Pensioni

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Il tragico gesto è stato compiuto da un uomo di cinquantanni menomato da un incidente a cui era stata negata la prestazione di invalidità.

Kamsin Non sopportava più di dover sopravvivere con la pensione dell'anziana madre e con l'aiuto che gli davano i familiari. Questa con ogni probabilità è stata la causa che ha fatto scattare la decisione di Alessandro Baldan, 53 anni, di togliersi la vita. Il dramma si è consumato l'altro ieri a Mogliano nell'alloggio al secondo piano della palazzina in via don Minzoni 11, a poche centinaia di metri da piazza Pio X.

«Non mi riconoscono la pensione di invalidità».Queste le poche parole che Baldan, un ex operaio, ha lasciato scritto su un biglietto prima di mettere in atto il gesto estremo. L'uomo ha scelto di porre fine alla sua esistenza tagliandosi le vene dei polsi e ingerendo un mix di medicinali: barbiturici, antidolorifici e tranquillanti. È toccato alla madre scoprire verso le 14 il corpo del figlio, ormai senza vita, nella sua stanza dal letto dove si era chiuso vinto dalla depressione che ultimamente gli aveva tolto la voglia di continuare a combattere per avere la pensione di invalidità all'Inps. Quando sono giunti i sanitari e una pattuglia dei carabinieri per Baldan non c'era più nulla da fare. Il corpo è stato ricomposto e trasportato nella cella mortuaria del cimitero monumentale della città.

Il 53enne, nativo di Venezia e residente a Mogliano da una decina d'anni, quattro anni fa aveva avuto un grave incidente stradale rimanendo semiparalizzato agli arti inferiori. Per circa due anni è stato costretto a sorreggerisi in piedi con le stampelle. Si era ripreso dopo una serie di cure riabilitative, tanto da riprendere a guidare la macchina. Ma il brutto incidente gli ha impedito di continuare a lavorare. Adesso è atteso dall'autorità giudiziaria il nulla osta per le esegue, previste nei primi giorni della settimana entrante.

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Fonte: il Gazzettino

L'interrogazione al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti intende acclarare il numero degli esclusi dalle salvaguardie per predisporre un apposito intervento legislativo.

Kamsin Si svolgerà Venerdì prossimo in Commissione Lavoro presso la Camera dei Deputati l'interrogazione a risposta scritta (5-05234) sollevata da Maria Luisa Gnecchi (Pd) al Ministro del lavoro e delle politiche sociali volta a conoscere quanti siano i lavoratori non ancora salvaguardati, che hanno sottoscritto accordi individuali di esodo ante 31 dicembre 2011 con le aziende Poste, Enel, Eni, Telecom e quale sia la relativa data di accesso alla pensione con previgenti requisiti. 

L'onorevole ricorda, infatti, che nonostante ad oggi si sia pervenuti ad approvare il sesto provvedimento di salvaguardia che prevede per questa tipologia la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 6 gennaio 2016, risulta, "dalle segnalazioni che pervengono dai lavoratori interessati, che permangono accordi di esodo individuale, stipulati sempre entro il 31 dicembre 2011, che prevedono l'accesso al pensionamento ben oltre l'anno 2018".

"E' certamento comportamento "discutibile" che un datore di lavoro pubblico sottoponga un accordo di esodo individuale al proprio dipendente nel 2011, per raggiungere il pensionamento, ben oltre 10 anni dalla stipula dell'accordo stesso; e diventa parimenti difficile per il legislatore valutare gli interventi relativi alle salvaguardie quando non si è a conoscenza della portata del fenomeno sopra descritto".

L'obiettivo dell'interrogazione, sostengono i firmatari, è volto a meglio delineare i contorni dei lavoratori rimasti esclusi dalle tutele al fine di predisporre un ulteriore intervento in materia di salvaguardia pensionistica.

