora alle prese con le drammatiche conseguenze della riforma delle pensioni: l'argomento non è nuovo, ma non per questo meno d'attualità. Mi scuso ma, per i motivi che sto per esporLe, la mia lettera non può essere firmata, non per mia volontà.
Due anni fa un altro esodato, Pietro Lando, scrisse all'allora ministro Fornero pregandola: "di non farmi continuare a vivere con questa infinita amarezza del sentirmi raggirato e derubato dal mio Governo, dal mio Paese", per i 57.000 euro di contributi pagati inutilmente per il riscatto di laurea.
La mia situazione è ancora più drammatica e beffarda: anch'io ho pagato una cifra superiore ai 50.000 euro per il riscatto, ma a tutt'oggi non ho alcuna sicurezza di avere la mia pensione, come avrebbe dovuto essere, nel 2015, ma, (anzi!) ieri mi ha comunicato il febbraio 2020 come data probabile per riscuoterla, finalmente.
Per il solo fatto di aver inoltrato domanda di essere riconosciuto come esodato (si badi bene chiesto, non già riconosciuto tale) mi è fatto divieto di procurarmi anche un solo euro con un qualsivoglia lavoro (!) pena la perdita di ogni diritto, mentre se fossi titolare di pensione potrei tranquillamente guadagnare, pagando ovviamente le tasse. Non è possibile, naturalmente, che io possa sopravvivere dignitosamente sei anni senza pensione né la possibilità di avere un onesto, minimo introito. Altri ex colleghi, nella stessa situazione, lavorano facendo fatturare la moglie o i figli, ma io non ho questa possibilità; così l'azienda per cui lavoro fattura le mie provvigioni al mio superiore gerarchico che poi mi passa, in nero, il netto. Così invece di pagare il 23% di tasse ne pago, data la sua superiore aliquota, il 60%! Non mi si può certo definire un evasore fiscale, ma essendo un lavoratore "in nero" non posso neppure firmare questo mio appello.
Quindi, grazie alla riforma Fornero, il governo non solo mi ha derubato di 50.000 euro per farmi comprare qualcosa (la pensione di anzianità) che poi non mi vuole più dare, ma mi ha tolto perfino la dignità di lavoratore onesto costringendomi a lavorare di nascosto: alla fine io sono il fuorilegge e non chi ha fatto quel disastro di riforma. Non riesco a trovare le parole per esprimere l'infinita amarezza per questa situazione che mi obbliga a scriveLe senza poter mettere in calce la mia firma, senza poter mostrarLe il mio volto! Oltre che derubato, il governo mi fa anche sentire truffaldino. Spero che il governo che Lei si appresta a guidare possa finalmente risolvere questa situazione, che non è certo unica dato che, come riportava la stampa la scorsa settimana, solo il 20% degli esodati ha finito il proprio calvario.
Con osservanza e speranza,
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Contratto Unico, così Renzi vuole favorire le assunzioni dei giovani
Il Jobs Act prevede l'introduzione del contratto unico per favorire l'assunzione dei giovani fino a 35 anni.
Nei prossimi mesi potremmo assistere ad una nuova rimodulazione del mercato del lavoro, l'ennesima in questi anni. Secondo quanto previsto nel "Jobs Act" il governo Renzi varerà una mini riforma per agevolare le imprese ad assumere attraverso l'introduzione del cosiddetto contratto unico. Che in pratica è l'equivalente di un contratto di inserimento a tutele crescenti. E a tempo indeterminato, è questo l'elemento di novità.
Le tutele crescenti significano che in caso di licenziamento del lavoratore, in una prima fase verrano sterilizzati gli effetti dell'articolo 18, sostituendoli con indennità proporzionale al periodo lavorato. Il datore di lavoro sarà pertanto libero di licenziare per un periodo di tempo limitato, un periodo di sperimentazione. L'obbligo di reintegra - la cd. tutela reale - scatterà solo per il licenziamento discriminatorio. Superata la prima fase di applicazione del contratto unico, le regole ordinarie dell'articolo 18 vengono nuovamente ripristinate.
Ancora non chiaro invece il campo di applicazione del nuovo contratto unico. Secondo una prima ipotesi il contratto dovrà essere limitato solo al primo contratto ricomprendendo comunque i disoccupati di lunga durata. In alternativa il contratto potrebbe essere applicato senza vincoli a tutti giovani fino a 35 anni oppure ancora a tutti i rapporti di lavoro per facilitare ulteriormente l'accesso al lavoro.
