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Taglio Irap 2014, per Renzi la riduzione sarà graduale
L'Ipotesi del governo è di un taglio immediato del 5% per il 2014 e del 10% per il 2015. Padoan conferma che le misure saranno pronte entro Maggio.
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Sul versante delle imprese, Renzi ha annunciato una dimunizione del 10% dell'Irap per le aziende - sempre dal 10 maggio - che verrà finanziato con l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26%, ad esclusione dei titoli di Stato, con un gettito previsto di 2,6 miliardi. "La tassazione sulle rendite finanziarie va in linea con gli altri Paesi europei, e con questo si abbassa il costo del lavoro", ha detto il premier. Questa misura è al di fuori del conteggio dei 10 miliardi di cuneo, "ma rientra in un riequilibrio delle imposte". Il ministro Guidi ha poi specificato che il taglio dell'Irap andrà a impattare per 1,4-1,5 miliardi sulla quota che pesa sulle spalle delle piccole e medie imprese.
Su questo fronte il governo punterebbe a un intervento in due tappe con un taglio immediato del 5% sull'imposta regionale che le imprese saranno chiamate a pagare quest'anno. E un taglio del 10% per l'Irap che verrà pagata nel 2015. Per quanto riguarda le addizionali regionali all'imposta sulle attività produttive, l'ipotesi dell'esecutivo è quella di lasciare ai Governatori la possibilità di elevare al massimo il prelievo dello 0,92%, così come è previsto attualmente.
I dettagli dell'intera operazione sulla riduzione delle tasse saranno tuttavia resi noti solo dopo la presentazione, prevista per l'inizio della prossima settimana, del Documento di economia e finanza. In quell'occasione saranno messe nero su bianco le risorse recuperate dalla spending review targata Cottarelli e sarà indicato anche l'effetto della manovra di riduzione del prelievo che potrebbe contribuire a centrare un obiettivo di crescita che il Governo sarebbe intenzionato a fissare nel Def tra 0,8 e 0,9 per cento.
Il taglio dell'Irpef potrebbe precedere di qualche settimana quello dell'Irap. Comunque sia, la riduzione del tributo regionale verrà coperta proprio dall'aumento delle rendite finanziarie dal 20 al 26% a partire dal 1° luglio.
Per quanto riguarda il taglio dell'Irpef ieri il ministro dell'Economia Padoan ha confermato che la misura sarà introdotta nei tempi indicati dal Premier. La novità, attesa per Maggio, prevede un guadagno di 1.000 euro netti in busta paga per chi ha una remunerazione di meno di 1.500 euro al mese: si tratta di circa 80 euro in più al mese.
I destinatari del provvedimento sono "una platea di 10 milioni di persone", cioè coloro che guadagnano fino a 25mila euro lordi. Tuttavia restano ancora sul tavolo diverse modalità d'intervento per il taglio dell'Irpef, che verranno definite nei provvedimenti attuativi dei prossimi giorni. L'orientamento dell'esecutivo è per un incremento delle detrazioni, ma resta aperta la porta a un mix che includa la rimodulazione delle aliquote.
Pensioni 2014, scatta l'ipotesi di un prelievo sopra i 10mila euro
Il viceministro all'Economia Enrico Morando non esclude una trattenuta sugli assegni per rimodulare gli equilibri tra il sistema contributivo e quello retributivo.
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Nessuna pace per i pensionati costantemente nel mirino dei tagli alla spesa pubblica. Dopo l'intervento del commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli che aveva ipotizzato l'introduzione di un contributo temporaneo di solidarietà sui trattamenti più elevati, è arrivata la precisazione del vice ministro all'economia Enrico Morando che ha dato disponibilità ad intervenire sulle pensioni più elevate, superiori a 10 - 15 mila euro al mese, maturate però con il sistema retributivo.
L'obiettivo del governo è quello di cercare un riequilibrio tra il sistema retributivo previsto sino al 2011 e quello contributivo applicato per tutti i lavoratori dal 2012. È un'ipotesi sulla quale si può lavorare ha detto Morando.
