Pensioni

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La commissione ha deciso di attivare un censimento delle persone interessate ad accordi di incentivazione all'esodo prima della riforma del dicembre 2011, che abbiano avuto il pensionamento posticipato e siano rimasti esclusi dalle sei salvaguardie.

Kamsin Dall'8 al 27 Aprile, dopo 20 giorni dall’avvio del censimento online sugli esodati, le persone che hanno compilato la scheda-questionario sono meno di mille, appena 969. Lo comunica il Senatore Pietro Ichino in una nota in cui ridimensiona il numero di coloro che non hanno ricevuto la ciambella di salvataggio dei sei provvedimenti di salvaguardia varati dal Parlamento sino ad oggi. Un numero ben lontano dalle decine di migliaia di casi da salvaguardare come risulta invece ai diversi Comitati degli Esodati.

Ichino ricorda peraltro come di questi 969 lavoratori ancora "non è dato sapere quante di queste posizioni corrispondano effettivamente alla nozione di “esodato” (l’analisi dei dati raccolti deve ancora essere avviata), ma, almeno da questo primo dato, le dimensioni del problema appaiono più vicine a quanto sostenuto dal Direttore Generale dell’Inps dott. Nori, che a quanto sostenuto dai Comitati Esodati". 
 
Il censimento è stato promosso per avere una dimensione esatta del fenomeno, dopo che il Parlamento ha approvato, in fasi successive, sei interventi di deroga alla Legge Fornero che hanno interessato complessivamente 170.239 cosiddetti "esodati". L'ultimo risale allo scorso luglio e ha ampliato la platea dei salvaguardati di 8mila persone allungando al 6 gennaio 2016 il termine per maturare la decorrenza della pensione con i vecchi requisiti ante legge Fornero. L'iniziativa è tuttavia fortemente contestata dai Comitati degli esodati che accusano la commissione di voler chiudere il capitolo delle salvaguardie, convinti che vi siano ancora migliaia di casi da salvaguardare.

In realtà sull'attendibilità dei dati raccolti dalla Commissione pesano diversi dubbi. Oltre al fatto che non tutti i potenziali interessati hanno avuto conoscenza dell'iniziativa, il censimento non è semplice da compilare per il non addetto ai lavori (devono essere inseriti alcuni dati particolari come la natura degli accordi, la situazione contributiva, i redditi conseguiti dopo la cessazione del rapporto di lavoro). Circostanza che potrebbe aver indotto in molti a non partecipare all'iniziativa, peraltro non sostenuta a dovere dagli stessi Comitati. Ma anche a voler tralasciare questi aspetti il dato prodotto da Ichino sembra non combaciare neanche lontanamente con quello diffuso dallo stesso Governo e dall'Inps lo scorso 15 Ottobre 2014 in occasione dell'atto di sindacato ispettivo sollevato in Commissione Lavoro della Camera dall'Onorevole Gnecchi. In tale documento si fissava in ben 49.500 gli esodati non salvaguardati tra il 2016 ed il 2019.  

Ad esprimere dubbi sul lavoro svolto dalla Commissione Lavoro del Senato c'è anche Damiano: «non mi sembra un dato attendibile considerando che la rete dei comitati degli esodati ha dato indicazione di non partecipare al censimento. Se fossero meno di mille, comunque il governo dovrebbe intervenire con una settima salvaguardia, come chiesto dal Pd della commissione».

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Zedde

L'ordine dei Consulenti del Lavoro pubblica la Circolare contenente le modalità per effettuare i ricorsi contro l'Inps per ottenere la liquidazione degli arretrati.

Kamsin Com'è noto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70/2015, ha recentemente giudicato incostituzionale il blocco della perequazione delle pensioni operato, in riferimento agli anni 2012-2013, dell'art. 24 comma 25 del dl 201/2011 che conseguentemente è da ritenersi abrogato. Si apre ora la strada al recupero del credito maturato in questi anni dai pensionati. Per fare ordine in materia, la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, con la circolare n. 10/2015, ha messo a punto un vademecum in cui si trovano le «istruzioni per l'uso» necessarie. In essa è contenuto tutto quello che si deve sapere per avere restituito dall'Inps quanto maturato in attesa che il Governo fissi le modalità di rimborso degli arretrati. 

In particolare la norma aveva disposto la rivalutazione piena delle pensioni non superiori a tre volte il trattamento minimo Inps dell'anno precedente l'anno di competenza della rivalutazione (per il 2011, 1.405,05 euro). Inoltre era stata prevista la rivalutazione per le pensioni d'importo compreso tra 1.405,05 euro e 1.443 euro (3 volte il trattamento minimo rivalutato) fino al valore di 1.443 euro. Tutti i trattamenti pensionistici di importo superiore a 1.443 euro non avrebbero goduto della rivalutazione all'indice inflativo di riferimento per la totalità del loro importo.

