Il Governo ripensa gli scivoli delle donne per andare in pensione. Oltre al ripristino di Opzione Donna con le condizioni più vantaggiose vigenti sino al 31 dicembre 2021, sul tavolo dell’esecutivo spunta l’ipotesi di una uscita con 64 anni e 20 di contributi, in sostanza una «quota 84», attualmente a disposizione dei lavoratori privi di anzianità contributiva al 31.12.1995 (anche uomini). L’estensione sarebbe destinata a trovare applicazione sia per le lavoratrici autonome che per le dipendenti.
Lo riporta Il Messaggero spiegando che la nuova soluzione è sul tavolo del governo che ha avviato le consuete simulazioni per valutarne i costi. La combinazione sarebbe accompagnata da alcuni correttivi rispetto alle attuali regole del sistema contributivo. Per poter accedere alla pensione non sarebbe necessario aver maturato una pensione almeno 2,8 volte l’assegno sociale (cioè circa 1.400€ lordi al mese). Questa soglia dovrebbe essere abbassata a 2-2,5. Ovviamente per le lavoratrici che sceglieranno di utilizzare il nuovo scivolo ci sarà il consueto ricalcolo della pensione in base al metodo contributivo.
Opzione donna
La misura potrebbe sostituire o abbinarsi ad Opzione Donna che quest’anno ha subito un discutibile giro di vite. Con l’ultima legge di bilancio, infatti, il Governo ha innalzato l’età anagrafica (da 58 anni a 60 anni) ed ha imposto delle limitazioni di natura soggettiva sulla falsariga di quanto avviene con l’Ape sociale (occorre prestare assistenza ad un disabile, risultare invalidi almeno al 74% oppure essere licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d'impresa). Nel 2023, pertanto, il numero di prepensionamenti con OD si è ridotto drasticamente rispetto al passato.
Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di assorbire OD nell’Ape sociale mantenendo un requisito anagrafico di accesso inferiore, 60 anni in luogo dei 63 anni. In tal caso la prestazione, oltre al ricalcolo in chiave contributiva, sarebbe assistita da un tetto pari a 1.500€ lordi al mese (peraltro non rivalutabili annualmente) per 12 mesi (non 13) sino al raggiungimento dell’età di vecchiaia (67 anni). Si tratterebbe di una ulteriore penalizzazione.
La parte sindacale non condivide queste ipotesi. Da inizio anno Cgil, Cisl e Uil chiedono il ripristino delle condizioni vigenti sino al 31 dicembre 2021. Cioè un’uscita chiara con un requisito anagrafico unico (58, 59 o 60 anni), un requisito contributivo di 35 anni, nessuna finestra mobile di accesso (che andrebbe assorbita nell’aumento di un anno del requisito anagrafico), nessuna condizione di natura soggettiva. La stretta, del resto, ha penalizzato in modo rilevante le donne che, come noto, fanno fatica a raggiungere i 41 anni di contributi e, quindi, a centrare i requisiti per Quota 103. Ed è per questo, insomma, che per le donne serve una soluzione “ad hoc".