Ai sensi della legge (art. 1, co. 179 e 199 lettera a) della legge 232/2016) potranno godere della suddetta agevolazione solo i lavoratori dipendenti in stato di disoccupazione a seguito della cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento (anche a seguito di procedura collettiva), dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di conciliazione obbligatoria prevista dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (nell'ambito cioè delle conciliazione attivata dalle imprese che impieghino una forza lavoro complessivamente superiore ai 15 dipendenti attivata a seguito di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo), e all'ulteriore condizione che i lavoratori abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi. In sostanza il beneficio in parola sarà vincolato alla perdita di un rapporto di lavoro subordinato per licenziamento (sia a tempo determinato che indeterminato, anche a tempo parziale) e non per altre cause. Dai benefici in parola saranno tagliati fuori sia i lavoratori autonomi o i parasubordinati che hanno chiuso l'attività lavorativa o concluso la collaborazione sia i lavoratori dipendenti il cui contratto si sia risolto per cause diverse da quelle appena menzionate. Si pensi, ad esempio, ad una disoccupazione derivante dalla scadenza (naturale) del contratto a tempo determinato o a dimissioni per ragioni diverse dalla giusta causa che hanno comportato la risoluzione del contratto. I sindacati hanno chiesto di includere nel perimetro dell'agevolazione proprio quei lavoratori la cui disoccupazione derivi dalla scadenza naturale del contratto a termine; ma l'accordo con il Governo pare ancora lontano: "Rimane ancora non risolto, - sottolinea infatti una nota della Cigl - il problema dei disoccupati per scadenza di un contratto a termine".
Oltre alla tipologia di contratto il lavoratore dovrà, inoltre aver esaurito l'intera durata della prestazione contro la disoccupazione (si pensi ad esempio alla Naspi, l'indennità di mobilità, allo speciale trattamento edile, eccetera) ed attendere un ulteriore periodo di tre mesi prima di poter accedere ai sopra indicati strumenti. Ad esempio si immagini un lavoratore che a 61 anni sia stato collocato in mobilità a seguito di un licenziamento collettivo dal 31 ottobre 2015 la cui indennità di mobilità scadrà il prossimo 31 ottobre 2017. Costui dovrà attendere il 1° Febbraio 2018 per accedere all'APE sociale in quanto dovranno trascorrere ulteriori tre mesi dal termine degli ammortizzatori sociali per soddisfare i requisiti agevolati. Se invece il lavoratore ha già terminato l'assistenza al reddito dallo scorso gennaio l'accesso all'APE sociale (o alla quota 41) potrà avvenire subito, dal 1° maggio 2017, nella considerazione che a tale data il lavoratore avrà già "scontato" il vuoto economico di tre mesi dal termine dei sostegni al reddito.
Tra gli altri temi in discussione con i sindacati c'è poi la previsione di una franchigia fino a 12 mesi per garantire – ai lavoratori impegnati in attività gravose e con 36 anni di contributi – di accertare che hanno svolto un lavoro particolarmente pesante anche negli ultimi sei anni, requisito indispensabile per accedere alle predette misure. Ad una estensione del cumulo dei periodi assicurativi anche per totalizzare i 20, 30 o 36 anni di contributi per conseguire l'Ape sociale e l'APE volontario, nonché per il raggiungimento dei 41 anni di contributi per il pensionamento con il regime "precoci", gli effetti della speranza di vita nonchè i costi effettivi dell'APE volontario che, a causa della ripresa dei tassi di interesse, potrebbero lievitare scoraggiando il ricorso alla misura.
Documenti: L'APE Sociale, La Quota 41 per i lavoratori precoci