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Le aziende che fanno un massiccio ricorso alla cassa integrazione dovranno pagare l'anno successivo un contributo più alto. Oggi la cassa integrazione è finanziata anche con un contributo fisso a carico delle aziende. Il decreto attuativo dei Jobs act renderà mobile la soglia.

Kamsin Le aziende che faranno ricorso alla cassa integrazione pagheranno un contributo piu' elevato. Una sorta di bonus-malus, un criterio ben noto nelle assicurazioni auto. La novità sarà inserita nel quarto decreto attuativo del Jobs act, la riforma del mercato del lavoro, che dovrebbe arrivare il 20 febbraio sul tavolo del consiglio dei ministri, insieme a quello che ridurrà il numero dei contratti precari. «Il nostro obiettivo è cambiare la cassa integrazione, renderla sostenibile per evitarne la cancellazione», dice Filippo Taddei, il responsabile economia del Pd. Oggi la cassa integrazione è finanziata anche con un contributo fisso a carico delle imprese: il 2,9% del monte salari per quelle con meno di 50 dipendenti, il 3,2% per quelle che superano tale soglia.

Il decreto attuativo renderà mobile quella soglia: la forchetta non è stata ancora definita, possibile che si vada da un minimo del 2% ad un massimo del 4%. Tuttavia il principio è chiaro: le aziende che fanno un massiccio ricorso alla cassa integrazione pagheranno un contributo più alto mentre quelle che la usa meno dovranno versare una percentuale più bassa.

In altri termini il bonus malus rappresenterebbe un freno agli abusi e un premio a chi rispetta le regole, magari versando quel 3% senza mai vederlo tornare indietro. Oltre alla misura Taddei conferma che ci sarà anche una stretta sul monitoraggio delle richieste. Un monitoraggio diverso, concentrato sulla cosiddetta stagionalità: «Se anno dopo anno - spiega Taddei -  si vede che la stessa azienda presenta le stesse richieste nello stesso periodo dell'anno, vuol dire che c'è qualcosa che non va. Forse dietro non c'è una crisi aziendale, con il doveroso intervento a sostegno da parte dello Stato, ma solo un'impresa che sta ottimizzando il ciclo produttivo, utilizzando i contributi pubblici e delle altre imprese».

C'è poi una terza novità nel decreto allo studio del governo: la cancellazione della cassa integrazione a zero ore, in cui i lavoratori che prendono il sussidio non lavorano. Nei primi dieci mesi dell'anno scorso sono stati 540 mila. «Anche questo - conclude Taddei -  è un uso distorto degli ammortizzatori sociali. Questa strada sarà percorribile solo in caso di vera e propria riconversione industriale, cioè quando si, passa a una produzione diversa, rendendo necessario lo stop agli impianti e la riqualificazione dei dipendenti».

Intanto, secondo i dati della Cgil, le ore di cassa integrazione richieste sono diminuite del 6% nel 2014, ma nonostante ciò il bilancio resta pesante: le ore autorizzate restano infatti abbondantemente sopra il miliardo (1,1 per la precisione) con una perdita di reddito complessiva pari a circa 4,3 miliardi. In pratica si sono perse ore di lavoro per 530.000 lavoratori equivalenti a tempo pieno, pari a un taglio in busta paga di 8.000 euro a testa. La Cgil segnala che il 2014 è il terzo peggior anno dal 2008, e porta il totale delle ore autorizzate in sette anni a 6,6 miliardi. L'anno scorso sono esplose soprattutto le richieste di cassa straordinaria (+18,4%) che nell'anno ha rappresentato il 60% delle richieste totali, mentre per la cassa ordinaria le richieste sono diminuite del 30% e per la cassa in deroga del 19%. «Con questi dati e una crescita pari allo zero - dice il segretario confederale Serena Sorrentino - ridimensionare gli ammortizzatori sociali, come contenuto nel Jobs act, sembra una follia».

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I Giudici dichiarano illegittima la riforma dell'Isee nella parte nella quale considera nel reddito disponibile anche le pensioni legate a situazioni di disabilità e le indennità di accompagnamento.

Kamsin Il Tar del Lazio ha giudicato illegittima la riforma dell'Isee nella parte nella quale considera nel reddito disponibile anche le pensioni legate a situazioni di disabilità e le indennità di accompagnamento. Così ha stabilito il Tribunale amministrativo a seguito di un ricorso presentato dall'Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva (Utim) e dall'Associazione promozione sociale (Anmil) riguardante l'articolo 4, comma 2, lettera f) del Dpcm 159/2014 con cui si è attuata la revisione dell'Isee.

