Dopo il deludente anno appena passato che in ambito previdenziale non ha portato alcun elemento positivo ma anzi un significativo peggioramento sugli istituti che consentono un anticipo rispetto al pensionamento ordinario, il 2024 si è aperto con forti dubbi e perplessità sull’approvazione dell’auspicata riforma che gli italiani aspettano da oltre un decennio.
Sia dalla Ministra Calderone che ha affermato che va riaperto il cantiere pensioni nell’ottica di trovare un equilibrio tra le esigenze di coloro che si avvicinano alla pensione con quelle dei giovani che stanno entrando nel mercato del lavoro, che dal sottosegretario Durigon che rilancia la Quota 41 da sempre cavallo di battaglia della Lega nell’ottica del sistema contributivo e sia soprattutto dalla premier Meloni che nella conferenza stampa del 4 gennaio ha affermato che l’obiettivo non è mai venuto meno con la necessità di dare una giusta attenzione ai giovani costruendo una riforma equa e uguale per tutti, giungono dichiarazioni che sembrano più di circostanza che dettate da una reale volontà di affrontare seriamente un argomento che da troppi anni i vari esecutivi hanno sempre rimandato limitandosi solamente a piccoli interventi, in genere peggiorativi.
Già alla fine dell’anno appena passato vi erano stati dei segnali poco incoraggianti da parte del Governo di mantenere fede a quanto annunciato in campagna elettorale. Il peggioramento di Quota 103 con finestre allungate e calcolo interamente contributivo, Opzione Donna relegata ormai solo a categorie svantaggiate, e l’Ape Sociale con un allungamento di cinque mesi per potervi accedere nonché la scomparsa del contratto di espansione avevano fatto chiaramente intendere la volontà dell’Esecutivo di stringere le maglie sulla previdenza. L’atteggiamento di questo inizio d’anno sembra confermare tale sospetto corroborato dal fatto che nemmeno l’opposizione e le forze sindacali sembrano spingere più di tanto per la risoluzione di tale problematica. Si aspetta il mese di aprile per scrivere qualcosa di generico nel DEF e soprattutto si aspettano le lezioni europee di giugno per vedere quale maggioranza uscirà vincitrice e se ci saranno modifiche all’attuale quadro geopolitico.
Sembra quasi che ci sia una sorta di rassegnazione considerando la situazione economica e il fatto che la Legge Fornero consente un forte risparmio sulla previdenza rinviando nuovamente all’autunno in sede di Legge di Bilancio qualche limitato intervento sulla flessibilità in uscita sempre con calcolo contributivo e qualche provvedimento sulla previdenza dei giovani su cui si era sperato lo scorso anno un intervento, poi, non realizzato.
Sembra che la Meloni e Giorgetti non vogliano disturbare l’UE su un argomento che da sempre ha visto l’Europa poco accondiscendente nei nostri confronti a causa di una spesa previdenziale del 16,7% che, invece, se fosse depurata dal costo enorme dell’assistenza scenderebbe intorno al 12% del PIL e che, se poi fosse ancora scorporata dall’IRPEF scenderebbe addirittura sotto al 9% del PIL. La spesa della previdenza in Italia, se così fosse conteggiata, sarebbe inferiore al totale delle entrate previdenziali smentendo clamorosamente quanto affermato da decenni e sarebbe evidenziato che, anche a causa dell’istituzione del sistema contributivo dal 1996, la previdenza in Italia sarebbe in grado di reggersi autonomamente.
Questo sta a dimostrare che esiste un margine per operare una riforma previdenziale complessiva e organica che consenta una flessibilità in uscita attuando delle lievi penalizzazioni mantenendo il sistema misto fino alla sua naturale conclusione, che si può e si deve intervenire a sostegno delle giovani generazioni con una pensione di garanzia, ripristinare Opzione Donna ante Legge di Bilancio 2023 e implementare la previdenza complementare aumentando le detrazioni e diminuendo fortemente la tassazione finale.