Troppe le iniquità orizzontali nel sistema previdenziale italiano, dentro le generazioni e tra le generazioni, che, se non si corre ai ripari, diverranno sempre più consistenti con il passare degli anni e per le quali è necessario trovare delle soluzioni concrete. E’ quanto emerso nel corso del workshop «Giustizia previdenziale.Come riformare pensioni e welfare» svoltosi lo scorso 24 giugno, presso il CNEL in collaborazione con la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale. Il primo scoglio da superare è quello della flessibilità che, dalle parole del Senatore Nannicini che ha aperto l’incontro, «è lo strumento che si deve affiancare ad altri interventi di riforma che mettono al centro l’equità».
Ecco, quindi, la necessità di introdurre una pensione contributiva di garanzia che diminuisca le disuguaglianze, un APE sociale strutturale a carico dello Stato che permetta un accompagnamento alla pensione in concomitanza all’allungamento dell’aspettativa di vita e, soprattutto, un sistema di paletti alla flessibilità che rimanga comunque all’interno del sistema contributivo. Sistema contributivo che non deve essere stravolto ma che contempli un costo individuale adeguato e proporzionale al beneficio per chi vuole usufruire delle uscite anticipate. Un discorso che, tra l’altro, non può prescindere da una revisione dei salari, elemento alla base di dette disuguaglianze, e dalla riforma fiscale a cui strettamente legato.
Metodo contributivo non più adeguato
Uno dei temi al centro del dibattito è il sistema di calcolo contributivo introdotto nel ’95 con la riforma Dini e finalizzato ad adeguare le pensioni al nuovo stato di longevità della popolazione. Uno strumento che è stato oggetto di successivi inneschi e correttivi che hanno, negli anni, reso più evidenti una serie di criticità e acuito le iniquità tra categorie legate all’attuale situazione lavorativa dei contribuenti (mercato del lavoro instabile, vite lavorative discontinue, bassi salari) con un evidente problema di bassa accumulazione di contributi. Diverse le soluzioni discusse.
C’è quella che vede un trattamento pensionistico anche meno consistente calcolato sulla contribuzione versata ma affiancato da un sostegno in termini di sevizi di welfare gratuiti, come proposto dalla professoressa Madia d’Onghia, oppure la reintroduzione di un’integrazione – una pensione di garanzia – con una soglia parametrata su quanti anni si è lavorato e sull’età di ritiro, come suggerito dal dott. Michele Raitano.
APE sociale strutturale
Un’ulteriore proposta migliorativa è quella del dott. Gianfranco Santoro che punta potenziare l’APE sociale, quale intervento di flessibilità in favore di lavoratori svantaggiati. Un reddito ponte che rimane comunque nella cornice dell’equità e della giustizia previdenziale perché votato ad un’uguaglianza sostanziale tra categorie di lavoratori favorendo solo quelle oggettivamente più «fragili».
Dopo una prima positiva sperimentazione per il triennio 2019-2021 e un rinnovo, con ritocchi, per il 2022, si propone un inserimento strutturale della misura con un allargamento della platea. Sul piatto quindi non solo interventi di manutenzione, con l’eliminazione del tetto di spesa, ma l’estensione dell’APE sociale, per esempio, ai lavoratori autonomi che ora non sono inclusi pur svolgendo la stessa attività lavorativa degli attuali beneficiari. C’è poi il suggerimento di rendere meno stringenti i requisiti di accesso per i lavoratori a tempo determinato che invece di essere 18 mesi negli ultimi 36 potrebbero ammorbidirsi per far confluire quelle categorie che più marginalmente partecipano al mercato del lavoro.
Il sistema delle «quote» nemico dell’equità
È evidente che le regole di accesso al pensionamento anticipato progressivamente attenuate, temporaneamente e in via sperimentale, sulla scorta di scelte legate ad elementi contingenti che hanno acuito ancora di più disuguaglianze e iniquità. È il caso, per esempio, dell’eliminazione del sistema di disincentivazione di accesso alla pensione prima dei 62 anni di età, della sospensione dell’adeguamento dei requisiti contributivi di accesso alla pensione anticipata ordinaria fino al 2026 o, ancora, dell’avvento della quota 100 e ora di quota 102.
Queste le considerazioni della professoressa Paola Bozzao che durante l’incontro ha rilevato, ancora una volta, la necessità di superare le logiche dell’emergenza e intervenire con soluzioni strutturali o comunque a lungo termine per non incorrere in ulteriori spaccature tra categorie, soprattutto per coloro che si sono affacciati nel mondo del lavoro dopo il ’96 sottoposti al sistema di calcolo contributivo.
Si suggerisce un sistema uniforme per tutti, a prescindere dall’inizio dell’attività lavorativa, con l’introduzione dell’opzione al sistema di calcolo contributivo per i lavoratori «misti» e un assestamento per i contributivi puri rivedendo la soglia di accesso che, attualmente, appare eccessivamente iniqua - 2,8 dell’assegno sociale – «che premia in maniera irragionevole i lavoratori più ricchi il cui montante individuale è in grado di soddisfare la maturazione di quell’importo».