Dal prossimo anno viene ipotizzata la possibilità, tanto per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi, di accedere in modo anticipato alla pensione, a partire dai 63 anni di età, usufruendo di un prestito da restituire a rate una volta maturata la normale pensione di vecchiaia (che resta fissata a 66 anni e 7 mesi, in via generale). L'accesso all'Ape sarà su base volontaria e avrà un determinato costo che normalmente sarà a carico del lavoratore stesso che vedrà un assegno decurtato per i venti anni seguenti. In caso però di lavoratore appartenente a categorie definite svantaggiate, tale costo sarà sopportato dallo Stato, e dunque per il lavoratore sarà pari a zero: a condizione che la pensione non risulti superiore ad un certo limite, ancora da individuare (l'asticella dovrebbe aggirarsi sui 1.500 euro lordi al mese secondo alcune indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi dagli stessi sindacati). L'intero sistema sarà sperimentato per due anni.
Secondo quanto affermato nel verbale fra governo e sindacati, i lavoratori in condizioni di maggior bisogno per i quali ci sarà un'agevolazione statale saranno identificati sulla base di requisiti quali (a) lo stato di disoccupazione (e assenza di reddito), (b) la gravosità del lavoro pesante o rischioso) per la quale la permanenza al lavoro in età più elevata aumenta il rischio di infortunio o di malattia professionale, (c) le condizioni di salute, (d) i carichi di lavoro di cura legato alla presenza di parenti di primo grado conviventi con disabilità grave.
Dunque anche chi accudisce un familiare entro il primo grado (ad esempio figlio, il coniuge o il genitore) affetto da grave disabilità potrà usufruire del prestito pensionistico a partire dal 63° anno di età. Senza incorrere in costi se il valore dell'assegno risulti inferiore alla soglia pocanzi citata: in questi casi la detrazione fiscale andrebbe a compensare l'intero (o quasi) importo della rata da restituire. Si tratta di una tutela minima ma, comunque, un primo passo per aiutare questi lavoratori che da anni sono stati dimenticati dal legislatore.
Oltre a questo intervento, ormai imminente, il Governo si è impegnato, sempre nell'accordo siglato la scorsa settimana, a valorizzare e tutelare il lavoro di cura a fini previdenziali, in una seconda fase da attuare probabilmente nel 2017. In tale sede potranno dunque essere riconosciuti più ampi benefici. Per chi svolge lavori di cura non ci sarà, invece, la possibilità di uscire con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica anche se sono stati lavorati almeno 12 mesi effettivi prima del 19° anno di età. Il testo dell'accordo non estende, infatti, l'agevolazione in parola, la cd. quota 41, a questi soggetti. Una dimenticanza inspiegabile dato che, come si vede dalla tavola sottostante, si tratta dell'unico gruppo a cui non è stato attribuito il beneficio tra quelli comunque definiti in condizione di bisogno. Una questione a cui si dovrà tentare di porre rimedio nel corso del dibattito parlamentare dei prossimi tempi.
Sullo sfondo c'è anche l'approvazione di una ottava salvaguardia. Ma le possibilità che all'interno del provvedimento possa trovare spazio di nuovo la tutela per chi accudisce disabili è ridotta al lumicino. C'è da sperare dunque che non si perda l'occasione per mettere mano a questa materia.