Sul punto l'ordine dei Consulenti del Lavoro ricorda come sia stato ipotizzato l’approvazione di un decreto legge che disponga i criteri ed eventuali limitazioni in ordine alla restituzione delle somme maturate dai pensionati interessati, ipotizzando l’individuazione di un diverso criterio di perequazione rispetto a quanto stabilito dall’art. 69 L. 388/2000. Sul punto si ritiene che la sentenza della Corte Costituzionale fa rivivere la citata disposizione del 2000 e dunque i soggetti interessati hanno già maturato il diritto a veder applicato tale criterio di rivalutazione. Non appare dunque consentito che un possibile decreto legge approvato oggi possa incidere retroattivamente su un diritto già entrato nel patrimonio dei pensionati interessati.

Rivalutazione. Il blocco della rivalutazione dei trattamenti pensionistici è stato giudicato dalla Corte in contrasto con i principi di proporzionalità e adeguatezza cui deve necessariamente ispirarsi la legislazione' in materia di misura dei trattamenti pensionistici, segnataménte riferita agli aspetti legati alla perequazione ovvero alla conservazione del potere di acquisto delle pensioni nel tempo. L'art. 24, comma 25, aveva bloccato l' aggancio delle pensioni alle dinamiche inflative per ben due anni e soprattutto per tutti i trattamenti pensionistici che superavano tre volte il trattamento minimo Inps. In questa generalizzata e prolungata paralisi dei trattamenti pensionistici e nel relativo impoverimento reale che ne derivava è stato rinvenuto un disegno irragionevole e conseguentemente lesivo dei principi di adeguatezza di cui all'art. 36 e di proporzionalità di cui all'art. 38 della Costituzione.

Documenti: Circolare FCL numero 10/2015

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Zedde

L'idea è del presidente di Cts Itinerari Previdenziali. Introdurre un prelievo generalizzato e crescente su tutti gli assegni per incentivare le nuove assunzioni di giovani.

Kamsin La sentenza della Corte costituzionale che ha annullato la deindicizzazione delle pensioni oltre tre volte il minimo introdotta dalla legge Fornero, può essere un'opportunità per ripensare a come fare per generare un migliore equilibrio tra pensioni e lavoro.

Il ragionamento si basa su alcuni presupposti: 1) il nostro sistema previdenziale è a ripartizione il che significa che con i contributi dei lavoratori attivi si pagano le pensioni; 2) come ogni sistema a ripartizione anche il nostro sottende un patto generazionale cioè una garanzia che ogni generazione consentirà a quella che l'ha preceduta di percepire la pensione; 3) i tassi di occupazione nel nostro paese sono molto bassi; 4) il cuneo fiscale è elevatissimo: siamo al primo posto per contributi sociali e nelle prime 5 posizioni per carico fiscale; 5) è fuor di dubbio che tutte le pensioni calcolate con il metodo retributivo siano assai più generose (soprattutto perché consentivano ampi spazi di evasione ed elusione) rispetto a quelle contributive; 6) il sistema pensionistico ora è certamente in equilibrio ma per reggere nel tempo ha necessità che l'economia migliori, che ci sia più sviluppo e maggiore occupazione.

Lo capiscono tutti che se negli anni della crisi abbiamo perso più di un milione di posti di lavoro significa che abbiamo 1 milione di persone che non versano più i contributi e quindi il sistema soffre e va in deficit, anche a causa della generosità delle citate pensioni retributive. Quindi ricapitolando: abbiamo scarsi livelli di occupazione dovuti anche all'eccessivo carico contributivo e fiscale mentre per mantenere l'apparato pensionistico/assistenziale occorrerebbe una maggiore occupazione soprattutto per la parte giovani (fino ai 29 anni) e per la «coda» cioè per gli over 55, troppo giovani per la pensione e spesso troppo costosi per restare al lavoro. Per inciso nel 2013 il costo complessivo del sistema che impropriamente chiamiamo pensionistico vale 280 miliardi di cui i due terzi sono pensioni e un terzo assistenza pura. Alla fiscalità generale il sistema è costato circa 100 miliardi.

Cosa possiamo fare? Conviene ai pensionati pagare qualcosa di più per garantirsi sia il patto intergenerazionale sia più semplicemente la loro pensione?La Corte costituzionale potrebbe avvallare un provvedimento che si ponga l'obiettivo di favorire un aumento dell'occupazione sia under sia over e quindi di rendere più sostenibile il bilancio prettamente previdenziale e quello assistenziale?