L'intenzione è procedere al ricalcolo degli assegni pensionistici superiori a 10/15 mila euro o comunque al di sopra di un determinato importo, quelli sui quali lo squilibrio tra i contributi versati e il trattamento incassato è maggiore. La maggior parte delle pensioni d'oro infatti nasce con l'applicazione del metodo retributivo, un sistema generoso in base al quale il pensionato ottiene il trattamento di quiescenza basato sugli ultimi redditi percepiti nell'arco della sua vita lavorativa.
In altri termini i contributi in questo caso, coprono solo in parte la pensione erogata dall'Inps con punte di squilibrio che superano tranquillamente il 30 per cento sui trattamenti oltre i 3000 euro.
Sulla differenza tra la pensione calcolata in proporzione alle ultime retribuzioni e quella calcolata sulla base di contributi versati nel corso di tutta la vita lavorativa si potrebbe immaginare un contributo straordinario anche in misura superiore rispetto a quella del 5-10 per cento fissata nel 2012, abolita dalla Corte Costituzionale e poi reintrodotta dalla legge di stabilità 2014.
È una ipotesi del resto che peraltro è stata oggetto dell'audizione del direttore generale dell'Inps Mauro Nori, in Commissione Lavoro presso la Camera dei Deputati la scorsa settimana. Nori aveva tuttavia avvertito i membri della Commissione circa le difficoltà di un programma in tal senso. L'Inps infatti dispone delle posizioni contributive individuali partire dal 1974 solo per i dipendenti privati.
Il problema, secondo Nori, riguarda quindi i dipendenti statali (dove peraltro ci sono le pensioni più elevate come quelle di magistrati e degli alti gradi militari): sino al 1996 erano le pubbliche amministrazioni di competenza a pagare le pensioni e pertanto non esisteva un sistema unico per la gestione dei pagamenti pensionistici nel pubblico impiego.
Decreto lavoro 2014, necessarie precisazioni sulle proroghe
Sull'apprendistato si dovrà specificare se la facoltà della formazione pubblica riguardi datori di lavoro o solo le regioni.
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Sono diversi i nodi che dovranno essere sciolti sul decreto Poletti, il dl 34/2014, entrato in vigore lo scorso 21 marzo 2014 che ha iniziato il suo percorso di conversione in legge in Parlamento. Oltre le modifiche che alcuni partiti vogliono introdurre, sulle quali c'è stata la dura presa di posizione dell'esecutivo che ha indicato la sua contrarietà ad uno stravolgimento del decreto, ci sono anche altri aspetti più delicati e meno "politicizzabili".
Si tratta in particolare di chiarire il regime applicabile ai contratti a termine in corso di validità affinché le imprese possano fruire della più ampia facoltà di prorogare fino ad otto volte, contenuta nel decreto. Anche sull'apprendistato si dovrà specificare se la facoltà della formazione pubblica debba riguardare i datori di lavori o le regioni. La differenza non è da poco perché solo nel primo caso si può ottenere una semplificazione importante per le imprese; questa del resto è l'idea contenuta nel Decreto Poletti che tuttavia si appresta ad interpretazioni diverse.
Ma anche la specificazione che la deroga al tetto del 20 per cento dell' organico complessivo ai fini della stipulazione di un contratto a tempo determinato prevista in favore delle imprese che impiegano fino a 5 dipendenti, possa essere estesa anche agli studi professionali.
Sono queste le principali modifiche che i consulenti del lavoro hanno indicato ieri in audizione informale alla Commissione Lavoro della Camera. Il governo comunque ribadisce che non vuole stravolgimenti nel testo che allunga la causalità dei contratti a termine fino a 3 anni e concede fino ad 8 volte la possibilità di proroga.
Tasi 2014, i comuni dovranno garantire effetti equivalenti o inferiori rispetto all'Imu
La Commissione Bilancio della Camera dei Deputati approva un emendamento che impone effetti equivalenti o inferiori rispetto all'Imu.
