Pensioni

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L'Inps ha aggiornato il report delle procedure di monitoraggio dei lavoratori cd. salvaguardati in base ai sei provvedimenti. Sono quasi 100mila le pensioni certificate su un totale di oltre 170 mila posizioni disponibili.

Kamsin Sono 2.814 le pensioni certificate nell'ambito della quinta salvaguardia ed oltre 5800 quelle relative alla quarta salvaguardia. Sono questi, in sintesi, i dati diffusi dall'Inps nel report aggiornato al 27 Ottobre 2014 sulle operazioni di salvaguardia che l'istituto di previdenza sta effettuando. 

Dal report emerge che con riferimento alla prima salvaguardia sono state certificate 64.374 posizioni (a fronte di una capienza di 65mila posti) e che sono state liquidate 41.060 prestazioni.

Numeri ancora relativamente bassi permangono riguardano la seconda salvaguardia: le pensioni certificate sono state solo 16.920 e sono state liquidate 7.514 posizioni su una capienza complessiva di ben 35mila posti (effetto della riduzione disposta con la recente legge 147/2014 che ha tagliato di 20mila posti il contingente originariamente previsto per questa salvaguardia). Si tratta, com'è noto, di lavoratori coinvolti in accordi per la gestione di eccedenze occupazionali con l'utilizzo di ammortizzatori sociali sulla base di accordi stipulati in sede governativa entro il 2011.

Crescono anche le pensioni certificate nell'ambito della terza salvaguardia che conta un numero complessivo di 16.130 soggetti salvaguardabili. L'Inps ha certificato 7.344 pensioni e ne ha liquidate 5.102. Si è in pratica poco sotto la metà, ma in questo caso si deve tener conto che con la legge di Stabilità 2014, il plafond è stato aumentato di 6mila unità a favore dei prosecutori volontari.

Alcune difficoltà emergono invece della quarta salvaguardia, su 5mila posizioni disponibili (effetto anch'essa di una riduzione di 4mila unità disposta con la legge 147/2014), l'Inps ha certificato 5.815 pensioni, un numero superiore al plafond disponibile per legge. Nell'ambito, infatti, dei lavoratori che hanno fruito dei permessi della legge 104/92 per assistere disabili l'Inps ha certificato oltre 4.800 aventi diritto a fronte di soli 2.500 posti disponibili.

Nella quinta salvaguardia, invece, sono state certificate 2.814 prestazioni e liquidate 1.499 pensioni a fronte di 23mila posti disponibili

Zedde

E' stato respinto nella seduta di ieri l'emendamento di Sel che chiedeva l'estensione del regime sperimentale donna per tutto il 2015.

Kamsin Non è passato ieri in Commissione Bilancio alla Camera dei deputati l'emendamento proposto da Marisa Nicchi, Sel (11.08) che mirava ad ottenere l'estensione dell'opzione donna per tutto il 2015.

La proposta emendativa si riferiva al regime sperimentale donna in base al quale le lavoratrici possono andare in pensione con 57 anni di età, 58 per le lavoratrici autonome, e 35 anni di contributi. L'opzione, com'è noto, può essere esercitata per legge sino al 31 dicembre 2015, ma la circolare dell'INPS n. 35 del 2012 impedisce di fatto tale esercizio, includendo i periodi di incremento previsti dalle finestre e dall'aumento dell'aspettativa di vita; l'emendamento si proponeva, pertanto, di consentire alle donne di esercitare l'opzione fino alla fine del periodo previsto dalla legge.

Nel corso dell'esame anche la deputata Marialuisa Gnecchi (Pd) ha chiesto al Governo di intervenire sulla Circolare 35 dell'Inps che di fatto riduce il periodo durante il quale è possibile l'esercizio dell'opzione, evidenziando che, in caso contrario le donne interessate non possono andare in pensione prima dei 66 anni di età. Ma l'emendamento, messo ai voti, è stato respinto stante la contrarietà del Viceministro dell'Economia Enrico Morando.

Sono state per ora accantonate, invece, le altre proposte emendative in materia di quota 96 della scuola, sterilizzazione della penalizzazione per i lavoratori precoci; accantonato anche l'emendamento 12.06 a firma Giorgio Airaudo (Sel) che chiedeva l'anticipo del pensionamento dei ferrovieri.  L'accantonamento significa che gli emendamenti non sono stati votati, cioè non approvati nè respinti, in quanto si sono resi necessari ulteriori approfondimenti ed eventuali riformulazioni.