Il programma di Renzi prevede anche una sforbiciata ad quelle forme di lavoro flessibile introdotte con la riforma Biagi nel 2001: in particolare l'abrogazione del lavoro a chiamata e del lavoro ripartito.
Pa, in arrivo la mobilità per i dipendenti pubblici
Secondo il Ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione, Marianna Madia, l'inefficienza delle Pubbliche Amministrazioni dovrà essere risolta attraverso piu' mobilità per i dipendenti pubblici. Peccato che le norme esistono già.
Il ministro Marianna Madia, fresca di nomina, ha dichiarato di voler accelerare sulla mobilità degli incarichi dirigenziali all'interno delle pubbliche amministrazioni. L'idea di base è quella di eliminare la figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico: "un dipendente pubblico è a tempo indeterminato se vince un concorso. Il dirigente no. Stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali", si legge nella bozza del cd. Jobs Act promosso dal nuovo esecutivo.
In realtà buona parte degli incarichi pubblici di livello dirigenziale già è a tempo determinato così come già ci sono diverse forme di mobilità per i dirigenti. E con le ultime riforme è anche passato il sistema di valutazione in base al merito richiesto oggi a gran voce dalla Madia e da Renzi. La mobilità nella pubblica amministrazione è infatti già pienamente regolata dal cd. "decreto Brunetta" e dalle sue svariate modifiche (contenute nel Dl 138/2010, nel Dl 78/2011, nella spending review del Dl 95/2012 e nel recente Dl 102/2013). Semmai dunque quello che dovrebbe fare Renzi è dare un impulso politico attraverso un confronto nuovo e aperto con il sindacato che tradizionalmente si è sempre opposto all'introduzione delle nuove regole. Insomma il punto vero è che queste norme non sono state mai applicate per interessi trasversali che tutelano la dirigenza del pubblico impiego.
La proposta di Renzi - Matteo Renzi vorrebbe creare un albo unico nazionale riservato ai dipendenti dirigenziali pubblici con un incarico massimo pari a 5 anni. Allo scadere del termine dovrà scattare la mobilità con la riassegnazione della risorsa all'interno della stessa o di un'altra amministrazione. Verrebbe inoltre introdotto un tetto massimo di 10 anni di permanenza nella stessa amministrazione. L'obiettivo è quello di rendere le amministrazioni pubbliche più produttive e più efficienti per favorire una ristrutturazione dello Stato. Produttività che dovrebbe essere raggiunta attraverso una revisione degli incarichi apicali, ricambio generazionale e la cultura dei risultati.
Pensioni, nessun beneficio per i volontari nella protezione civile
Nessuna agevolazione previdenziale per i lavoratori dipendenti che si assentano dal posto di lavoro per attività di protezione civile. E' questo quanto si legge in un comunicato del Patronato Inca della Cgil che ha rappresentato la risposta formulata dall'ex ministro del lavoro Enrico Giovannini al Parlamento lo scorso 20 Febbraio. Il ministro ha infatti confermato che non sono utili ad escludere le penalità della pensione anticipata (articolo 6, comma 2-quater del Dl 216/2011) le giornate in cui i lavoratori abbiano fruito di permessi speciali per assentarsi dal posto di lavoro come volontari nelle operazioni di soccorso e di assistenza alle persone in occasione delle calamità naturali e nelle attività di addestramento e simulazione. Secondo l'ex ministro del Lavoro Giovannini è necessario reperire le risorse per la copertura del provvedimento.
La Cgil esorta quindi nuovo esecutivo e il nuovo Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ad approvare una correzione alla riforma Fornero per tutelare il mondo del volontariato. Nel comunicato la Cgil ricorda che negli ultimi anni le richieste presentate al governo sono state in buona parte accolte. Ad esempio è stata ricompresa nella contribuzione utile ad escludere la penalizzazione per l'accesso alla pensione anticipata la contribuzione figurativa attribuita ai donatori di sangue, quella derivante dalla fruizione dei congedi parentali di maternità e paternità e a chi ha usufruito dei permessi e dei congedi per coloro che assistono parenti in situazioni di grave disabilità.