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Alla Commissione Finanze Bilancio della Camera dei Deputati si complica il percorso per inserire un alleggerimento della Tasi per le abitazioni principali. Il presidente della Commissione, Francesco Boccia (Pd), nell'esaminare gli emendamenti al testo dell'articolo 1 del decreto Salva Roma ter, ha infatti precisato che "l'imperativo è quello di non fare pasticci. Bisogna varare una riforma che abbia gambe per camminare per anni evitando compromessi approvati storcendo il naso destinati a cambiare ancora fra pochi mesi."
Oltre 50 gli emendamenti proposti. Il nodo è quello delle detrazioni finanziate dall'aliquota aggiuntiva, l'attuale decreto concede la possibilità ai Comuni di aumentare le aliquote fissate per legge di un ulteriore 0,8 per mille al fine di finanziare le detrazioni.
Solo un emendamento però stato approvato dalla Commissione ed è quello presentato da Filippo Busin della Lega Nord che chiede che le detrazioni finanziate dall'aliquota aggiuntiva determinino per la Tasi effetti equivalenti o inferiori a quelli previsti per l'imu sulla stessa tipologia degli immobili.
Accantonati invece tutti gli altri emendamenti che avrebbero inciso in maniera significativa sull'impianto complessivo della tassazione immobiliare.
Il riferimento è, evidentemente, alle ultime varie riforme approvate sulla tassazione immobiliare in questi ultimi tre anni che hanno visto dapprima l'introduzione dell'Imu, poi la sua modifica, l'eliminazione parziale per le sole prime case nel 2013 e poi la reintroduzione sotto la forma della Tasi da quest'anno.
Un vero rebus per centinaia di migliaia di contribuenti che hanno messo in difficoltà anche i CAF e i professionisti del settore fino all'ultimo minuto nell'incertezza su come si dovesse procedere.
Purtroppo nonostante l'abolizione dell'Imu sulla abitazione principale in molti casi il contribuente dovrà pagare un contributo più alto rispetto al 2012 con la Tasi. Il risultato è inevitabile per quelle case di valore catastale basso nei comuni che decideranno di non sfruttare la possibilità di introdurre un'aliquota aggiuntiva per finanziare le detrazioni base come prevedeva in origine la vecchia Imu.
In altri termini, in assenza di una decisione dei comuni tutti i cittadini dovranno presentarsi alla cassa, anche coloro che grazie alle detrazioni fisse previste per l'Imu ne erano esenti nel 2012.
Pensioni, i parasubordinati pagano per dipendenti ed autonomi
La gestione dei parasubordinati è l'unica dell'Inps ad essere in attivo.
Niente da fare. Anche con il 2012 e dopo gli effetti "benefici", se così possiamo dire, della riforma Fornero approvata nel 2011 la gestione dei lavoratori parasubordinati, cioè la gestione separata, è l'unica che nel 2012, ultimo anno disponibile, ha regalato alle casse dell'Inps 8,6 miliardi. Il conto resta invece salato per la gestione lavoratori autonomi che ha perso 12 miliardi e quella dei dipendenti pubblici che ha perso 8 miliardi.
Come dire, senza questi contributi l'inps sarebbe in bancarotta. Il problema però è un altro. Questi professionisti senza cassa, associati in partecipazione, venditori a domicilio versano contributi a fondo perduto che non daranno diritto ad alcuna prestazione previdenziale. Si tratta spesso di giovani che nei prossimi anni si renderanno conto di non avere alcuna pensione maturata e che oltretutto non sono tutelati né dai sindacati ne dà lo Stato.
Insomma sono lavoratori che hanno molti doveri e pochi diritti.
Il problema risiede nel cosidetto minimale contributivo. A questi lavoratori viene accreditato un mese di contributi validi ai fini pensionistici, solo qualora dichiarino un reddito mensile di almeno 1.295 euro. Se ad esempio il loro reddito è pari ad un terzo di tale cifra questi lavoratori dovranno lavorare 3 mesi per mettere insieme un mese di contribuzione. E purtroppo sappiamo bene che la maggior parte degli iscritti alla gestione separata non raggiunge questi livelli di reddito.