Considerando che con il Jobs Act si sono create le premesse per un aumento dell'occupazione si potrebbero fare due proposte: a) prevedere che per tutte le 23,3 milioni di prestazioni in pagamento l'indicizzazione ai prezzi sia pari al 90%; b) introdurre un contributo di solidarietà su tutte le prestazioni, anche assistenziali, generate dal metodo retributivo; ricordo che per i «poveri» contributivi cioè i giovani che hanno iniziato a lavorare dal 1996 non sono più previste ne le maggiorazioni sociali né le integrazioni al minimo di cui oggi godono oltre 4,6 milioni di pensionati su 16,3 milioni, un numero enorme di persone che in 65 anni di vita hanno pagato pochi contributi e forse pochissime tasse (che non pagano neppure oggi su queste prestazioni) e che gravano prevalentemente sulle giovani generazioni.

Il contributo sarà basso, ad esempio, dello 0,5% sulle pensioni fino al minimo (circa 2,5 euro al mese) per arrivare a percentuali più consistenti al crescere degli assegni. A seconda delle percentuali si potrebbero incassare tra i 5 e 7 miliardi l'anno; per fare cosa? Semplice, per creare incentivi fiscali finalizzati sia all'assunzione degli under 29 sia degli over 55. Gli incentivi andrebbero a sostituire l'attuale decontribuzione prevista nel Jobs Act peri prossimi 3 anni sulle assunzioni con il contratto a tutele crescenti. Ricordo che quando venne eliminata la decontribuzione per le regioni del Mezzogiorno a seguito delle previsioni europee fu un disastro per il Sud.

E' più che prevedibile che anche alla scadenza del triennio ciò accada; non succederebbe se gli incentivi fiscali (un'Irap positiva, cioè più assumi e più sconti fiscali hai) fossero stabili. Un aumento dell'occupazione, avrebbe il merito di aumentare i livelli di contribuzione e ridurre le spese per gli ammortizzatori sociali. Eliminerebbe in radice tutte le richieste di sussidi (reddito minimo e così via) e genererebbe un circolo virtuoso (meno gente che si rifugia nell'assistenza e più lavoratori). Con i 5/7 miliardi si può fare molto per l'occupazione soprattutto quella under, over e femminile. Credo che essendo un provvedimento (molto impopolare per la politica) utile al Paese e gravante sull'intera collettività di coloro che hanno interesse a mantenere l'equilibrio del sistema previdenziale (cioè la loro pensione), la Consulta potrebbe accettarlo.

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Zedde

"La Corte costituzionale ha deciso che una norma del governo Monti, la mancata indicizzazione delle pensioni, è incostituzionale, ma non dice che il governo deve pagare domani mattina tutto". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel corso del videoforum di Repubblica.it. Kamsin "Nei prossimi giorni verificheremo le carte, prendiamoci il tempo necessario per evitare di fare errori - ha aggiunto Renzi - sulle pensioni non si possono sparare cifre a casaccio".

"Troveremo il modo per tenerci dentro le regole europee, troveremo una soluzione per rimanere credibili a livello europeo - ha sottolineato il premier -. Il problema è ampiamente nella nostra capacità di risolverlo".

Damiano: “I temi della diseguaglianza sociale, che stiamo sollevando da tempo, sono finalmente balzati agli onori delle cronache". “L’elenco dei problemi e’ purtroppo lungo – spiega Damiano – e comprende: nuova indicizzazione delle pensioni, dopo la sentenza della Consulta (il costo, secondo la CGIA di Mestre, ammonterebbe a 16 miliardi di euro); reddito minimo o di cittadinanza ( se si volesse dare un assegno di 600 euro al mese ad un milione di persone senza lavoro, la spesa strutturale annua ammonterebbe a 7 miliardi e 200 milioni di euro  e attualmente i disoccupati superano quota 3 milioni); adeguamento delle pensioni “incapienti”, quelle che arrivano fino a 600 euro al mese e che riguardano circa 6 milioni di pensionati; soluzione del problema degli “esodati” non compresi nei 170.000 salvaguardati (le risorse in questo caso ci sono per una soluzione, anche se parziale, utilizzando i risparmi del Fondo appositamente costituito); introduzione di un criterio di flessibilita’ nel sistema pensionistico per consentire, soprattutto a chi e’ rimasto senza lavoro, di poter andare in pensione a partire dai 62 anni di eta’ (anche in questo caso sarebbero necessari alcuni miliardi di euro)”.

” La massa e l’urgenza dei problemi sociali irrisolti e’ enorme e richiede risorse attualmente non disponibili. Occorre una attenta regia da parte del Governo con il pieno coinvolgimento del Parlamento e delle parti sociali per l’individuazione di priorita’ condivise. Scegliere da soli sara’ moderno, ma si commettono troppi errori”

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La Lega Nord ripropone con la settima salvaguardia una misura che consentirebbe ai dipendenti pubblici di un pensionamento anticipato all'età di 64 anni a condizione di aver centrato la quota 96 entro il 2012.