Com'è noto l'indicatore della situazione economica equivalente è uno strumento che serve per valutare la ricchezza di un nucleo familiare al fine di avere accesso a condizioni agevolate a determinati servizi, quali per esempio mense scolastiche e asili prevista dal decreto legge 201/2011. L'articolo 5 del Dl ha stabilito che ai fini Isee si deve adottare una definizione di reddito disponibile che include «le percezioni di somme, anche se esenti da imposizione fiscale...valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero». L'obiettivo di questa disposizione, secondo i giudici, è correggere gli errori del passato per cui risultavano privi di reddito persone che non avevano risorse sottoponibili a dichiarazione Irpef, ma che in realtà non erano tali.

E' il caso, per esempio, delle pensioni estere non tassate in Italia, dei redditi prodotti e tassati all'estero, dell'assegno di mantenimento di figli percepito dal coniuge divorziato. Il Dpcm, invece, include nel reddito disponibile anche i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese carte di debito a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche. Ebbene, secondo il Tar Lazio questa definizione, ricomprende, senza motivo, «gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazione di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni Inps alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo riconosciuti ai sensi delle legge 210/92 e 229/05».

Tali importi, invece, non possono essere considerati reddito e le deduzioni e detrazioni previste dal Dpcm per i disabili non sono sufficienti perché non tengono conto «dell'effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non a introdurre specifiche detrazioni e franchige su un concetto di reddito allargato».

"È con soddisfazione - dice l'Anmil -  che apprendiamo la notizia dell'accoglimento da parte del Tar del Lazio del ricorso presentato dai familiari dei disabili contro la riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) entrata in vigore a inizio 2015, che ha introdotto un nuovo meccanismo di calcolo del reddito per l'accesso ad aiuti e a prestazioni sociali agevolate, sfavorevole per le persone con disabilità più gravi".

Una pronuncia, quella del Tar, - conclude il comunicato - pienamente in linea con quanto denunciato dall'Anmil già nelle prime fasi di elaborazione del regolamento. Auspichiamo che ora il Governo prenda atto al più presto di questa importante pronuncia, risolvendo una questione che tutto il mondo della disabilità sta vivendo come una inaccettabile e ingiusta aggressione dei propri diritti".

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Il presidente della Commissione Lavoro della Camera chiede intanto un rapido intervento sull'opzione donna con la rimozione delle due Circolari Inps del 2012.

Kamsin "Aprire un tavolo di confronto serio sulla flessibilità in uscita, esodati e ricongiunzioni onerose dopo il 20 Febbraio." E' quanto torna a chiedere l'ex-ministro del lavoro e attuale presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. "Il Ministro Poletti ha dichiarato che dopo il Jobs Act ci sarà spazio per un confronto, una riflessione seria, per una revisione dell'età pensionabile.

Accogliamo con positività l'apertura del Ministro ma nel frattempo che si decide su come ritoccare la legge Fornero sarebbe utile che il Ministero del Lavoro rimuova quelle restrizioni che impediscono alle lavoratrici di accedere all'opzione donna nel 2015, una interpretazione illegittima imposta dall'Inps nel 2012 in accordo però con i titolari del Lavoro e dell'Economia dell'epoca" ha ricordato Damiano. "Sarebbe un ulteriore segnale che il Governo, dopo lo stop alla penalizzazione approvato con la legge di stabilità 2015, si interessa ai problemi concreti dei lavoratori". 

Tornando ai correttivi alla Legge Fornero Damiano ricorda come sia necessario rivedere il meccanismo degli adeguamenti alla speranza di vita. "L'articolo 12 del Decreto Legge 78 del 2010 ha applicato la speranza di vita in modo selvaggio verso tutti i lavoratori nell'AGO e nelle forme sostitutive ed esclusive senza tener conto delle specifiche esigenze di ciascun comparto". E' evidente però che non tutti i lavori sono uguali e quindi è necessario calibrare gli adeguamenti in funzione del tipo di attività svolta. E' una questione di giustizia sociale". 

Quanto alla flessibilità in uscita le proposte avanzate da Damiano sono note da tempo. La minoranza Dem suggerisce due proposte, alternative, l'una all'altra per anticipare le uscite: l’introduzione di un criterio di flessibilita’ a partire dai 62 anni di eta’ con 35 di contributi per consentire l’accesso alla pensione con una piccola penalità sulle quote retributive dell'assegno, oppure l’adozione della “Quota 100″.