In pratica si tratta di lavoratori che versano contributi senza poter concretamente riuscire a perfezionare il diritto alla pensione. Senza contare inoltre che l'aliquota contributiva attualmente al 28 per cento ed è destinata ad arrivare al 33 per cento nel 2018. Paghi molto e ricevi poco.
Ciò significa che un lavoratore iscritto alla gestione separata con 20 anni di contributi versati dopo il 1995 e con un reddito finale di 32.000 euro rischierà di non poter andare a riposo al compimento di 66 anni nonostante abbia versato più del doppio della media dei parasubordinati ma dovrà comunque attendere i 70 anni per avere una pensione modesta, intorno ai 6 mila euro.
Altro...
Invalidità, Renzi ferma la proposta di Cottarelli
La riforma delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento è quella che fa più discutere tra tutte le proposte presentate.
La proposta formulata nei giorni scorsi dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli di un possibile taglio alle indennità di accompagnamento e alle pensioni di invalidità è certamente una delle misure piu' controverse di quelle sino ad oggi proposte. Il fatto è che il commissario ha affrontato la questione solo da un punto di vista, quello contabile, trascurando in realtà quelle che sono le conseguenze sociali e le famiglie che ci stanno dietro.
Cottarelli parte dai dati relativi all'incremento della spesa legata alle prestazioni di invalidità, passate in 10 anni da 7,6 miliardi del 2002 a 13 miliardi nel 2012.
Nell'ultimo decennio le prestazioni legate alla non autosufficienza hanno registrato una crescita di oltre il 30 per cento, un aumento evidentemente legato all'incremento dell' incidenza degli anziani rispetto alla popolazione generale che sta sempre più invecchiando. Le prestazioni di accompagnamento vengono infatti fruite principalmente da anziani, basti pensare infatti che oltre 3 su 4 dei beneficiari hanno oltre i 65 anni.
Cottarelli ha formulato la proposta di legare la possibilità di ottenere l'assegno di accompagnamento non solo al sorgere del bisogno assistenziale cioè alla perdita dell'autosufficienza da parte del richiedente, ma anche alle condizioni economiche del potenziale beneficiario.
La soglia individuata dal commissario è di 30 mila euro come reddito personale e 45 mila euro come reddito familiare.
Applicare il criterio reddituale per ricevere l'accompagnamento significherebbe però un passaggio negativo epocale: lo Stato offrirebbe tutela esclusivamente nei confronti delle persone indigenti non autosufficienti negando, in questo modo, quello che viene considerato, anche negli altri paesi europei, un diritto di cittadinanza di cui è possibile fruire indipendentemente dalle proprie risorse economiche.
Attualmente l'accesso all'indennità per la non autosufficienza è un diritto di tutti i cittadini riconosciuto alla stregua del diritto all'accesso alle prestazioni sanitarie.
Negli altri stati europei tuttavia è vero che spesso l'importo è graduato a seconda del bisogno e delle condizioni economiche del beneficiario in modo da adattarsi alle esigenze specifiche dell'utente. Si pensi ad esempio che in Germania e Austria l'assegno può oscillare tra i 250 e i 1700 euro mensili. Ma si tratta di paesi in cui l'assistenza sociale è comunque su di un livello difficilmente comparabile con quello di un paese, l'Italia, in cui lo Stato si è del tutto disinteressato alla tutela dei non autosufficienti ed ha delegato pertanto le famiglie nella gestione del problema.
Il dietrofront di Renzi ad un possibile intervento sulla materia è stato dunque quanto mai opportuno.
La risoluzione del problema invalidità e degli esborsi per lo stato deve passare in realtà da controlli più stringenti che lascino agli operatori dei territori minori margini di discrezionalità nel decidere coloro che possono ottenere il beneficio e chi no. L'obiettivo è quello di filtrare le richieste indebite. Del resto è questa discrezionalità che ha consentito l'allegra concessione dei benefici in particolare nelle regioni meridionali. Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia sono infatti le regioni con il più alto tasso di prestazioni di invalidità in pagamento rapportate al numero di abitanti con età superiore a 65 anni.