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Il 99% delle pensioni erogate ai telefonici in pagamento nel 2015 subirebbe una riduzione se gli assegni venissero calcolati con il metodo contributivo.
Il termine per il pagamento delle doppie pensioni potrebbe essere spostato al primo di ogni mese invece che al 10 per evitare di creare disagio nei pensionati.

Kamsin Il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, è cauto sulla possibilità di spostare al primo del mese il pagamento delle pensioni per i titolari di doppia prestazione erogate dalla previdenza pubblica già a partire dal 1° giugno. L'ipotesi, rilanciata dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, e condivisa dai sindacati, "è presa in considerazione dal Governo ma al momento attuale, ricorda il ministro, la normativa attuale non prevede tale misura".

"Abbiamo una norma nella legge di stabilità (articolo 1, comma 302 della legge 190/2014, ndr), che reca l'accorpamento al 10 mese del pagamento delle pensioni, degli assegni, delle pensioni e delle indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, nonché delle rendite vitalizie (Inail) per i titolari di piu' trattamenti dei pensionati titolari. Questa norma, che riguarda solo i titolari di doppie pensioni, però è stata congelata "per non creare danno ai pensionati" ha detto Poletti.

"E' un tema quindi che ha bisogno di un intervento normativo, vedremo anche i veicoli normativi che ci consentono di farlo, sempre che non sia possibile farlo attraverso un atto amministrativo, stiamo valutando anche questo" ha concluso Poletti.

Boeri, spero dl per assegni primo del mese da giugno - L'unificazione per l'erogazione degli assegni il primo del mese invece che il 10 (circa due milioni le persone interessate) potrebbe arrivare già a giugno. Se lo augura il presidente dell'Inps Tito Boeri sottolineando che a breve dovrebbe arrivare su questa unificazione un decreto legge. Boeri ha ricordato che al momento per chi la doppia pensione è previsto che l'erogazione sia il 10 di ogni mese. "Ma per queste famiglie dieci giorni di ritardo sono un problema serio".

"Stiamo lavorando a tappe forzate con le banche e le poste - ha spiegato Boeri nel corso di un briefing sull'operazione 'La mia pensione' - per anticipare il pagamento delle pensioni al primo del mese". Boeri ha sottolineato che l'operazione significa per l'Inps avere maggiori spese in termini di interessi ma che è in corso una trattativa per una riduzione del costo unitario dei bonifici. "E' un'operazione neutra per le banche e per lo Stato - ha detto - che va a vantaggio dei pensionati".

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L’importo della pensione non può eccedere quanto sarebbe stato erogato applicando il calcolo interamente retributivo per tutte le anzianità contributive maturate dall’assicurato.

Kamsin Ricalcolo piu' soft per gli assegni di coloro che hanno almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. La Circolare Inps 74/2015 chiarisce, infatti, che dovrà essere messo in pagamento l'importo minore tra la cifra determinata con il sistema di calcolo vigente (cioè retributivo sino al 2011 e contributivo pro rata dal 1° gennaio 2012) e quella determinata applicando il calcolo interamente retributivo per tutte le anzianità contributive maturate dall’assicurato.

Ma l'assegno determinato con questa seconda modalità di calcolo sarà tuttavia meno penalizzante rispetto a quanto si riteneva all'indomani dell'approvazione della misura. Infatti da un lato l'Inps precisa che potranno essere valorizzate con l'aliquota di rendimento prevista con il sistema retributivo (2% e poi mano mano decrescente al crescere dell’importo della stessa retribuzione pensionabile) anche le anzianità contributive eccedenti i 40 anni di contributi (superando il concetto di massima anzianità contributiva); dall'altro l'istituto indica che possono essere valorizzati tutti i periodi lavorativi accreditati compresi quelli eventualmente maturati dalla data di conseguimento del diritto a quella di effettiva corresponsione della pensione.

