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Dal nuovo regime forfettario sarà possibile dedurre totalmente solo i contributi previdenziali versati nell'anno in cui si applica il regime. 

Kamsin Il nuovo regime forfettario introdotto dalla legge di stabilità 2015 prevede il pagamento di un'imposta del 15% che sostituisce l'irpef, le addizionali regionale e comunale e l'Irap. Ma soprattutto esonera il contribuente da molti adempimenti amministrativi particolarmente insidiosi, come la compilazione del modello degli studi di settore, la dichiarazione Iva e naturalmente la dichiarazione Irap. Chi si avvale infatti del nuovo regime non applica l'Iva sulle proprie prestazioni, siano esse cessioni di beni o prestazioni di servizi, e di conseguenza non detrae l'Iva sugli acquisti (niente diritto alla rivalsa e alla detrazione).

Da considerare anche che il nuovo regime esonera anche dall'essere soggetti alle ritenute d'acconto. Questo significa che la fattura fatta da un professionista per motivi inerenti l'attività economica al contribuente che applica il nuovo regime sarà scevra da ritenuta d'acconto. Non rivestendo la qualifica di sostituto d'imposta, il contribuente sarà perciò esonerato da tutti gli adempimenti connessi cioè il versamento delle ritenute operate, la loro certificazione e la trasmissione telematica del modello 770.

Il contribuente agevolato non ha poi l'obbligo di effettuare le registrazioni contabili e di tenere i registri obbligatori ai fini delle imposte dirette e dell'iva. Il reddito infatti viene determinato applicando l'imposta sostitutiva del 15% su una percentuale a forfait dei ricavi o compensi. Rimane invece l'obbligo di conservare i documenti contabili sia emessi che ricevuti: i primi serviranno proprio a verificare che il reddito sottoposto all'imposta sostitutiva sia corrispondente alle fatture emesse.

L'agevolazione per i giovani. Per chi inizia un'attività però è prevista una particolare agevolazione con la riduzione del reddito imponibile ad un terzo nei primi tre anni. Per avere diritto a questa opportunità occorre però che si verifichino tre circostanze: a) il contribuente, nei tre anni procedenti, non deve aver svolto attività artistica, professionale o d'impresa, neanche in forma associata o familiare; b) l'attività da esercitare non dove costituire mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta, anche sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, a meno che non si tratti del periodo di pratica obbligatoria richiesto per l'esercizio dell'arte o della professione; c) se si tratta di prosecuzione di attività svolta in precedenza da un altro soggetto, l'ammontare dei ricavi/compensi realizzati nel periodo d'imposta precedente non deve essere superiore alla soglia indicata per quell'attività.

Le soglie. Le soglie di ricavi e compensi che non devono essere superati per accedere al regime agevolato variano a seconda del settore economico. Ad esempio, gli intermediari del commercio e i professionisti non dovranno totalizzare ricavi per più di 15mila euro, mentre chi svolge attività di servizi di alloggio e di ristorazione la soglia sale fino a 40mila euro. Su questi parametri si deve applicare il coefficiente di redditività (anch'esso variabile a seconda del settore economico, si veda tabella).  Al reddito così determinato, si sottraggono i contributi previdenziali versati nell'anno, e si applica un'imposta sostitutiva di Irpef, addizionali e Irap pari al 15 per cento.

Ad esempio un professionista con 12mila euro di ricavi e compensi deve applicare su tale somma il coefficiente 78% e quindi sottrarre i contributi previdenziali versati (immaginiamo 600 euro). 12.000 x 78% = 9.360 euro - 600 euro = 8.760 euro. Su tale reddito si applicherà l'imposta sostitutiva del 15% e quindi l'importo da pagare sarà di 1.314 euro.

Per essere ammessi al regime agevolato del 2015 occorre rispettare anche altri requisiti: le spese per il personale non devono eccedere 5mila euro e il valore lordo dei beni strumentali al 31 dicembre 2014 non deve superare 20mila euro. Se poi si svolgono contemporaneamente attività diverse, occorre considerare il limite più elevato dei ricavi e compensi relativi alle diverse attività esercitate.