L'indennità di accompagnamento - L'indennità di accompagnamento viene fornita alle persone con il 100% di invalidità civile che hanno bisogno di assistenza continua per deambulare o a svolgere gli altri atti della vita quotidiana.
L'assegno è pari a 504 euro mensili e serve a sostenere le spese aggiuntive dovute alla necessità di assistenza continua. La spesa pubblica per questo capitolo è pari a 13 miliardi di euro annui.
La pensione di invalidità - La pensione di invalidità invece è una prestazione che viene erogata alle persone disabili con reddito inferiore ad una determinata soglia e percentuale di invalidità compresa tra il 74 e il 100%.
La ricevono i soggetti entro i 65 anni con disabilità non causata da infortuni sul lavoro cioè in questa condizione dalla nascita o che hanno avuto un incidente o una malattia. Serve a compensare i redditi che l'impossibilità totale o parziale a prestare lavoro impedisce di guadagnare e ammonta a 279 euro al mese per una spesa annua complessiva di 3,6 miliardi di euro.
Lavoro, l'Aran pubblica le linee guide relative ai permessi retribuiti
L'Aran fornisce le linee guida sulla fruizione dei permessi retribuiti. I permessi non possono essere fruiti ad ore a meno che siano concessi per l'assistenza a persone portatrici di handicap gravi.
L'Aran ha diffuso il manuale contenente le linee guida per la fruizione dei permessi retribuiti. L'agenzia ricorda che sulla base dei contratti nazionali i permessi retribuiti sono classificabili in quattro categorie: il lutto, il matrimonio; la partecipazione a concorsi ed esami; e per particolari ragioni personali.
In linea generale il documento precisa che i permessi possono essere cumulati dal lavoratore senza che ciò riduca ferie e tredicesima prevista dai contratti nazionali collettivi. I permessi inoltre non possono essere fruiti ad ore a meno che siano concessi per l'assistenza a persone portatrici di handicap gravi.
In caso di matrimonio, sia civile che religioso, il lavoratore può fruire di un permesso di 15 giorni consecutivi che comprendono anche i festivi, permesso che può essere duplicato in caso di nuovo matrimonio di vedovi e divorziati.
Per la partecipazione a concorsi ed esami i dipendenti possono fruire fino ad 8 giorni l'anno; questi permessi possono essere peraltro cumulati con quelli concessi per il diritto allo studio e vanno riconosciuti solo per il giorno di sostentamento dell'esame a prescindere dall'orario di servizio, senza comprendere quindi né gli eventuali viaggi e gli spostamenti, né i tempi per la preparazione all'esame. I permessi possono essere riconosciuti per qualsiasi tipologia di concorso e la richiesta deve essere presentata entro i 7 giorni antecedenti la data prevista per l'esame.
Per quanto riguarda i permessi concessi per lutto l'ARAN precisa che il tetto massimo è fissato in tre giorni consecutivi per evento a condizione che questo riguardi il coniuge (compreso quello separato, ma non il divorziato) o il convivente, i parenti entro il secondo grado e gli affini entro il primo grado. I tre giorni devono essere fruiti in modo consecutivo comprendendo anche le eventuali festività.
L'ente pubblico non può opporsi alla frizione neppure nel caso in cui dipendente chiede di spostare l'avvio; l'ente inoltre non può diminuire il periodo di fruizione ai lavoratori part time.
I permessi per specifici motivi personali possono essere concessi entro il tetto massimo di tre giorni per anno di servizio e il datore di lavoro può motivatamente rifiutare la concessione degli stessi qualora sussistano comprovate esigenze di servizio. I dipendenti devono presentare con congruo anticipo la domanda allegando la documentazione necessaria a indicare le ragioni per la fruizione.
Secondo le linee guida non c'e' alcuno spazio per la contrattazione decentrata integrativa in questo ambito. Inoltre i dipendenti a tempo determinato non possono fruire dei permessi retribuiti disciplinati dai contratti nazionali salvo che in caso di matrimonio.
