L’anno nuovo potrebbe vedere una nuova stretta sulle pensioni anticipate. In occasione della presentazione della legge di bilancio, attesa per la fine di ottobre in Parlamento, il Governo starebbe esaminando la possibilità di introdurre un allungamento del meccanismo di differimento nell’erogazione del primo rateo pensionistico (cd. finestra mobile) per la pensione anticipata, con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne). Dai tre mesi attuali l’esecutivo potrebbe sposare l’idea di allungarle a sei o sette mesi per risparmiare ulteriori risorse.
Da quest'anno sono state allungate le finestre per Quota 103 da 3 a 7 mesi per il privato e da 6 a 9 per il pubblico. Per i soli iscritti alle gestioni previdenziali degli enti locali e sanità (CPDEL, CPS, CPI e CPUG) l’ultima legge di bilancio (legge n. 213/2023) ha previsto l’allungamento progressivo della finestra mobile anche per chi lascia con la pensione anticipata: dal 2025 la finestra sarà di quattro mesi; dal 2026 cinque mesi; dal 2027 sette mesi; dal 2028 nove mesi.
Finestre mobili
Il Governo starebbe studiando ora un allungamento generalizzato per tutti i lavoratori limitato però sempre alle pensioni anticipate (42 anni e 10 mesi di contributi; 41 anni e 10 mesi di contributi le donne): dagli attuali tre mesi si passerebbe a 6/7 mesi (6/9 mesi il pubblico impiego). Escluso, invece, un ricalcolo contributivo della pensione anticipata. L'aumento delle finestre porterebbe così all'uscita dal lavoro dopo 43 anni e 4 mesi per gli uomini e dopo 42 anni e 4 mesi per le donne. Si può sempre uscire a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi le donne) ma in tal caso si resterebbe per sei mesi, il lasso di tempo di differimento, senza stipendio e pensione.
L’allungamento non dovrebbe coinvolgere le pensioni di vecchiaia per le quali, come noto, non è prevista attualmente l’applicazione di alcuna finestra mobile, né le altre prestazioni pensionistiche.
Prepensionamenti
Per quanto riguarda gli «scivoli» il Governo dovrà decidere se prorogare per il prossimo anno l’attuale Quota 103 (62 anni e 41 anni di contributi) con ricalcolo contributivo dell’assegno e tetto alla rendita fissato a quattro volte il trattamento minimo Inps (ca. 2.400€ lordi al mese) sino al raggiungimento del 67° anno di età. La misura sarebbe abbinata al rilancio del cosiddetto "bonus Maroni", cioè rendere economicamente più allettante restare sul posto di lavoro anche al maturare dei requisiti previdenziali. Chi, quindi, pur avendo compiuto 62 anni e maturato 41 anni di contributi, deciderà di non usare lo scivolo pensionistico, può ottenere in busta paga (su domanda all’Inps) un aumento del 9,19 per cento, ossia l’esenzione dal versamento dei contributi sullo stipendio dovuti dal lavoratore.
Una decisione è attesa anche sull’eventuale proroga di opzione donna, che da un paio d’anni ha subito un profondo giro di vite, e sull’ape sociale i cui requisiti anagrafici sono stati innalzati quest’anno da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.