La questione riguardava un pilota, pensionato a carico del Fondo Volo, che aveva trovato rioccupazione nel periodo successivo al dicembre 1997 cumulando il reddito da pensione con quello da lavoro. Durante il periodo in questione l'Inps gli aveva sospeso il pagamento della pensione sulla base delle regole vigenti prima della legge 112/2008 che, come noto, disponevano sino al 2008 l'incumulabilità delle pensioni di anzianità con i redditi da lavoro (limite poi venuto meno con il citato intervento normativo).
Le Corti di merito avevano bocciato le doglianze del pensionato sulla base del fatto che non essendo la prestazione pensionistica riconducibile all'età anagrafica dell'interessato, non si potesse parlare di pensione di vecchiaia bensì di pensione di anzianità e quindi trovassero applicazione le norme sul divieto di cumulo tra lavoro e pensione di anzianità previste dalla legislazione all'epoca vigente. La difesa del pensionato ha quindi proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello incentrandolo sull'erronea qualificazione giuridica della pensione in godimento che avrebbe dovuto essere ascritta nell'alveo delle pensioni di vecchiaia e non di anzianità. Come tale sottratta alla regola del divieto di cumulo.
La decisione
Secondo la Cassazione la tesi proposta dalla difesa non regge. I giudici osservano prima di tutto che anche rispetto al Fondo Volo, seppure vi siano requisiti di accesso al pensionamento riconnessi anche all'età, la pensione non può essere qualificata come di vecchiaia se i requisiti contributivi siano al di sotto del ventennio (Cass. 23 gennaio 2013, n. 1574). Nel caso di specie il ricorrente aveva avuto accesso a pensione con le regole previgenti alla Riforma del Fondo volo di cui al Dlgs 194/1997 ai sensi dell'art. 22, comma 1, n. 3 L. 859/1965 al compimento del 45° anno di età con un periodo di 15 anni di contribuzione obbligatoria o obbligatoria e volontaria al Fondo, né era stato provato che questi avesse versato concretamente venti anni o più di contributi.
Per tale ragione al momento del pensionamento non ricorrevano i presupposti normativi per la qualificazione della sua pensione come di vecchiaia e ciò impedisce, in forza della disciplina sul cumulo applicabile al momento (dicembre 1997 e, poi, luglio 1998) della rioccupazione, pur se sopravvenuta rispetto al momento del pensionamento il riconoscimento del diritto alla percezione della pensione nonostante lo svolgimento di altra attività lavorativa.
Secondo i giudici, infatti, fermo restando l'accesso alla pensione di vecchiaia secondo il regime ordinario (art. 1 e 5 dlgs. 503/1992) e fermo restando che quella di cui all'art. 22, n. 1, L. 859/1965, prescindendo in toto dall'età anagrafica, è necessariamente pensione di anzianità, le ipotesi di cui all'art. 22 n. 2 (almeno quindici anni di contributi e 50 anni di età) e n. 3 (almeno quindici anni di contributi e 45 anni di età) sono destinate ad una qualificazione in termini di pensione di vecchiaia, combinando il principio sulla rilevanza del requisito anagrafico e quello sul ventennio contributivo, solo se, in concreto, il pensionamento avvenga sulla base di almeno vent'anni di contribuzione, mentre negli altri casi il dato anagrafico, peraltro nell'ipotesi base assai basso (45 anni) è recessivo, ed il fondamento della pensione risiede esclusivamente nel dato contributivo.