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Il Comitato Lavoratori Esposti all'Amianto chiede al Governo l'azzeramento delle penalizzazioni per i lavoratori precoci e l'incremento dei benefici per i lavoratori vittime di amianto.

Kamsin "E' necessario garantire lo stop definitivo alle penalizzazioni per i lavoratori che maturano un diritto a pensione anticipata sino, almeno al 2017". E' quanto chiede una nota diffusa dal Comitato nazionale dei lavoratori esposti ad amianto che sottolinea come sia "inaccettabile che la Riforma previdenziale del 2011 non abbia assicurato una adeguata tutela ai lavoratori vittime di asbestosi".

La situazione attuale vede, del resto, i lavoratori del comparto esposti ad ingenti penalizzazioni sull'assegno pensionistico qualora non sono stati raggiunti i 62 anni di età. "I lavoratori invalidi e quelli esposti all'amianto - ricorda il Comunicato - sono quelli maggiormente colpiti dalla riduzione prevista dalla Riforma del 2011 in quanto costoro raggiungono, grazie alle maggiorazioni contributive figurative previste per tali periodi, il diritto al trattamento anticipato (42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne) in un'età compresa spesso tra i 55 e i 58 anni con il rischio di subire una penalizzazione che può superare anche il 12% dell'assegno".

"La mancata previsione che i periodi di maggiorazione figurativa in questione non siano utili ad eliminare il sistema di disincentivi è assolutamente discriminataria anche in considerazione del fatto che, di recente, la penalizzazione per i periodi di assistenza ai disabili è stata tolta", ricorda il comunicato.

Il documento diffuso chiede quindi all'attuale Governo, già nell'ambito del disegno di legge di stabilità, di superare talune criticità derivanti dall'applicazione della riforma pensionistica di cui all'articolo 24 del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, intervenendo in particolare al fine di eliminare la riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici prevista dal medesimo articolo per i lavoratori che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, prescindendo dal requisito della prestazione effettiva di lavoro".

Zedde

Questo canale di uscita, introdotto dalla riforma Maroni-Tremonti del 2004, ha acquistato sempre più importanza dopo la legge Fornero che ha spostato in avanti di parecchio il traguardo della pensione.

Kamsin Scade di fatto tra pochi giorni la cosiddetta “opzione contributivo” grazie alla quale le donne possono lasciare anticipatamente il lavoro accettando in cambio un assegno previdenziale più basso perché calcolato con il meccanismo meno generoso. Più precisamente, potranno sfruttare questa possibilità le lavoratrici del settore privato che maturano i requisiti richiesti (57 anni e 3 mesi di età unitamente a 35 di contributi) entro il mese di novembre, e quelle del pubblico che ce la fanno entro dicembre. Poi, a meno di ripensamenti da parte dell'Inps e/o del Ministero del Lavoro, le porte si chiuderanno e sarà inevitabile restare al lavoro fino a cinque-sei anni in più.

E, in vista della tagliola, cresce sempre di piu' il numero delle lavoratrici che optano per questa strada. Secondo i dati forniti dall'Inps, sino a Settembre 2014 le domande presentate sono state ben 8.652. Una crescita esponenziale. Introdotta in via sperimentale a fine 2004, l'opzione contributiva ha registrato un successo crescente, soprattutto per via della riforma Fornero del 2011. Dalle 56 pensioni liquidate nel 2009 si è passati a 518 nel 2010, 1.377 nel 2011 e a 5.646 nel 2012. L'anno scorso ne sono state liquidate 8.846.

Com'è noto infatti la riforma Fornero del 2011 ha confermato fino al 31 Dicembre 2015 la possibilità per le donne di andare in pensione prima, a patto di scegliere per un assegno interamente calcolato con il metodo contributivo. I requisiti restano quelli fissati dalla legge 243/04 distinti per le donne che lavorano come dipendenti e per le autonome: rispettivamente, 57 anni e 58 anni, a cui bisogna aggiungere, dal 1° gennaio 2013, il primo aumento di tre mesi dovuto alla speranza di vita. In entrambi i casi resta uguale il requisito dell'anzianità contributiva pari a 35 anni.

Per questa forma di pensione anticipata resta però in vigore le finestre mobili secondo cui l'assegno non viene erogato il mese successivo alla maturazione dei requisiti ma dopo un periodo di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome. L'Inps ha chiarito che l'opzione per il contributivo è aperta sino al 31 dicembre 2015 a condizione che a questa data siano perfezionati i requisiti anagrafici e contributivi utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico. A tale data cioè deve anche essersi aperta la finestra mobile (Circolare Inps 35/2012 e 37/2012).

Questo significa che le lavoratrici dipendenti dovranno maturare i requisiti (57 anni e 3 mesi e 35 anni di contributi) entro il 30 Novembre 2014; le dipendenti del pubblico impiego iscritte all'ex Inpdap entro il 30 Dicembre 2014; le autonome entro il 31 Maggio 2014 (ma servono qui 58 anni e 3 mesi di età e 35 anni di contributi). A nulla sono valse le pressioni da parte del Parlamento per una revisione di questa restrizione che, nei fatti, impone alle lavoratrici la necessità di perfezionare i requisiti previdenziali con almeno un anno di anticipo rispetto alla scadenza originaria.