L'esame della Commissione Bilancio sulle proposte emendative dovrebbe concludersi entro  mercoledì, per consentire l'approdo in Aula del provvedimento dal 27 Novembre.

Saranno probabilmente approvate in Senato le modifiche in materia di previdenza complementare e sui tagli ai patronati. Su questi temi l'apertura del Governo è piu' netta e si attende quindi la presentazione di un emendamento governativo.

Zedde

Al pensionato va comunque lasciato un importo minimo la cui individuazione è affidata al giudice dell'esecuzione. La parte eccedente l'importo minimo può essere trattenuta nei limiti di un quinto.

Kamsin La parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è impignorabile. È quanto ha confermato la Corte di Cassazione con la Sentenza 24536/2014 depositata lo scorso 18 novembre. La Corte, riprendendo l'orientamento del 2012 della Consulta, ha ritenuto pignorabile la pensione nei limiti di un quinto della parte eccedente a garantire un minimo di sussistenza dignitoso al pensionato.

Il limite alla pignorabilità, osserva la Cassazione, è individuato dall'articolo 38 della Carta fondamentale che prevede che ai lavoratori siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Con la pronuncia viene pertanto ribadito "che le pensioni dell’assicurazione generale obbligatoria possono essere pignorate nella misura di un quinto per ogni credito, fatto salvo il limite necessario per assicurare le esigenze minime di vita del pensionato che dovrà essere stabilito dal legislatore". Tuttavia, "stante la persistente inerzia del legislatore nella concreta individuazione della parte di pensione idonea ad assicurare i mezzi adeguati esigenze di vita del pensionato, tale indagine deve essere affidata, inevitabilmente, al giudice dell'esecuzione" osserva la Corte.

La decisione pare, dunque, sconfessare quell'orientamento emerso in alcuni Tribunali che ancorava il reddito pensionistico minimo non pignorabile nella misura di 500 euro al mese (desunto dalla Finanziaria del 2002), limite che esprimerebbe una specie di presunzione legale circa l'individuazione del reddito minimo indispensabile per sostenere le ordinarie incombenze quotidiane. 

Stante il silenzio del legislatore, osservano gli ermellini, la parte di reddito minimo non pignorabile non è individuabile in quanto non è stabilito da alcuna norma di legge e, pertanto, la decisione al riguardo sarà di esclusiva competenza del giudice dell'esecuzione.

Zedde

Attesa per la decisione del Viceministro dell'Economia Enrico Morando sui quota 96 della scuola e gli altri temi previdenziali. Intanto cambia il Bonus Bebè: sarà ancorato all'Isee.

Kamsin E' ripreso stamani l'esame in Commissione Bilancio alla Camera dei Deputati l'esame degli emendamenti in materia previdenziale segnalati dalle forze politiche al Governo. L'esame dovrebbe concludersi entro lunedì o martedì, per consentire l'approdo in Aula del provvedimento dal 27 Novembre.

All'esame della Commissione c'è il tema della proroga dell'opzione donna (emendamento proposto da Sel); la vicenda dei quota 96 della scuola (ieri è stato respinto un emendamento della Lega Nord ma il Governo si è detto disponibile a valutare le altre proposte emendative in materia); i lavoratori precoci (sui quali la proposta di modifica 11.16 a firma Damiano e Gnecchi chiede lo stop alla penalizzazione per tutti i lavoratori sino al 2017); l'estensione dei benefici per i ferrovieri ed un ulteriore provvedimento in materia di esodati (con la richiesta di salvaguardare anche coloro che beneficiano del trattamento edile). Sugli emendamenti tuttavia c'è sempre il rischio del parere contrario del Governo.

Saranno probabilmente approvate in Senato le modifiche in materia di previdenza complementare e sui tagli ai patronati. Su questi temi l'apertura del Governo è piu' netta e si attende quindi la presentazione di un emendamento governativo.

Ieri, invece, è passato l'emendamento sul bonus bebè. Il nuovo bonus sarà legato all'indicatore Isee: 80 euro al mese per le famiglie con un indicatore fino a 25.000 euro all'anno, che arriva a 160 euro se l'indicatore si ferma sotto 7.000 euro. Il tetto dei 90 mila euro di reddito annuo della famiglia che il prossimo anno avrà un figlio, fissato dalla norma contenuta dalla legge di stabilità per poter percepire il bonus, viene quindi sostituito con l'Isee. La proposta di modifica presentata dal relatore stabilisce che gli 80 euro potranno essere assegnati «a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione economica equivalente non superiore a 25.000 euro annui». Qualora il nucleo familiare sia in una condizione corrispondente a un valore Isee non superiore a 7.000 euro annui l'importo dell'assegno è raddoppiato».

