E’ terminato un anno che in ambito previdenziale si era aperto con molte speranze e auspici e che invece è terminato con molta delusione e rabbia da parte di quei lavoratori e quelle lavoratrici che hanno visto allontanarsi e in taluni casi sfumare il miraggio della pensione.
Tutti, anche gli addetti ai lavori, erano convinti che il Governo appena insediato avrebbe approvato, almeno in parte, quelle che erano le promesse fatte in campagna elettorale e confermate poi da diversi componenti della maggioranza, ma la realtà è stata quella di una retromarcia di quanto ipotizzato e di un peggioramento, incredibile a dirsi, rispetto a quanto attuato dal governo tecnico di Draghi. Il governo politico tanto aspettato e voluto da tutti e che per definizione dovrebbe stare dalla parte dei cittadini, ha peggiorato alcune norme sulla previdenza rispetto ad un governo tecnico che per definizione è solito fare il “lavoro sporco”.
La battaglia della Lega per avere i 41 per tutti indipendentemente dall’età anagrafica è diventata una riproposizione di “Quota 103” come nell’anno 2023 ma con forti elementi peggiorativi come le finestre d’uscita passate da tre mesi a sette mesi per i lavoratori privati e da sei ad addirittura nove mesi per i dipendenti pubblici, tetto dell’importo dell’assegno sceso da cinque a quattro volte il trattamento minimo fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia e, ciliegina sulla torta, intero calcolo dell’assegno previdenziale effettuato col sistema contributivo che si traduce in una perdita dell’importo di circa il 10/15% per tutta la durata della vita.
Quello che è restato di Opzione Donna destinato ormai solamente a donne fortemente svantaggiate come caregiver, invalide o licenziate, è stato ulteriormente peggiorato con innalzamento del requisito anagrafico di un ulteriore anno e mantenimento della finestre d’uscita di 12 e 18 mesi rispettivamente per lavoratrici dipendenti o autonome ed infine un aumento di cinque mesi per accedere all’Ape Sociale e introduzione della limitazione di poter effettuare solamente lavoro autonomo occasionale fino al limite di 5.000 € annui.
Ancora più grave l’intervento su alcune categorie di pubblici dipendenti come personale sanitario, dipendenti di enti locali, maestre dell’infanzia e scuola primarie parificate nonché ufficiali giudiziari (circa 700.000 il personale interessato) che in caso di pensionamento anticipato modifica il calcolo della pensione sulla parte retributiva e che aumenta solo per queste categorie progressivamente le finestre d’uscita con forti dubbi di costituzionalità.
A proposito di leggi incostituzionali, nessun intervento è stato attuato da parte del Governo dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 30/5/2023 sui tempi di pagamento del TFS dei pubblici dipendenti che si auspicava potesse essere attuato nella Legge di Bilancio e che necessariamente dovrà essere approvato nel 2024.
Misure tutte fortemente negative fortemente volute dal Ministro del MEF Giorgetti e non disapprovate dalla Premier Meloni per dare un forte segnale in Europa di mantenimento in ordine dei conti pubblici in particolare sulla previdenza da sempre sotto osservazione dei burocrati europei. Aspetto che era già stato evidenziato nella Nadef quando si affermava l’importanza della legge Fornero che “ha migliorato in maniera significativa la sostenibilità del sistema previdenziale”.
Tutti elementi che fanno comprendere come la riforma strutturale auspicata si allontana sempre di più e che sarà molto difficile un intervento significativo nel corso di questo 2024. La stessa maggioranza di Governo ha più volte affermato che un intervento sulla previdenza sarà operato entro il termine della legislatura spostando più in là un provvedimento difficile da attuare in un quadro socio/economico che purtroppo stenta a decollare, impantanato da un debito pubblico improponibile e che pesa sulle spalle di ogni italiano per oltre 48.000 € e un PIL che secondo vari istituti finanziari crescerà nel 2024 di appena lo 0,6%.
Il quadro per nulla roseo farà probabilmente indirizzare le scelte del Governo verso una flessibilità anticipata in uscita costringendo però i possibili fruitori ad optare per il calcolo dell’assegno effettuato interamente col sistema contributivo e con qualche accorgimento, promesso nel 2023 e non attuato, come una pensione di garanzia per giovani e donne ed una implementazione della previdenza complementare e con un impianto previdenziale di continuità nel solco della legge Fornero, tanto criticata nel passato ed ora diventata improvvisamente diga all’aumento spropositato del conti pubblici in ambito previdenziale.