L'unica possibilità, al momento, di una estensione del regime in parola è affidata al Comitato Donna, costituito da Daniella Maroni, che ha promosso, nel mese di Ottobre, un ricorso collettivo contro l'Inps volto all'eliminazione della restrizione. Le promotrici dell'azione chiedono che l'istituto o il Ministero del Lavoro consentano la fruizione dell'agevolazione in favore di tutte le lavoratrici che hanno maturato i suddetti requisiti entro il 31 dicembre 2015. 

La proroga dell'opzione donna era stato presa in considerazione anche nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione: per favorire l’ingresso di giovani negli uffici dello Stato e delle amministrazioni locali si ipotizzava addirittura di estendere l’opzione contributivo agli uomini. Ma la proposta, comparsa anche in alcune bozze del provvedimento, non ha avuto seguito.

Zedde

Molto probabile un aumento piu' contenuto del prelievo sulla previdenza complementare. Quasi certa la revisione del taglio da 150 milioni di euro ai patronati.

Kamsin Sulle modifiche alla legge di stabilità l'esecutivo sta accelerando in questi giorni. Martedì inizieranno le operazioni di voto in Commissione Bilancio della Camera sugli emendamenti segnalati al ddl di stabilità e dopo l'incontro tra Padoan e Renzi di mercoledì scorso i tavoli di lavoro si susseguono a vari livelli, sia politico, in contatto costante con il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio. Le prime somme dovrebbero essere tirate domani, consentendo così il giorno successivo l'avvio dell'iter vero e proprio a Montecitorio.

Sul piatto il Governo avrebbe individuato almeno 500 milioni, ma per aumentare gli stanziamenti previsti in legge di stabilità a favore degli ammortizzatori sociali molti esponenti del Pd continuano a chiedere 1,5 miliardi di euro.Una cifra obiettivamente difficile da reperire nel bilancio del prossimo anno.

Tra le modifiche al disegno di legge che potrebbero essere accolte dal Governo c'è la revisione della tassazione sui fondi pensione e sui rendimenti delle Casse professionali. La Ragioneria Generale dello Stato ha ricevuto, infatti, indicazioni da Via XX Settembre di lavorare per recuperare le risorse necessarie per contenere l'aumento dall'11,5 al 20% prospettato nella legge di stabilità della tassazione sui fondi pensione e sulle polizze vita. Nel pacchetto di modifiche alla tassazione sui fondi pensione che il Governo potrebbe depositare in Commissione Bilancio tra martedì e mercoledì prossimo sembra probabile che compaia anche una riduzione del carico fiscale sui fondi delle casse di Previdenza dei Professionisti. Sarà rivisto, ma non azzerato, il taglio da 150 milioni di euro per i patronati.

Altre modifiche che il Governo potrebbe sostenere riguardano il regime dei minimi, la Sabitini Bis (cioè il finanziamento per l'acquisto di macchinari nuovi), un intervento sull'Irap ed i bonus bebè. Attesa anche per la cd. local tax che dovrà trovare tradurre in norme l'accordo trovato in settimana con i Sindaci.

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Saranno specificati in un decreto delegato che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2015 i casi in cui il dipendente illegittimamente licenziato per motivi disciplinari potra' essere reintegrato sul posto di lavoro. Kamsin In tutti gli altri casi al dipendente spetterà solo un risarcimento monetario progressivo in base all'anzianità di servizio.

Stesso destino anche per i licenziamenti per motivi economici. E' questo in sintesi l'accordo raggiunto tra Governo e minoranza Dem sulla revisione dell'articolo 18 per i neo-assunti con contratti a tempo indeterminato dal prossimo 1° gennaio 2015. Accordo che ora dovrà essere rapidamente fissato nella legge delega.

Il nuovo articolo 18 - La delega sul mercato del lavoro prevede per tutti i nuovi assunti (giovani emeno giovani, disoccupati o al primo inserimento o anche nel caso di passaggio da un lavoro un altro) il contratto a tutele crescenti. Che sarà il "nuovo" contratto a tempo indeterminato. In pratica per tutti i nuovi assunti varranno le modifiche concordate sull’articolo 18: reintegro solo per i casi di licenziamento discriminatorio oppure per i «casi gravi» di licenziamento disciplinare illegittimo. Nelle altre situazioni al lavoratore spetterà solo un indennizzo crescente in base all’anzianità aziendale.

Secondo quanto anticipato dal Governo i casi specifici in cui sarà ammissibile il reintegro dipenderà dalla “procedibilità”: se il reato di cui è ingiustamente accusato il dipendente licenziato è “procedibile d’ufficio” allora il giudice potrà anche disporre il reintegro; se invece il reato di cui si è accusati è procedibile solo a querela, allora - sempre casomai fosse un’accusa falsa e insussistente - il licenziato avrà solo l’indennizzo monetario. Ma in ogni caso le regole saranno, per l'appunto, specificate nel decreto delegato.

Le Altre modifiche - Il Jobs act interviene anche sull’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori che, di fatto, vieta il demansionamento. La delega a rivedere la disciplina delle mansioni, in modo da «contemperare l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita». Ma in tali casi lo stipendio non potrà essere ridotto. Altri ritocchi riguardano i sistemi di controllo a distanza con l'indicazione che il controllo potrà riguardare solo i macchinari ed i beni dell'impresa e non i lavoratori. Inoltre l'applicazione dell'Aspi sarà estesa ai Cococo mentre saranno cancellate le forme di lavoro piu' precario come i Co.Co.Pro e ci sarà una stretta sulla false partite Iva.

Zedde

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