Zedde

Per le pensioni serve qualche forma di flessibilità in uscita. Tiziano Treu, commissario straordinario dell'Inps e probabilmente prossimo presidente rilancia il dibattito sul futuro della riforma Fornero.

Kamsin Il Commissario Straordinario dell'Inps, Tiziano Treu, ha rilanciato ieri l'opportunità di un intervento di "ampio respiro" sulla Riforma Fornero. Sino ad oggi sono stati approvati, infatti, solo interventi tampone volti a contenere le emergenze piu' gravi (in primis per gli esodati, coloro che erano rimasti senza lavoro già all'epoca della Riforma del 2011, ed in parte per i lavoratori precoci);   ora però, complice anche il referendum popolare promosso dalla Lega Nord (ed all'esame della Corte costituzionale) gli animi si riaccendono. Treu ha chiarito che le novità non arriveranno con questa legge di Stabilità, ma il tema sarà «uno degli impegni dell'anno prossimo»: lo stesso istituto previdenziale farà delle proposte.

Secondo Treu, "quello della flessibilità è l'obiettivo ma in che misura riusciremo a raggiungerlo dipenderà anche dai conti: la flessibilità massima costa tantissimo". Sulle possibilità per quanto riguarda le risorse necessarie all'intervento, Treu ha ricordato che ci sono diverse opzioni sul tavolo del Ministero del Lavoro tra chi potrebbe pagare l'introduzione della flessibilità, ovvero la possibilità che si esca prima della data di vecchiaia, fissata attualmente a 66 anni e 3 mesi oppure della data per la pensione anticipata per la quale sono richiesti, attualmente 41 anni e 6 mesi di contributi (42 anni e 6 mesi per gli uomini).

Per quanto riguarda il referendum costituzionale contro la Riforma Fornero, il commissario ricorda che "sta seguendo il suo iter, ma mi pare che gli ultimi referendum approvati risalgono a vent'anni fa.."

Le proposte in materia sono molteplici e sono tutte accomunate dall'introduzione di una decurtazione dell'assegno con la prospettiva, però, di ottenerlo con l'anticipo di alcuni anni rispetto alle regole attuali. L'ipotesi quindi sarebbe quella di aggiungere un ulteriore canale di uscita (rispetto a quelli previsti attualmente), opzionale e quindi a discrezione dei lavoratori.

Vale la pena di ricordare che uno strumento simile, nella legislazione vigente, già esiste e concede la possibilità alle sole lavoratrici con almeno 57 anni di età e 35 di contributi di andare in pensione subito ma con un assegno calcolato con il sistema contributivo, dunque molto piu' leggero rispetto alle regole standard: si stima un taglio di almeno il 25% sulla rendita previdenziale. Ebbene, nonostante una decurtazione così significativa dell'assegno, in questi ultimi due anni c'è stato un boom di domande, numeri che dimostrano la disperazione di migliaia di lavoratrici che sono costrette, soprattutto per la mancanza di lavoro, ad accettare la riduzione pur agguantare un reddito che altrimenti arriverebbe dopo oltre 6-7 anni. Questa possibilità, la cd. opzione donna, terminerà il 31 Dicembre del 2015.

Viene da chiedersi ma se non si trovano i fondi per prorogare oltre il 2015 un regime così "penalizzante", che nel lungo periodo è comunque vantaggioso per le Casse dello Stato, come si troveranno i denari per le altre proposte, piu' soft, che pur circolano sui tavoli del Ministero del Lavoro?

Zedde

La parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Istruzione della Camera, chiede chiarimenti al Governo con un’interrogazione sulla questione “Quota 96 scuola”.

Kamsin Dopo la sentenza del Tribunale di Salerno che ha riconosciuto a 42 professori del cd. "movimento quota 96", la possibilità di andare in pensione in deroga alla Riforma Fornero del 2011, la deputata Manuela Ghizzoni, che già si era battuta piu' volte in passato per la vicenda, presenta una interrogazione parlamentare al ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Lo ha annunciato la stessa deputata dal suo blog ricordando che "se su questa vertenza si lascia la parola ai vari Tribunali, il rischio è che lo Stato perda credibilità e 4mila lavoratori la parità di diritto e trattamento".