Insomma per confrontare l'importo dell'assegno in essere si utilizzerà un calcolo retributivo diverso da quello in vigore fino al 31 dicembre 2011 e piu' favorevole potendosi derogare al limite massimo di anzianità contributiva valorizzabile. Rimarranno invece inalterati i criteri per la determinazione della retribuzione pensionabile e delle aliquote di rendimento per la generalità dei lavoratori che com'è noto decrescono al crescere dell’importo della stessa retribuzione pensionabile.

L'Inps, come indicato, metterà in pagamento l’importo minore determinato dal raffronto fra i due sistemi di calcolo.

Gli effetti - I lavoratori maggiormente colpiti dall'innovazione, cioè quelli per i quali l'importo del trattamento determinato attraverso il secondo sistema di calcolo è inferiore a quello attualmente vigente, sono coloro che cessano con un'anzianità anagrafica superiore all'età prevista per la pensione di vecchiaia (cioè oltre i 66 anni e 3 mesi) e con retribuzioni medie superiori a circa 46mila euro annui, cioè superiori al tetto pensionabile vigente nel sistema retributivo. 

Costoro, infatti, non avendo nessun massimale sulle retribuzioni, riescono a valorizzare, con il sistema contributivo, l'intera cifra sulla terza quota di pensione (quota C) ottenendo, quindi una prestazione superiore a quella determinata con il secondo sistema di calcolo grazie anche all'attivazione di coefficienti di trasformazione piu' succulenti perchè calcolati sino al 70° anno di età.

Il perimetro di applicazione del taglio risulta quindi interessare potenzialmente soprattutto i professori universitari, i dirigenti, i medici, i magistrati e alti funzionari delle forze militari o dello stato (i cd. grand commis) che com'è noto possono restare in servizio sino a 70-75 anni sfruttando retribuzioni medie lorde ben superiori ai 100mila euro; mentre non dovrebbero sussistere effetti negativi per i lavoratori con retribuzioni medio-basse che magari si trattengono oltre il 40° anno di versamenti sul posto di lavoro. Cio' in virtu' proprio del superamento del concetto di massima anzianità contributiva che, altrimenti, avrebbe costituito un ulteriore limite alla crescita degli assegni nel sistema retributivo determinando la spiacevole conseguenza di travolgere anche gli assegni di importi bassi.

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L’idea di introdurre un criterio di flessibilita’ nel sistema pensionistico si fa sempre piu’ strada: oltre a Poletti e Boeri abbiamo le dichiarazioni di Gutgeld, consigliere economico di Renzi, e dell’ex ministro Fornero, che hanno sostenuto che si puo’ ‘rendere l’eta’ pensionabile piu’ flessibile, a condizione che chi si ritira prima prenda di meno’”. Kamsin Lo dichiara in una nota Cesare Damiano, Presidente della Commissione Lavoro alla Camera. “Sul merito – prosegue – possiamo avere delle differenze, ma non c’e’ dubbio che l’idea della flessibilita’ e’ quella giusta. In Commissione lavoro della Camera è ripresa la discussione sulle correzioni al sistema pensionistico e decideremo di avere in audizione, accanto alle parti sociali, anche il ministro del Lavoro ed il Presidente dell’INPS”.

“Sul tavolo – prosegue Damiano – c’e’ la proposta del PD: poter scegliere di andare in pensione a partire dai 62 anni con 35 anni di contributi e con una penalizzazione massima dell’8%. Il Governo si confronti e non si fermi di fronte a due prevedibili ostacoli: il primo, e’ quello delle risorse che, a nostro avviso,  possono essere stornate dalla montagna di risparmi miliardari che registriamo dal 2012, ben oltre le previsioni della stessa Ragioneria. Il secondo, e’ l’ostilita’ della Unione Europea che pretende sempre di dettare legge quando si tratta di pensioni (da tagliare) e di licenziamenti (da rendere piu’ facili), alla quale va detto con chiarezza che le correzioni che noi proponiamo non mettono in discussione l’impianto della “riforma”. Si tratta, invece, di un intervento di giustizia sociale che puo’ aprire, con l’incremento del turnover, l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro” conclude il deputato PD.

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