Le modifiche. Il regime sarà comunque oggetto di un restyling ulteriore nelle prossime settimane. Dopo le polemiche il Governo sta studiando l'innalzamento delle soglie e risorse permettendo  l'abbassamento dell'imposta sostitutiva dal 15% anche fino al 10 per cento oppure la possibilità di far convivere sia il vecchio regime (imposta sostitutiva al 5%) che il nuovo. 

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Zedde

La proposta targata Tito Boeri prevedeva un taglio progressivo sulle pensioni calcolate con il sistema retributivo oltre una determinata soglia.

Kamsin "Quando verrà il momento faremo discussioni su tutto". Così il ministro Giuliano Poletti uscendo dal convegno sul lavoro organizzato dal Partito democratico a Torino si è limitato a rispondere sull'ipotesi ventilata dal presidente dell'Inps Tito Boeri di intervenire sulle cosiddette pensioni d'oro, oltre i 3mila euro, che sono tali soprattutto grazie al sistema retributivo non più in vigore.

Il taglio immaginato da Tito Boeri. La proposta targata Boeri, presentata con un articolo sul sito la voce.info firmato con Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca, è un intervento sugli assegni staccati dall'Inps calcolati col cosiddetto metodo retributivo, vale a dire quello che prevedeva di conteggiare le pensioni sulla base di una media aritmetica degli ulitmi stipendi da lavoratore. Sistema andato progressivamente in soffitta a partire dal 1996, ma ancora «in vigore», almeno pro quota, per i pensionati di vecchia data. Boeri vorrebbe assicurare allo Stato un gettito da 4 miliardi di euro l'anno colpendo gli assegni da 2mila euro (lordi) in su con una stangata progressiva: da 2mila e fino a 3mila euro, sforbiciata del 20% sulla quota di pensione calcolata col retributivo; 30% fino a 5mila e 50% oltre. 

Secondo quanto scriveva Boeri, «principi di equità distributiva e intergenerazionale legittimano interventi sulle pensioni in essere circoscritti a 1) redditi pensionistici  al di sopra di un certo importo e 2) su quella parte della prestazione che non è giustificabile alla luce dei contributi versati, vale a dire la differenza fra le pensioni che si sarebbero maturate con il sistema contributivo definito dalla legge del 1995, e quelle effettivamente percepite».

L'economista, presidente in pectore dell'Inps, ritiene che «un prelievo circoscritto a quanto avuto in più rispetto ai contributi versati eviterebbe anche effetti negativi sui contribuenti». Ciò perché «darebbe un messaggio forte e chiaro ai lavoratori, quelli che pagano le pensioni agli attuali pensionati: se i vostri accantonamenti previdenziali vi danno diritto a prestazioni calcolate con il metodo contributivo (ciò che i varrà per tutti i lavoratori in Italia), non avrete nulla da temere, le vostre prestazioni future non verranno mai toccate dal consolidamento fiscale». Da temere, invece, hanno gli «sfortunati» che ora potrebbero veder tagliato in un colpo solo l'assegno mensile. I «colpiti» sarebbero circa 1,7 milioni di soggetti così suddivisi: 850mila ex dipendenti privati, 770mila ex statali e 100mila autonomi.

Le probabilità di un intervento del Governo in tal senso tuttavia appaiono ridotte. Oltre allo scoglio della Corte Costituzionale che ha sempre affermato l'intangibilità dei diritti acquisiti non c'è all'interno del governo e della maggioranza alcun accordo sull'introduzione di una misura del genere. 

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Zedde

Le ipotesi sostenute dalla minoranza dem chiedono il sostanziale ripristino della possibilità di accedere alla pensione in un'età compresa tra 60 e 62 anni unitamente ad un requisito contributivo.

