Chi ha usufruito della «quota 100» non può più lavorare dopo la pensione. La richiesta agevolata di uscire anticipatamente dal lavoro, infatti, sarebbe in netta contraddizione con la prosecuzione di una prestazione di lavoro: ciò giustifica l'assoluto divieto di cumulo tra pensione «quota 100» e reddito da lavoro dipendente. Lo spiega la Corte costituzionale che ieri ha depositato le motivazioni alla sentenza n. 234/2022 con la quale, lo scorso mese di ottobre, ha deciso la questione di legittimità del tribunale di Trento sulla norma relativa al divieto di cumulo (art. 14, comma 3, dl 4/2019) per disparità di trattamento rispetto alla possibilità, invece, di cumulo parziale del lavoro autonomo occasionale (fino a 5.000 euro).
Lavoro intermittente
La vicenda riguarda un lavoratore andato in pensione con «quota 100» dal 1° maggio 2019. Dopo la pensione, ha svolto rapporti di lavoro intermittente dal 3 giugno al 31 luglio 2019 per una retribuzione di 385,79 euro, dal 7 al 10 settembre 2019 per una retribuzione di 495,72 euro, dal 23 novembre al 31 dicembre 2019 per una retribuzione di euro 217,96 e dal 2 al 16 luglio 2020 per una retribuzione di euro 373,00. In conseguenza di ciò, l'Inps dando esecuzione al divieto assoluto di cumulo della pensione anticipata quota 100 (art. 14, dl n. 4/2019) con redditi da lavoro dipendente, ha chiesto il rimborso dei ratei di pensione erogati da maggio 2019 ad agosto 2020 e non ha più corrisposto quelli da settembre a dicembre 2020.
I rilievi
L'ordinanza 211/2021 del tribunale Trento solleva questione di legittimità costituzionale della norma sul divieto di cumulo (art. 14, comma 3), nella parte in cui non fissa un importo minimo di reddito da lavoro dipendente, oltre cui la pensione non sia più cumulabile, così come è fatto invece per il lavoro autonomo occasionale ritenuto cumulabile fino a 5.000 euro all'anno. La questione d'incostituzionale è sollevata per l'art. 3 della costituzione: disparità di trattamento. Perché non si troverebbe in un'identica situazione il pensionato che, anziché svolgere attività lavorativa con contratto intermittente, lo facesse con lavoro autonomo occasionale fino a euro 5.000 all'anno.
La decisione
La Consulta spiega che il divieto di cumulo risponde «a più ampie esigenze di razionalità del sistema pensionistico, all’interno del quale il regime derogatorio introdotto dal legislatore del 2019 con una misura sperimentale e temporalmente limitata, risulta particolarmente vantaggioso per chi scelga di farvi ricorso». Per i giudici non è irragionevole che il soggetto che sceglie di usufruire di tale trattamento esca dal mercato del lavoro, sia per la sostenibilità del sistema previdenziale, sia per favorire il ricambio generazionale.
Fatte queste premesse la Consulta osserva che non esiste alcuna contraddizione fra redditi da lavoro autonomo occasionale entro la soglia di 5.000 euro lordi annui e redditi da lavoro intermittente poiché non sono omogenee le situazioni poste a raffronto. Infatti il lavoro intermittente, in quanto riconducibile nell’alveo del lavoro subordinato, si accompagna (sempre) all’obbligo di contribuzione mentre quello autonomo occasionale (ex art. 2222 cc) lo diventa solo se superiore a 5.000€ lordi annui (oltre il quale scatta l’obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps). Tal ché la scelta del legislatore di rendere cumulabile il lavoro autonomo occasionale con la pensione «quota 100» risponde all’esigenza di tenere in considerazione i relativi obblighi contributivi.
Di conseguenza l’assenza di omogeneità fra le prestazioni di lavoro esaminate porta alla conclusione che non è violato il principio di eguaglianza (ex plurimis, sentenze n. 127 del 2020, n. 32 del 2018 e n. 241 del 2016; ordinanza n. 346 del 2004).
Ricambio generazionale
In definitiva, secondo la Corte, il divieto di cumulo è ben giustificato dal regime di pensionamento anticipato e si accompagna all’obiettivo di garantire un’effettiva uscita dal mondo del lavoro del pensionato. Ciò anche al fine di sostenere il ricambio generazionale. In quest’ottica, aggiunge la Corte, «la scelta del legislatore, volta a diversificare il trattamento previsto per il divieto di cumulo, non risulta costituzionalmente illegittima neppure considerando la sproporzione che può in concreto determinarsi – come nella fattispecie oggetto del giudizio principale – fra l’entità dei redditi da lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della cosiddetta “quota 100” e i ratei di pensione la cui erogazione è sospesa».
Anche in questa prospettiva la Corte non muove censure. Infatti, conclude la sentenza, «il lavoro autonomo occasionale, per la sua natura residuale, non incide in modo diretto e significativo sulle dinamiche occupazionali, né su quelle previdenziali e si differenzia per questo dal lavoro subordinato, sia pure nella modalità flessibile del lavoro intermittente».