La vicenda, è nota da tempo, e riguarda i circa 4mila lavoratori del comparto scuola, tra docenti e personale ATA, che pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, sono rimasti sul posto di lavoro. "Dal gennaio 2012 - ricorda la deputata - sul pensionamento del personale “Quota96″ sono intervenuti diversi gruppi parlamentari con atti, proposte di legge ed emendamenti  che non hanno conseguito esito positivo, poiché i diversi Governi che si sono succeduti non hanno voluto trovare una soluzione, a partire dalle coperture finanziarie. Ora la vicenda è passata nelle mani dei Tribunali e ancora una volta gli organi giudiziari decidono al posto di quelli legislativi.

La giustizia però, nell’incertezza della materia e in mancanza di un dettato governativo, sta rispondendo con sentenze diverse e spesso opposte, creando una disparità di trattamento tra lavoratori con gli stessi diritti al pensionamento, ai quali viene così negata sia una risposta politica che un giusto processo”.

Da qui la richiesta di un chiarimento governativo. Di seguito pubblichiamo il testo dell'interrogazione:

Zedde

Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro della Funzione pubblica, per sapere –

premesso che:

la riforma pensionistica nota come riforma Fornero, introdotta dal decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, non ha tenuto conto della specificità del comparto scuola nel quale, l’accesso al pensionamento è concesso un solo giorno all’anno, il 1 settembre, in considerazione della continuità didattica che deve essere garantita agli studenti;

più specificatamente, l’articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 351 del 1998, vincola la cessazione del servizio nel comparto scuola «all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata»; al contempo, l’articolo 59 della legge n. 449 del 1997, tuttora vigente, dispone che per “il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione del servizio ha effetto dall’inizio dell’anno scolastico e accademico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno”. Inoltre, a normativa Fornero vigente, anche nella circolare n. 2 dell’8.3.2012 del dipartimento Funzione Pubblica al punto 6) si fa riferimento alla particolarità del comparto scuola, affermando espressamente che rimane ferma la vigenza degli specifici termini di cessazione dal servizio stabiliti in relazione all’inizio dell’anno scolastico per le esigenze di servizio;

l’assenza di una disposizione riferita alla specificità della scuola nella riforma Fornero, che non era mai mancata nella normativa pensionistica precedente, ha prodotto effetti negativi su circa 4.000 lavoratori del comparto scuola, tra docenti e personale ATA – noti come “Quota96Scuola” – che avrebbero maturato i requisiti per il pensionamento nel corso dell’a. s. 2011/2012 e che avrebbero quindi avuto diritto alla quiescenza a far data dal 1 settembre 2012, ma che invece sono rimasti e restano in servizio;

considerato che:

dal gennaio 2012 sul pensionamento di questo personale sono intervenuti diversi gruppi parlamentari con atti di sindacato ispettivo, proposte di legge ed emendamenti a testi in esame delle Camere che però non hanno conseguito esito positivo, poiché i diversi governi, succedutisi nel frattempo, non hanno convenuto sulle coperture finanziarie individuate dai parlamentari per dare soluzione alla questione;

preso atto che:

con la sentenza numero 31595 del 3 novembre 2014, il giudice del lavoro del Tribunale di Salerno, dr.ssa Ippolita Laudati, ha accolto il ricorso di 42 docenti salernitani appartenenti alla suddetta platea dei “Quota96Scuola”, accertando e dichiarando “il diritto dei ricorrenti tutti ad esser collocati in quiescenza alla data dell’1.9.2012″. Nella sentenza, il giudice fonda il proprio pronunciamento proprio sulla richiamata specificità della scuola “laddove il DPR n. 358/98 stabilisce una sfasatura tra data di maturazione del diritto e data di collocamento a riposo che coincide con la fine dell’anno scolastico, ossia il 31.8.2012 nel caso di specie”. Al contempo egli ravvede una incongruenza insita nella citata circolare n. 2 dell’8.3.2012 del dipartimento della Funzione Pubblica che “non sembra invece preoccuparsi dei problemi relativi ad eventuali sfasature temporali tra il momento in cui si verificano i fatti costitutivi del diritto (età-anzianità contributiva) ed il termine dal quale si può far valere tale diritto (cessando di fatto la prestazione lavorativa). La circolare della quale si sta discorrendo distingue la data di maturazione del diritto dai termini di cessazione dei servizio, ossia distingue i fatti costitutivi del diritto a pensione dai momento afferente la decorrenza. Dunque, se la legge nuova non si occupa della decorrenza, avendo presente come discrimen il momento di maturazione dei requisiti di età/anzianità, il termine di decorrenza è regolato dalla vecchia normativa… Poiché per evitare un disservizio e garantire la continuità didattica al docente viene “imposto” di continuare a lavorare fino al 31.8.2012, appare irragionevole che proprio in forza di questa esigenza egli subisca gli effetti (negativi o positivi poco importa) di leggi successive che modificato il suo diritto già acquisito e non ancora esercitato”;