Kamsin Riconoscere ai dipendenti pubblici che hanno maturato la quota 96 entro il 31 dicembre 2012 la possibilità di uscita a 64 anni. Alla stregua di quanto è stato garantito ai lavoratori del settore privato dalla legge fornero (all'articolo 24, comma 15-bis del Dl 201/2011). Ed eliminare la restrizione secondo la quale, per poter avvalersi della Deroga, si debba essere titolari di un rapporto di lavoro al 28 dicembre 2011. E' quanto prevede un passaggio del disegno di legge numero 3002 depositato dalla Lega nord la scorsa settimana in Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati.

La modifica proposta interviene sull'alinea del comma 15-bis dell'articolo 24 del Dl 201/2011 sostituendola con la seguente dicitura: «in via eccezionale, per tutti i lavoratori le cui pensioni sono liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, ancorché non titolari di un rapporto di lavoro alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». 

Una nota diffusa ieri dal partito guidato da Salvini ricorda che la proposta mette la parola fine ad una discriminazione ingiustificata che hanno subito gli statali rispetto a quanto, la stessa Fornero, aveva riconosciuto ai lavoratori del settore privato. «Con la nostra proposta qualsiasi dipendente pubblico che abbia raggiunto 60 anni e 36 di contributi (oppure 61 anni e 35 di contributi) entro il 31.12.2012 potrà uscire al compimento di 64 anni e 3 mesi (64 anni e 7 mesi dal 1° gennaio 2016 ndr,) con un anticipo di due anni rispetto alle regole attuali. Per le lavoratrici basteranno 60 anni e 20 anni di contributi, sempre da possedere entro il 31 dicembre 2012».

Novità ci sono anche per il settore privato con la soppressione del requisito, posto come condizione per attivare questo canale di uscita anticipata, che il lavoratore dovesse avere un rapporto di lavoro attivo al 28 dicembre 2011.  «Questa vincolo, inserito occultamente dall'Inps, ha determinato l'esclusione dal beneficio proprio delle fasce piu' deboli, che avevano perso il lavoro prima della Riforma Fornero, e che, per diversi motivi, sono rimaste fuori dalle salvaguardie» sottolineano dalla Lega. 

Resta da vedere cosa dirà la Commissione Lavoro della Camera e soprattutto il Governo. Il recente pronunciamento della Consulta rischia infatti di mettere a repentaglio qualsiasi ulteriore intervento sul capitolo previdenza che lo stesso Governo aveva annunciato nelle scorse settimane. 

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“Suggerisco al premier Renzi, al fine di evitare nuovi errori come capitato a Monti, di affrontare questo tema con le parti sociali, e in particolare con i sindacati confederali dei pensionati, per trovare la soluzione piu’ adeguata”. Kamsin Lo dice il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, interpellato sul caso pensioni aperto con la sentenza della Corte Costituzionale.  “Il governo – dice Damiano – deve applicare il dispositivo della Consulta” ma “naturalmente esistono diverse modalita’ per farlo, come abbiamo gia’ verificato nel passato a partire dal governo Prodi, passando poi per Monti e Letta”.   Al tempo del governo Prodi, ricorda, “da ministro del Lavoro ho sterilizzato per 1 anno l’indicizzazione delle pensioni per quelle 8 volte il minimo, circa 4mila euro lordi mensili, assegni cioe’ medio alti anche se non d’oro”.

Le risorse, circa 1,4 miliardi “sono state destinate a pagare in parte il costo della revisione dello scalone Maroni, a introdurre norme in favore dei lavori usuranti, per i quali finalmente fu finanziato un fondo, e a istituire una quattordicesima mensilita’ per i pensionati piu’ poveri, fino a 700 euro lordi mensili”.    La Consulta “riconobbe il rispetto dei principi costituzionali in quanto la misura interessava pensioni non basse, che non soffrivano in modo particolare per il blocco, e ne riconobbe il fine solidaristico e redistributivo”.  Letta invece, aggiunge, “modulo’ l’intervento per fasce di reddito. Soluzioni, insomma, ci possono essere, l’importante e’ che il governo non prescinda dal dettato costituzionale dell’adeguatezza e della solidarieta’.

Come affermiamo da tempo, inoltre, la riforma delle pensioni targata Monti non regge piu’: non solo per le indicizzazioni, ma anche per il repentino innalzamento dell’eta’ pensionabile oltre i 66 anni di eta’ che sta bloccando il turnover nelle aziende a danno dell’occupazione dei giovani e creando nuovi poveri tra coloro che perdono il lavoro e debbono aspettare anche 5 o 6 anni per andare in pensione”, conclude Cesare Damiano.

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