Kamsin "Con il via libera delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato alla nomina di Tito Boeri alla guida dell'Inps ci attendiamo proposte concrete da parte del Governo per modificare la legge Fornero". A dirlo è Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati.  "E' innegabile che il sistema così non va e che sono necessari diversi aggiustamenti". 

“In primo luogo, l’eccessivo innalzamento dell’eta’ pensionabile, oltre i 67 anni, frena l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. In secondo luogo – continua -  il problema dei cosiddetti esodati, che non e’ ancora concluso nonostante il fatto che con sei salvaguardie si sia risolta positivamente la situazione  di oltre 170.000 lavoratori, impone una correzione al sistema pensionistico. Le nostre proposte sono note: l’introduzione di un criterio di flessibilita’ a partire dai 62 anni di eta’ con 35 di contributi per consentire l’accesso alla pensione, oppure l’adozione di “Quota 100″. Si tratta di proposte che risolverebbero strutturalmente il problema”.

"La Quota 100, sarebbe uno strumento di forte flessibilità del sistema - ricorda Damiano - perchè consentirebbe l'ingresso alla pensione già con 60 anni e 40 anni di contributi oppure con requisiti contributivi minori in cambio di un'età maggiore. Le combinazioni possibili sono tante proprio come sono eterogenee le condizioni di ciascun lavoratore". 

"Bisogna considerare che nella vecchia normativa si richiedevano 61 anni e una quota 97 ma c'era un'attesa di altri 12 mesi che di fatto allungava i tempi di pensionamento". 

"Qualsiasi proposta si scelga deve comunque restare ferma la possibilità di accedere alla pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, con 41 anni di contributi (sia per uomini che per donne, ndr) e senza l'applicazione di penalizzazioni, perchè chi ha lavorato una vita intera non deve vedersi ridursi l'assegno".

“E' quindi necessario che si apra un confronto serio sulla questione. Poletti ha indicato che dopo il 20 Febbraio si inizierà a riflettere. Sarebbe ora" conclude Damiano

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Zedde

Ameno di dodici mesi di distanza dal decreto Poletti si profila un nuovo intervento, il quarto negli ultimi due anni e mezzo, sui contratti a termine. Ci sarà una fase di transizione per le collaborazioni a progetto che poi verranno cancellate. Stessa sorte toccherà probabilmente al lavoro ripartito.

Kamsin Sui contratti a termine si potrebbe tornare indietro. La loro durata massima, che lo stesso governo Renzi aveva portato, per quelli senza causale, da uno a tre anni nel suo primo provvedimento importante, potrebbe scendere da 36 a 24 mesi, e c'è l'ipotesi anche di ritoccare il numero di proroghe, per ridurle da 5 a 3. A parziale compensazione, però, viene alzato un altro tetto: se oggi ogni azienda, sul totale dei dipendenti, non può avere più del 20% di lavoratori a termine il limite sarà portato più in alto, probabilmente al 30%. Mentre nulla cambia sulla causale, che non dovrà essere indicata dal datore di lavoro.

Il governo sta mettendo a punto il Dlgs di riordino delle tipologie contrattuali  il terzo attuativo del Jobs act atteso per il consiglio dei ministri del 20 febbraio e con l'occasione si potrebbe profilarsi un nuovo intervento sui contratti a termine. «L'obiettivo  afferma il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei  è quello di promuovere il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, per effetto del mix tra maggiore flessibilità in uscita e incentivi, contrastando l'area grigia dei contratti parasubordinati, che mascherano rapporti di subordinazione».

