Le due misure da ieri disponibili, l'APE sociale e la quota 41, interessano, infatti, solo specifiche e limitate categorie di lavoratori che si trovano in una condizione di particolare difficoltà declinata in quattro specifici profili di tutela: disoccupati a seguito di licenziamento con esaurimento da almeno tre mesi degli ammortizzatori sociali, invalidi con una invalidità civile non inferiore al 74%, caregivers che assistono il coniuge o parenti entro il primo grado in condizione di disabilità e gli addetti a mansioni gravose o usuranti. Tali soggetti, in definitiva, potranno utilizzare due canali di pensionamento aggiuntivi rispetto a quanto prevede la legge Fornero. Uscire a 63 anni se in possesso di almeno 30 anni di contributi (36 per chi svolge mansioni gravose da almeno sei anni in via continuativa); o con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica se possono vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età (lavoratori precoci). Questa flessibilità è appetibile in quanto è a costo praticamente zero per i beneficiari (non ci sarà alcuna decurtazione sulla pensione), da qui le limitazioni circa le categorie che ne potranno avere beneficio. Ed inoltre è previsto un vincolo annuo di risorse.
Attesa per l'anticipo volontario
Per la generalità degli altri lavoratori, invece, si attende l'APE volontario, ossia l'anticipo pensionistico finanziato dalle banche (ed in ultima analisi dallo stesso lavoratore) al prezzo di una decurtazione ventennale sulla pensione. La misura è anch'essa prevista all'interno della Legge di Bilancio e doveva essere attuata entro marzo tramite un apposito DPCM. Si tratta di quella flessibilità a costo (quasi) zero per lo Stato proclamata a Settembre da Renzi in cui si diceva che la nonna avrebbe potuto ritirarsi prima volontariamente per assistere il nipotino al prezzo di una piccola penalità sulla pensione. In realtà le difficoltà tecniche e la necessità di trovare un'intesa sui costi di finanziamento applicati da banche ed assicurazioni sta dilatando a dismisura il decollo della misura.
L'ostacolo principale resta quello dei costi che alla fine potrebbero risultare piuttosto elevati anche superiori al 20% di una pensione peraltro già intaccata, dal 2011, dal passaggio al sistema contributivo (qui è possibile simulare gli effetti sulla pensione dell'anticipo) e, quindi, non convenienti per il lavoratore. Il rischio potrebbe essere quello del TFR in busta paga, un'operazione che alla fine si è rivelata un flop. Altra misura ancora da sbloccare è la RITA, la rendita integrativa temporanea anticipata, uno strumento che in sostanza è analogo all'APe volontario solo che la provvista per l'erogazione del reddito ponte sino alla pensione di vecchiaia viene erogata tramite il fondo di previdenza complementare presso cui il lavoratore ha contribuito nella sua vita lavorativa.
All'appello manca poi il cumulo dei periodi assicurativi con le casse professionali e un decreto del ministero del Lavoro per semplificare la documentazione da produrre per accedere alla pensione con i requisiti previsti per i lavoratori usuranti. Senza contare che deve essere ancora aperta la fase due del confronto con la parte sindacale per la pensione di garanzia dei giovani e una ulteriore attuazione della flessibilità in uscita. Insomma la carne al fuoco è ancora parecchia.
Approfondimenti: Chi ha diritto all'APE sociale; Il pensionamento con 41 anni di contributi