"Si tratta di proposte che hanno un costo piu' elevato rispetto ad altre ipotesi ventilate dai quotidiani le quali - a nostro avviso - rischiano però di essere solo dei "palliativi" sostiene Damiano. L'obiettivo deve essere piuttosto quello di ristabilire un meccanismo di gradualità semplice da comprendere per i lavoratori come accadeva con le quote della pensione di anzianità sino al 2011. In questo contesto le nostre due proposte sostenute dai dem appaiono "strutturali, robuste e solide" precisa Damiano.

"Deve comunque restare ferma la possibilità di accedere alla pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, con 41 anni di contributi (sia per uomini che per donne, ndr) e senza l'applicazione di penalizzazioni, perchè chi ha lavorato una vita intera non deve vedersi ridursi l'assegno".

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Chi ha ricevuto conferma dall'Inps di poter accedere alla salvaguardia deve presentare domanda di pensione entro la data di decorrenza indicata dall'Inps.

Kamsin Non presentare domanda di pensione dopo aver ricevuto la certificazione di poter fruire della salvaguardia espone al rischio di perdere il diritto al beneficio di ottenere la pensione con le vecchie regole pensionistiche. E' quanto ha indicato il messaggio inps 9305/2014 con riferimento a quei lavoratori che hanno avuto il via libera definitivo dall'Inps ad andare in pensione con le regole ante-fornero.

"I soggetti in possesso della lettera certificativa possono presentare la domanda di pensione in salvaguardia in qualsiasi momento successivo all’apertura della finestra al pari di tutti gli altri assicurati. In tali casi, tuttavia, qualora alla data di presentazione della domanda di pensione in salvaguardia risulti raggiunta la copertura finanziaria prevista dalla legge per ciascuna categoria di lavoratori salvaguardati, la domanda stessa dovrà essere respinta”.

La vicenda. La questione era nata da diverse interrogazioni poste agli uffici territoriali dell'Inps volte a comprendere se, dopo la ricezione della certificazione, fosse possibile ritardare la presentazione della domanda di pensione anche di diversi mesi al fine di conseguire un assegno piu' elevato. Secondo l’Inps, invece , il lavoratore che non rispetta la prima decorrenza utile della pensione in salvaguardia si assume il rischio di non avere poi diritto a pensione sulla base dei requisiti previsti per i salvaguardati.

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Zedde

I medici che accertano la morte di un pensionato devono darne notizia all'Inps entro 48 ore dalla data del decesso pena una sanzione fino a 300 euro.

Kasmin L'Inps avvia una nuova stretta contro una forma di truffa particolarmente macabra, quella attuata da coloro che nascondono la morte di un familiare per continuare a percepire la pensione. Grazie alle nuove disposizioni contenute nella legge di Stabilità per il 2015 (legge 190/2014), che stanno per entrare in vigore, i margini di azione per i furbi si riducono notevolmente.

L'istututo ha pubblicato, infatti, la scorsa settimana la Circolare 33/2015 con la quale ricorda che i medici che accertano la morte di un pensionato devono darne comunicazione all'Inps entro 48 ore, pena una sanzione tra i 100 e i 300 euro. In particolare, per i medici necroscopi c'è l'obbligo di invio telematico all'Inps del certificato di accertamento del decesso entro 48 ore dall'evento con le stesse modalità per la trasmissione delle certificazioni di malattia online.

Dalla data del decesso, le prestazioni in denaro già erogate al pensionato da parte dell’INPS si intendono corrisposte con riserva, ai fini della verifica del diritto.

Gli Uffici pagatori (Banche e Poste), sui cui conti correnti tali somme sono accreditate, sono tenuti: 1) a restituire prontamente all’Istituto le somme corrisposte con riserva, nel caso in cui si accertasse che il beneficiario non ne avesse avuto diritto; 2) a fornire all’INPS le generalità del soggetto che ha disposto di tali somme, in caso di impossibilità sopravvenuta ad effettuare la restituzione.

La normativa è volta a correggere il ritardo dell'anagrafe nella comunicazione del decesso, ritardo che poteva arrivare anche ad alcune settimane, permettendo agli interessati di percepire comunque una o due rate di pensione non dovuta.

Al di là dell'aspetto penale, il fenomeno  sebbene ridotto negli ultimi anni, comporta una perdita per l'Inps di alcuni milioni l'anno, somme che dovrebbero essere gradualmente recuperate grazie alle nuove procedure. 

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