Pensioni, l'Inps conferma il beneficio della legge 111 a 5 mila quarantisti
L'Inps ha confermato che il monitoraggio delle domande pervenute per la fruizione del beneficio di cui all'articolo 18, comma 22-quater del Dl 98/2011 convertito in legge 111/2011 è quello della data di cessazione del rapporto di lavoro dei potenziali beneficiari. E' quanto afferma una nota interna dell'istituto pubblicata venerdì scorso.
Qualora dal predetto monitoraggio risulti il superamento di 5mila domanda di ammissione al beneficio, l'Istituto non potrà prendere in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate a fruire dei benefici previsti.
I 5mila potenziali beneficiari della salvaguardia della legge 111/2011 - L'articolo 18 comma 22 ter della legge 111/2011 ha incrementato le finestre di decorrenza per i lavoratori cosidetti quarantisti - cioè coloro che raggiungono i requisiti per la pensione di anzianità indipendentemente dal requisito anagrafico secondo la vecchia disciplina, in pratica i vecchi 40 anni di contributi. L'intervento ha comportato un incremento nella finestra di decorrenza variabile da 1 a 3 mesi a seconda della data di maturazione del requisito contributivo. Se i 40 anni sono raggiunti nel 2012 la finestra avrà una durata pari a 13 mesi, se il requisito è raggiunto nel 2013 la finestra sarà di 14 mesi, se raggiunto nel 2014 ed oltre la finestra sarà di 15 mesi. Per i lavoratori autonomi la finestra sarà rispettivamente pari a 19, 20 e 21 mensilità.
Il successivo comma 22-quater ha tuttavia esentato dallo slittamento 5mila soggetti che si trovino nelle seguenti situazioni: lavoratori collocati in mobilità ordinaria o lunga sulla base di accordi sindacali stipulati prima del 30 giugno 2011 a condizione che maturano i requisiti per la pensione in quel periodo di fruizione dell'indennità di mobilità; b) lavoratori titolari della prestazione straordinaria a carico di fondi di solidarietà di settore al 6 luglio 2011.
L'Inps ha pertanto confermato che la formazione della graduatoria dei 5mila beneficiari verrà effettuata sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro come peraltro accaduto per altre salvaguardie. I lavoratori per usufruire del beneficio possono indicare nella domanda di pensione la richiesta di fruire dei benefici previsti ex articolo 18 comma 22-quater del DL 98/2011 convertito in legge 111/2011.
Gli ammessi in posizione utile nella graduatoria terranno pertanto ferma la finestra di decorrenza a 12 mensilità (18 se autonomi) anche se perfezioneranno i 40 anni di contribuzione dopo il 31.12.2011.
Pubblicato l'indice per rivalutare il Tfr a Gennaio
È pari a 0,265056 il coefficiente per la rivalutazione delle quote per il trattamento di fine rapporto TFR accantonate al 31 dicembre 2013 relativo al mese di gennaio. L'indice dei prezzi al consumo calcolato dall'Istituto nazionale di statistica, con esclusione del prezzo dei tabacchi lavorati, è al valore di 107,3.
Tramite i dati resi noti dall'Istituto di statistica è possibile calcolare quindi il dato del trattamento di fine rapporto, introdotto dalla legge n. 297/82. Il calcolo viene fornito mensilmente per permettere di rivalutare le somme accantonate al 31 dicembre dell'anno precedente, nel caso di cessazione di rapporti di lavoro e/o conteggi in sede di bilanci infrannuali.
Secondo quanto stabilito dal codice civile (articolo 2120) il trattamento di fine rapporto accantonato al termine di ogni anno deve essere rivalutato mensilmente sommando due elementi: il 75% dell'aumento del costo della vita rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente (colonna rival. 75%); e l'1,50% annuo, frazionato su base mensile.
In caso di corresponsione di un anticipazione del TFR il tasso di rivalutazione si deve applicare su l'intero importo accantonato fino al periodo di paga in cui l'erogazione del trattamento viene effettuata. Relativamente al resto dell'anno l'aumento si applica in bici solo sulla quota al netto della situazione è quella che rimane a disposizione del datore di lavoro. Non si rivaluta invece la quota di TFR versata dei lavoratori ai fondi di previdenza complementare. Dal primo gennaio 2001 la rivalutazione del trattamento di fine rapporto è soggetta all'imposta sostitutiva del 11 per cento.