Bonus assunzioni, le domande all'Inps entro il 12 aprile
L'Inps fornisce le istruzioni per richiedere gli incentivi sostitutivi della piccola mobilità ai datori.
L'Inps ha definito con la circolare 32/2014 le disposizioni operative per inviare le istanze per i datori di lavoro che intendono richiedere il bonus contributivo di 190 euro al mese introdotto nel 2013 con il DM 264 del 19 aprile 2013 per compensare la mancata proroga della possibilità di iscrizione alle liste di mobilità per i lavoratori licenziati da aziende fino a 15 dipendenti (cosiddetta piccola mobilità).
Nel documento l'Inps specifica che le domande dovranno essere inviate entro il 12 aprile.
Il beneficio spetta ai datori di lavoro che nel 2013 hanno assunto lavoratori licenziati nei 12 mesi precedenti da aziede che occupano meno di 15 dipendenti per giustificato motivo oggettivo legato a riduzione, trasformazione e cessazione di attività o di lavoro.
Ammessi anche i lavoratori che avevano cessato il rapporto con risoluzione consensuale in sede di conciliazione successiva al preavviso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 7 comma 7 della legge 604 1996.
L'incentivo economico spetta in caso di assunzione a tempo indeterminato o a termine, a tempo pieno o parziale anche se a scopo di somministrazione ed è pari a 190 euro mensili. Il datore può ottenere il bonus anche in caso di proroga e trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto di lavoro avviato nel 2013 e già agevolabile secondo il dm 264; e in caso di proroga e trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto instaurato prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste della piccola mobilità.
La circolare 32/2014 ricorda che il datore di lavoro deve aver comunque garantito al lavoratore agevolato interventi di formazione professionali sul posto di lavoro, formazione che dovrà essere dimostrata in caso di avviamento della verifica da parte dell'organo ispettivo.
Per fruire del beneficio il datore inoltre deve essere in regola con il pagamento dei contributi, rispettare gli obblighi di sicurezza sul lavoro e quelli previsti dai contratti nazionali regionali ed aziendali, ove sottoscritti. Deve rispettare i criteri della riforma Fornero ed è soggetto alla regola de minimis. Infine l'agevolazione non spetta qualora il datore di lavoro sia un'impresa in difficoltà.
L'agevolazione ha una durata pari a 12 mesi in caso di contratto a tempo indeterminato e di 6 mesi in caso di rapporto a termine. Qualora quest'ultimo sia di durata inferiore a 6 mesi, il bonus spetta per una misura e durata proporzionalmente ridotte e commisurate al contratto.
Se si proroga o si trasforma a tempo indeterminato un rapporto precedentemente agevolato, l'incentivo spetta per un periodo complessivo massimo rispettivamente di 6 e 12 mesi. Qualora invece contratto agevolato sia sottoscritto in forma part time il beneficio è proporzionalmente ridotto.
Tasi 2014, per molti contribuenti il conto sarà più salato della vecchia Imu
Ai comuni spetterà la possibilità di introdurre le detrazioni necessarie per non superare gli effetti della vecchia Imu.
In molti comuni il rischio di rimpiangere il conto della vecchia Imu potrebbe essere concreto soprattutto sulle case che hanno un valore più basso.
È l'effetto dell'introduzione della nuova Tasi che non prevede le detrazioni che nell'Imu cancellavano l'imposta per oltre 5 milioni di abitazioni principali di valore basso e la diminuiva in modo importante anche per quelle di valore medio. L'Imu 2012 escludeva del pagamento infatti tutte le case fino 53 mila euro di valore catastale, una somma però che poteva alzarsi in caso di presenza di figli conviventi sotto i 26 anni concedendo una boccata d'ossigeno a moltissime famiglie italiane.
Ora invece la Tasi chiede un obolo a tutti i contribuenti: se con l'Imu un appartamento con 53 mila euro di reddito catastale non pagava nulla, ora dovrà sborsare, ad aliquota standard, ben 53 euro. Ma le cose rischiano di andare anche peggio in quanto molti comuni, per far quadrare i conti, hanno portato le aliquote vicino o in linea con il massimo valore consentito dalla legge (fissato al 2,5 per mille). Insomma un contribuente che nel 2012 era esente dall'Imu quest'anno rischia di pagare oltre 100 euro.
