Nei giorni scorsi anche il consigliere economico del PD, Stefano Patriarca, ha illustrato una proposta simile ipotizzando una pensione contributiva minima di 650 euro mensili per chi ha 20 anni di contributi. Tale cifra potrebbe aumentare di 30 euro al mese per ogni anno di contribuzione superiore al 20 esimo anno fino a un massimo di mille euro". L'obiettivo delle proposte è quello di garantire un tasso di sostituzione tra ultimo stipendio e pensione non inferiore a circa il 60%, un valore difficilmente raggiungibile per la maggior parte dei giovani di per diverse ragioni. Da un lato pesa un mercato del lavoro asfittico in cui la fanno da padrone attività lavorative discontinue, lunghi periodi di disoccupazione (senza quindi copertura contributiva) o lavoro nero, dall'altro ci sono gli effetti controversi del sistema di calcolo contributivo che non aiuta ad agganciare una pensione dignitosa. Con il sistema contributivo, infatti, la misura dell'assegno pensionistico è esclusivamente determinata sulla base dell'entità dei contributi versati nell'arco dell'intera vita lavorativa.
Si tratta di un sistema che penalizza fortemente chi ha una carriera discontinua perchè non consente più di agganciare la pensione sulla base degli ultimi cinque/dieci anni di attività lavorativa come accadeva con il vecchio sistema retributivo abrogato definitivamente nel 2012 dalla Legge Fornero. Tale meccanismo per quanto bistrattato consentiva di recuperare, con gli incrementi di stipendio negli ultimi anni di carriera lavorativa, una pensione dignitosa. La crisi del contributivo è accentuata anche dalla mancata crescita del Pil. A norme vigenti il montante individuale contributivo viene rivalutato al 31 dicembre di ogni anno su base composta, a un tasso di capitalizzazione pari alla variazione media quinquennale del PIL calcolata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), cioè in base alla crescita della ricchezza nazionale. La crisi economica degli ultimi dieci anni ha mandato in tilt la rivalutazione. Ad esempio se sino al 2000, il montante contributivo è stato rivalutato circa il 5% ogni anno, nell'ultimo decennio la rivalutazione si è praticamente fermata rischiando di finire addirittura in territorio negativo nel 2015. Come dire che i contributi versati annualmente sono quasi infruttiferi. In assenza di un correttivo la Riforma Dini consegnerà, pertanto, loro un reddito pensionistico irrisorio di poco superiore al valore dell'assegno sociale, insufficiente a garantire una vecchiaia dignitosa.