Confermate le altre novità del decreto che dovrebbe procedere, come stabilito nel disegno di legge delega, al «disboscamento» delle forme di lavoro più precarie. Dovrebbe scomparire il lavoro a chiamata, che però potrebbe lasciare il passo a un ricorso più facile ed esteso ai voucher, i buoni per le prestazioni occasionali. L'apprendistato di 1° (diploma e qualifica professionale) e 3° livello (alta formazione) avrà una forte semplificazione da concordare con il ministero dell'Istruzione. Possibile il rafforzamento anche del part-time verticale, cioè la possibilità di lavorare solo in alcuni giorni della settimana accettando una riduzione dello stipendio. Si prevede il graduale superamento delle collaborazioni a progetto. Restano da definire le nuove regole per le collaborazioni coordinate e continuative,  le associazioni in partecipazione, e il lavoro a chiamata: il governo vorrebbe cancellarlo del tutto ma nella ristorazione la modifica non va giu'.

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Zedde

Il Comitato esprime amarezza per l'ennesima bocciatura dell'emendamento presentato da Sel al decreto legge milleproroghe che avrebbe risolto per via legislativa il problema.

Kamsin Il Comitato Opzione Donna guidato da Daniella Maroni si prepara alla class action contro l'inps. L'obiettivo è ottenere l'annullamento, per via giurisdizionale, delle due Circolari del 2012 (la 35 e la 37 del 14 Marzo 2012) che impediscono alle lavoratrici di accedere alla pensione con 57 anni e 35 anni di contributi se maturati entro il 31.12.2015 come recita l'articolo 1, comma 9 della legge 243/04. 

La vicenda è nota da tempo. L'Inps con le predette circolari ha indicato che la data di dicembre 2015 va intesa come termine entro cui deve essere maturata la decorrenza della prestazione pensionistica, cioè comprensiva della finestra mobile di 12 mesi (18 per le autonome) e della speranza di vita Istat. La conseguenza è che i requisiti anagrafici e contributivi vanno raggiunti con un anno di anticipo, almeno, rispetto alla scadenza originariamente prevista.

Una condizione che, di fatto, accorcia occultamente ed indebitamente i termini per la fruizione del regime sperimentale, una strada riscoperta in questi anni da un numero sempre maggiore di lavoratrici per anticipare l'uscita in barba alle regole fornero che chiedono 66 anni e 3 mesi nel pubblico e 63 anni e 9 mesi nel privato, oppure 41 anni e mezzo di contributi. L'anticipo però costa parecchio. L'assegno infatti viene calcolato con il sistema totalmente contributivo e quindi si deve mettere in conto una perdita di almeno un quarto dell'importo che sarebbe stato conseguito con le regole del sistema misto. Insomma nessun regalo.

La querelle va avanti ormai da anni. Lo scorso 22 Ottobre il Comitato ha diffidato l'Inps a rivedere le due circolari (la 35 per il comparto privato; la 37 per il comparto pubblico) entro 90 giorni. Il termine è spirato inutilmente il 3 Febbraio senza sostanziali passi avanti. 

In settimana è caduta poi anche la proposta di Sel di estendere l'opzione donna sino al 31 dicembre 2016 tramite un emendamento al decreto legge milleproroghe, una modifica che avrebbe risolto la questione, indirettamente, anche con riguardo alle lavoratrici in parola.

Class Action piu' vicina. Data l'impasse dal Comitato si stanno preparando a raccogliere le firme per l'adesione alla class action, un'azione che è stata avallata nei mesi scorsi anche dagli Onorevoli Gnecchi e Damiano (Pd). Il Comitato avrà, infatti, un anno di tempo per presentare un ricorso collettivo al Tar del Lazio per ottenere la rimozione in via giurisdizionale delle Circolari. L'azione, precisano, sarà aperta a chiunque abbia un interesse con le stesse caratteristiche di quello delle ricorrenti (c'è un bacino di 6mila lavoratrici potenziali aderenti, stimano dal Comitato) che dunque potranno unirsi all'azione collettiva sino a 20 giorni prima della fissazione dell'udienza preliminare al Tar del Lazio.

La speranza del Comitato è tuttavia che l'Inps, sotto la guida del nuovo Presidente Tito Boeri, con un atto di autotutela amministrativa, revochi le predette circolari prima dell'avvio del ricorso giurisdizionale al fine di evitare un lungo e complesso contenzioso.

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