Il rinnovo della legislatura riapre la partita sulle pensioni. La nuova maggioranza ha iniziato a ragionare su come superare lo scalone che, in assenza di interventi, si creerebbe dal 1° gennaio 2023 con la scadenza di Quota 102. La nuova ipotesi sul tavolo è una «opzione uomo» cioè un’uscita a 58-59 anni con almeno 35 anni di contributi con ricalcolo dell’assegno con il sistema contributivo anche per gli uomini (che ora vale solo per le donne e scadrebbe anch'essa a fine anno).
Quota 41 con soglie di età
La novità si abbinerebbe alla proposta di ridurre a 41 anni il requisito contributivo per l’accesso alla pensione anticipata (cioè con la massima anzianità contributiva) introducendo però un’età anagrafica minima di (almeno) 62 anni. Un’ opzione, viene spiegato, che permetterebbe di ridurre l’impatto previsto da “quota 41” che richiederebbe risorse pari a circa 5 miliardi l’anno. Tutto dipende comunque da quale sarà la soglia che verrà individuata e dai calcoli che verranno fatti dall’Inps.
Certo, in ogni caso, il rinnovo di un anno dell’ape sociale, l'assegno di accompagnamento alla pensione di vecchiaia per i lavoratori in determinati profili di tutela (disoccupati, invalidi, caregivers e addetti a mansioni gravose) che vale sino ad un massimo di 1.500€ lordi al mese.
Landini (Cgil): ridurre assegno strada non percorribile
L’ipotesi non piace al segretario generale della Cgil Maurizio Landini: «Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile», ha affermato a margine dell’assemblea nazionale dei delegati della Fillea-Cgil a Milano. «Credo - aggiunge - che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico». «Credo poi - sottolinea - che ci sia un altro tema di fondo per dare un futuro pensionistico a tutti i lavoratori: bisogna combattere la precarietà».
In realtà essendo ormai gran parte dell’assegno calcolato con il sistema contributivo le coorti dei lavoratori coinvolti da una «opzione uomo» potrebbero subire riduzioni ora molto più tollerabili rispetto al passato, soprattutto per il settore privato la cui quota retributiva è sempre stata meno generosa rispetto ai dipendenti del pubblico impiego.
Tridico (Inps): ipotesi riforme in direzione giusta
Positivo, invece, il giudizio di Pasquale Tridico, presidente dell’Inps: «Credo che tutte queste riforme siano orientate a un principio giusto, ovvero quello di garantire una certa flessibilità in uscita rimanendo ancorati tuttavia la modello contributivo. Su questo eravamo orientati anche durante il governo Draghi. Quindi se si va in questa direzione poi ovviamente la politica deciderà ma si sembra che si è abbastanza in linea rispetto a quello che si stava facendo» il suo commento a proposito della riforma delle pensioni e dell’ipotesi quota 58-59 anni con 35 di anzianità per gli uomini con un assegno più basso.