In verità l'esecutivo ha aggiunto nel decreto legge Salva Roma la possibilità di introdurre un'aliquota aggiuntiva pari allo 0,8 per mille da applicare sulle abitazioni principali oppure sugli altri immobili (altrimenti da dividere tra queste due categorie) per consentire ai Comuni di reintrodurre le detrazioni base.
In pratica i Comuni potranno portare l'aliquota sulla prima casa sino al 3,3 per mille oppure quella per gli altri immobili all'11,4 per mille superando i limiti massimi del 2,5 e 10,6 per mille. Ammessa anche la possibilità di spalmare a metà l'aumento sulle prime case e sulle seconde case.
È questa ipotesi a cui sta già lavorando, ad esempio, il Comune di Bologna che vorrebbe applicare la super Tasi all'abitazione principale portando l'aliquota al 3,3 per mille e finanziando una detrazione base di 200 euro.
I sindaci potrebbero però anche finanziare detrazioni diverse a seconda dell'aumentare del valore dell'immobile. Ad esempio i Comuni potrebbero riservare sconti maggiori alle rendite catastali più basse e farle diminuire all'aumentare della rendita catastale.
Ma l'incremento della Tasi per finanziare le detrazioni è solamente un'opzione e dunque non è detto che i primi cittadini la introdurranno. E inoltre, se lo faranno, ci sarà inevitabilmente una ulteriore frammentazione della disciplina della tassazione degli immobili a livello locale in quanto ciascun comune avrà le sue regole, le sue aliquote e le sue detrazioni. Insomma per i contribuenti i problemi non sono destinati a diminuire.
Cig in deroga, scatta l'allarme sui fondi
Il budget stanziato per il 2014 è pari a 1,7 miliardi contro i 2,7 messi a disposizione nel 2013.
Le risorse stanziate della Cassa Integrazione in Deroga per quest'anno si stanno rapidamente esaurendo, consumate dal periodo di crisi. È lo stesso titolare del dicastero di via Veneto, Poletti a denunciarlo. Per quest'anno le risorse sono pari a 1,7 miliardi, un miliardo in meno rispetto alla stessa spesa stanziata per l'anno scorso. Ed è proprio su questo miliardo che Giuliano Poletti chiede di provvedere al Ministero dell'Economia e a Palazzo Chigi.
Nel frattempo i sindacati lanciano l'allarme: "per chiudere il 2013 mancano 600 milioni e poi bisognerà affrontare il 2014 che non si preannuncia un anno migliore. In quasi tutte le regioni i fondi sono esauriti ma continuano a pervenire domande da parte di aziende e lavoratori. Il governo deve rapidamente procedere allo sblocco dei fondi" ha affermato Simoncini coordinatore degli assessori regionali al lavoro.
L'ammortizzatore introdotto nel 2008 come misura anticrisi sta purtroppo diventando sempre più un salvagente universale per far fronte a quelle richieste da parte delle imprese escluse dai requisiti per l'accesso alla Cassa integrazione normale.
È un dato di fatto questo ben evidente al responsabile della Uil Angeletti che vuole vederci chiaro sulla preannunciata riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel disegno di legge delega presentato dal Matteo Renzi: "chiediamo di essere consultati in tempo utile dal governo per capire quali saranno le novità". Il nuovo ammortizzatore sociale dovrebbe, secondo le intenzioni di Renzi, vedere la luce nel 2016 e sostituire gli attuali sostegni in materia di Aspi e Mini-Aspi e soprattutto estendere la tutela anche nei confronti dei lavoratori non subordinati.
I sindacati vogliono anche comprendere i dettagli del decreto che dovrebbe limitare l'utilizzo della Cassa integrazione guadagni in deroga fino alla sua scomparsa, prevista, per l'appunto, nel 2016. Il governo dovrebbe infatti approvare un decreto contenente una stretta sui requisiti e durate più brevi rispetto a quelle attuali.