ad analoghe considerazioni era giunto nel 2012 il giudice dr.ssa Baroncini del Tribunale di Roma, collocando in quiescenza due docenti in deroga alla vigente riforma Fornero, senza che il M.I.U.R. proponesse specifico ricorso in appello;

altri giudici del Lavoro si sono espressi differentemente da quelli di Roma e Salerno: in taluni casi hanno respinto la richiesta dei ricorrenti; in altri si sono dichiarati incompetenti per materia e hanno rinviato alla Corte dei Conti; in altri, ancora, hanno rinviato alla Corte Costituzionale per eventuali profili di incostituzionalità. La detta Corte si è espressa sull’inammissibilità del ricorso per la sua formulazione: conseguentemente, due ricorsi sono stati ripresentati (da parte dei tribunali di Siena e Ragusa) e sono in attesa di sentenza della Corte stessa. Si ricorda, inoltre, che inizialmente era stato presentato ricorso anche al Tar del Lazio e che anch’esso aveva dichiarato la sua incompetenza, dando così inizio alla serie di rinvii alle varie giurisdizioni – a cui si è fatto accenno – che di fatto, dopo tre anni, privano dei cittadini anche del diritto della certezza di una sentenza, positiva o negativa che sia;

valutato che:

le sentenze di Roma e Salerno sanciscono liceità, correttezza, validità e fondatezza della aspettativa del personale della scuola denominato “Quota96Scuola” che, in presenza di requisiti economici, professionali, giuridici ed anagrafici identici e speculari a quelli dei colleghi mandati in pensione dal giudice del lavoro ritengono di dover ottenere una estensione degli effetti delle sentenze richiamate;

l’incertezza nell’individuazione del giudice naturale così come l’eccessiva alternanza di sentenze opposte tra loro e la collocazione in pensione da tre anni di due docenti in esecuzione di sentenza, nonché  la mancata approvazione di una soluzione politica – attesa da tre anni ma mai conseguita nonostante le iniziative parlamentari e i pronunciamenti dei diversi governi in favore di una risoluzione alla questione – esprimono una situazione di grave pregiudizio al diritto dei cittadini di avere un “giusto processo”, testimoniando una disparità di trattamento tra lavoratori con identici titoli e medesimi diritti al pensionamento, ed accentuano il senso di distacco dalle Istituzioni, le quali creano aspettative senza poi assumere adeguate decisioni in merito;

riconoscere e garantire la specificità della scuola in relazione ai requisiti per il pensionamento come descritto in premessa, consentirebbe di incrementare le immissioni in ruolo di personale giovane, riducendo il precariato e contrastando un’anomalia propria dell’Italia, che risulta essere il Paese dell’Unione europea con la percentuale più alta di insegnanti ultra cinquantenni e quella più bassa di insegnanti al di sotto dei 30 anni;

la “finestra fissa” per il pensionamento dei lavoratori della scuola è stata dettata dalla salvaguardia della qualità e continuità del servizio scolastico e per questo non un privilegio di pochi ma un esigenza legata ad un bene comune: l’istruzione dei nostri alunni;

uno Stato che si dica affidabile e credibile agli occhi dei cittadini non può non provvedere alla correzione di errori che pesano sulla vita delle persone. –

quali iniziative o atti il Governo intenda assumere – concretamente e con la sollecitudine dovuta dopo tre anni di attesa – in ordine ai lavoratori della scuola della cosiddetta «quota 96», per risolvere le problematiche interpretative e applicative della riforma Fornero e per sanare la diseguaglianza di trattamento generata dalle sentenze di Roma, che hanno concesso il pensionamento già a due docenti – mentre quella di Salerno, se passasse in giudicato, lo concederebbe ad altri 42 ricorrenti – al fine di non creare ulteriore pregiudizio al principio di uguaglianza nel diritto nonché alla dignità umana e professionale dei lavoratori coinvolti.

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