Il dpcm si compone di venti articoli e cinque allegati: domanda di certificazione del diritto all’Ape; domanda di Ape; proposta di assicurazione; istanza di adesione al fondo di garanzia per l’accesso all’Ape; domanda di pensione di vecchiaia per i richiedenti l’Ape. La misura si rivolge ai lavoratori dipendenti del settore privato, i dipendenti del settore pubblico, gli autonomi iscritti presso le relative gestioni speciali dell'Inps (artigiani, commercianti e coltivatori diretti), gli iscritti alla gestione separata dell'Inps (restano fuori i liberi professionisti e i giornalisti iscritti all'Inpgi) in possesso di 63 anni di età e 20 anni di contributi a condizione che si trovino a non più di 3 anni e 7 mesi dal pensionamento di vecchiaia nel regime obbligatorio. Tali soggetti potranno ottenere l'anticipo di una parte della propria pensione sino ad un massimo di 43 mesi dalla pensione di vecchiaia. L'importo minimo finanziabile sarà pari a 150 euro al mese mentre quello massimo sarà individuato in una percentuale della pensione netta maturata dal lavoratore al momento della richiesta. La cifra oscillerà in base alla durata dell'anticipo richiesto (dal 75% in caso di anticipi superiori a 35 mesi, sino al 90% per anticipi inferiori a 12 mesi); da notare la mancata esclusione del requisito anagrafico dai futuri adeguamenti alla speranza di vita (il prossimo di cinque mesi ci sarà dal 2019). In merito il provvedimento stabilisce che, se durante l’erogazione dell’Ape, interviene un adeguamento dei requisiti della pensione, «la durata del prestito è rideterminata in misura pari all’incremento, con conseguente rideterminazione del debito residuo».
A rischio i cattivi pagatori e chi ha assegni bassi
L’art. 7, comma 8, elenca una serie di situazioni che il richiedente l’Ape deve autocertificare, la cui sussistenza può giustificare il diniego della banca nella concessione del finanziamento. Tra queste, la lett. a) fa riferimento alle «esposizioni creditizie scadute e non pagate o sconfinanti da oltre 90 giorni». Secondo il consiglio di stato, la formulazione della norma (la quale non parla di «debiti», ma di esposizioni creditizie), rischia di assorbire qualsiasi situazione; per esempio, anche quella di debiti verso fornitori vari, che gli interessati potrebbero aver assunto proprio in attesa di potervi far fronte grazie all’Ape. Punto che il Consiglio di Stato suggerisce di modificare in sede di approvazione definitiva del provvedimento limitandolo alle sole esposizioni debitorie nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari.
Altra nota da considerare riguarda l'importo minimo dell'assegno che non può risultare inferiore a 702 euro al mese, al netto della rata di ammortamento del prestito richiesto. Tale condizione produce sostanzialmente l'esclusione dall'APE dei lavoratori che hanno un assegno lordo inferiore a circa 800 euro al mese e pone diversi limiti anche con riferimento alle classi di assegno tra gli 800 ed i mille euro lordi al mese: tali soggetti dovranno mixare il prestito tra entità mensile riscossa e periodo temporale di anticipo in misura tale che la rata di ammortamento del prestito non porti il reddito pensionistico al di sotto della predetta soglia. Fattore sul quale peseranno anche i tassi applicabili. In definitiva solo chi gode di assegni superiori almeno a mille euro lordi al mese potrà godere del massimo anticipo (cioè prendere il 75% dell'assegno netto maturato per un massimo di 43 mesi).
Si tratta di limitazioni da tenere in considerazione in quanto vanno ad escludere la fasce più deboli della popolazione. Si pensi ad esempio ad un lavoratrice dipendente senza lavoro che ha maturato 20 anni di contributi e 63 anni di età ed una pensione lorda mensile di 750 euro al mese: costei risulta esclusa sia dall'ape sociale (perchè non ha il minimo di 30 anni di contributi) ed anche dall'ape volontario perchè avrebbe una pensione di importo troppo basso per rispettare il vincolo sopra descritto.